Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-09-2012, n. 15106

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Svolgimento del processo
A.E. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa, con la quale era stato respinto il suo ricorso diretto all’accertamento della nullità ed inefficacia del licenziamento verbale asseritamente intimatogli dal datore di lavoro xxx s.r.l..
Esponeva di aver regolarmente prestato la propria attività lavorativa fino al 28 luglio 2000, ed in seguito aveva fruito di un periodo di ferie in concomitanza con la chiusura dell’azienda, recandosi nel Paese d’origine ((OMISSIS)); nel frattempo, erano pervenute presso la sua abitazione in Italia il libretto di lavoro e poco dopo le spettanze di fine rapporto, insieme ad una comunicazione dell’azienda con la quale si faceva riferimento a sue presunte dimissioni, che il ricorrente deduceva di non aver mai presentato, mentre gli era stato poi comunicato che esse risultavano da una lettera da lui sottoscritta, che peraltro non gli era mai stata mostrata, nè gli era stato consentito di estrarne copia. In diritto lamentava l’utilizzazione ai fini della decisione di primo grado della lettera di dimissioni, prodotta in copia dalla controparte e rispetto alla quale egli aveva tempestivamente disconosciuto la sottoscrizione; contestava inoltre la decisione di primo grado laddove aveva ritenuto accertata l’autenticità della sottoscrizione sulla base delle dichiarazioni dei testimoni introdotti dall’azienda, non indifferenti all’esito della causa. Concludeva dunque affinchè, in totale riforma della sentenza impugnata, venisse accertata la nullità ed inefficacia del licenziamento verbale irrogatogli, e che xxx venisse condannata alla sua reintegra o riassunzione nel posto di lavoro ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate nelle more o quanto meno nella misura minima corrispondente a 5 mensilità.
Si costituiva la società xxx resistendo al gravame e proponendo appello incidentale in ordine alla compensazione delle spese.
Con sentenza depositata il 9 giugno 2007, la Corte d’appello di Venezia accoglieva il gravame e dichiarava l’inefficacia del licenziamento, condannando la società xxx al ripristino del rapporto di lavoro, ed a corrispondere all’ A. le retribuzioni non percepite dal febbraio 2002 sino alla data della sentenza, detratto l’aliunde perceptum risultante dalla documentazione in atti.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste l’ A. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale, in presenza della diversa domanda di reintegra nel posto di lavoro L. n. 300 del 1970, ex art. 18 unicamente svolta dal lavoratore, condannato la società al risarcimento dei danni secondo il diritto comune delle obbligazioni.
Il motivo, illustrato dal prescritto quesito di diritto, è infondato.
Ed invero questa Corte ha da ultimo chiarito (modificando un precedente orientamento, espresso, tra le altre, da Cass. 8 giugno 2005 n. 11946) che il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace per inosservanza dell’onere della forma scritta imposto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2 novellato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 2 e, come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, non rilevando, ai fini di escludere la continuità del rapporto stesso, nè la qualità di imprenditore del datore di lavoro, nè il tipo di regime causale applicabile (reale od obbligatorio), giacchè la sanzione prevista dal citato art. 2 non opera soltanto nei confronti dei lavoratori domestici (ai sensi della L. n. 339 del 1958) e di quelli ultrasessantenni (salvo che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto). Ne consegue l’applicazione dell’ordinario regime risarcitorio, segnatamente consistente, trattandosi di rapporto di lavoro in essere, nel pagamento delle retribuzioni non percepite a causa dell’inadempimento datoriale (Cass. 1 agosto 2007 n. 16955). Nè l’applicazione nella specie di tale principio, da parte del giudice d’appello, può ritenersi in contrasto con l’art. 112 c.p.c., avendo il ricorrente richiesto, come nella parte espositiva riportato, "che la xxx venisse condannata alla sua reintegra o riassunzione nel posto di lavoro ed al pagamento di tutte le retribuzioni maturate nelle more".
Peraltro il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. 14 novembre 2011 n. 23794).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1218 e 1227 c.c.; dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.;
omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla rilevanza della condotta del lavoratore, incompatibile con la volontà di proseguire il rapporto, unitamente alla rilevanza ed all’accertamento dell’aliunde perceptum e percipiendum.
Si duole che la Corte di merito non aveva adeguatamente valutato che nella specie il presunto inadempimento era esclusivamente imputabile al lavoratore stesso che non aveva mai offerto di eseguire regolarmente la prestazione lavorativa.
Lamenta al riguardo che era emerso dall’istruttoria che il lavoratore era rimasto assente per oltre tre mesi senza fornire alcuna giustificazione nè comunicare alcunchè all’azienda, salvo la richiesta di una copia della lettera di dimissioni. Ad avviso della ricorrente ciò concretava una rinuncia al posto di lavoro.
Lamenta ancora che i giudici d’appello decurtarono il risarcimento del solo aliunde perceptum risultante dalla documentazione in atti, senza dare ingresso alle istanze istruttorie proposte dalla società (tra cui l’ordine di esibizione del libretto di lavoro, i modelli CUD del ricorrente, ed altre scritture eventualmente attestanti l’esistenza di altri rapporti di lavoro).
Il motivo è in parte inammissibile, e per il resto infondato.
Ed invero la ricorrente in primo luogo lamenta una erronea valutazione delle risultanze istruttorie, rimesse al prudente apprezzamento del giudice di merito, sottoponendo in sostanza alla Corte un inammissibile riesame delle stesse (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274;
Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500).
Deve inoltre evidenziarsi che la Corte distrettuale ha ampiamente motivato circa l’insussistenza di una volontà risolutoria del rapporto da parte del lavoratore, senza che tale motivazione abbia formato oggetto di specifica censura ad opera della ricorrente. Per il resto quest’ultima, sia ove lamenta una erronea valutazione delle istanze istruttorie, sia ove lamenta il mancato ingresso delle prove richieste, non considera che il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, comporta l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla trascrizione dei passi salienti (o quanto meno all’indicazione della loro esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell1 auto sufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915). D’altro canto deve rimarcarsi che l’ammissione dei mezzi di prova è rimessa alla iniziativa ed alla discrezionale valutazione del giudice di merito, onde non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che non abbia ammesso e non abbia indicato le ragioni della mancata ammissione di detti mezzi, dovendosi ritenere per implicito che non se ne sia ravvisata la necessità (Cass. 22 aprile 2009 n. 9551; con particolare riferimento all’ordine di esibizione: Cass. 18 settembre 2009 n. 20104).
5. Il ricorso deve pertanto respingersi.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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