Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-09-2012, n. 15102

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1.- La sentenza attualmente impugnata – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 16904/05 del 6 febbraio 2004 – dichiara la nullità del licenziamento intimato a G.G. dalla xxx s.p.a., con raccomandata spedita il 6 febbraio 2004, e, per l’effetto, ordina alla suddetta società la immediata reintegra del dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato e la condanna a corrispondergli l’importo delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre agli accessori di legge, nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal momento del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il G., impiegato della società xxx, è stato licenziato per giusta causa con lettera spedita in data 6 febbraio 2004, ricevuta dal destinatario l’11 febbraio 2004;
b) il licenziamento è stato inflitto sull’assunto che il lavoratore – pur essendo stato avvertito con telegramma del 31 dicembre 2003 e con una telefonata del 30 dicembre 2003 del superiore gerarchico ing. A. il giorno 5 gennaio 2004 non si era presentato alla sede di Milano della xxx per recarsi in trasferta di lavoro in Francia;
c) peraltro il G. – trovandosi in ferie quantomeno dal 31 dicembre 2003 al 4 gennaio 2004, come confermato anche dalla società ha sempre negato di aver ricevuto la telefonata dell’ing. A. ed ha anche aggiunto di aver preso visione del telegramma solo al suo rientro dalle ferie, come comunicato alla società con un proprio telegramma del 7 gennaio 2004;
d) in questa situazione appare assorbente il profilo della tardività della inflizione del provvedimento espulsivo, comunicato con lettera raccomandata spedita dalla società il 6 febbraio 2004, cioè oltre il termine di sei giorni successivi alla ricezione delle giustificazioni del lavoratore, ricevute dalla xxx il 28 gennaio 2004;
e) va, infatti, ritenuto diversamente da quanto affermato dal primo giudice – che l’art. 23 del contratto collettivo di settore – che prevede un termine massimo di sei giorni entro il quale, dopo l’instaurazione del contraddittorio disciplinare ed il ricevimento delle giustificazioni del lavoratore, la sanzione deve essere emanata, attribuendo all’inutile decorso del termine il significato predeterminato di accoglimento delle giustificazioni dell’incolpato, con conseguente decadenza del datore di lavoro dalla facoltà di esercitare il potere disciplinare – deve essere inteso nel senso che il termine di perfezionamento dell’atto deve essere necessariamente fatto coincidere con la spedizione della lettera contenente l’irrogazione della sanzione, in conformità con la giurisprudenza di legittimità (Cass. 5 agosto 2003, n. 11833);
f) del resto, in linea generale, il licenziamento è un negozio unilaterale recettizio, assoggettato all’art. 1334 cod. civ. e quindi produttivo di effetti solo nel momento in cui il lavoratore riceve l’intimazione da parte del datore di lavoro;
g) va, inoltre, precisato che è del tutto infondata la richiesta della società di escludere dal computo del termine di sei giorni di cui si discute le giornate festive e prefestive, visto che essa non trova alcun riscontro nella disciplina contrattuale;
h) da ultimo va rilevato che è pacifica la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della c.d. tutela reale di cui all’art. 18 St. lav..
2.- Il ricorso della xxx s.p.a. in liquidazione domanda la cassazione della sentenza per due motivi: resiste, con controricorso, G.G., il quale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1 – Sintesi dei motivi di ricorso.
1.- Con il primo motivo – illustrato da quesito di diritto – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del c.c.n.l. per i lavoratori dell’industria metalmeccanica privata, anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ..
Si sostiene che la Corte romana è pervenuta alla parziale riforma della sentenza di primo grado sulla base dell’assorbente argomento rappresentato dalla asserita tardività della inflizione del provvedimento espulsivo, derivante dalla effettuata spedizione da parte della società della relativa lettera raccomandata in data 6 febbraio 2004, cioè oltre il sesto giorno successivo alla ricezione, avvenuta il 30 gennaio 2004, delle giustificazioni del dipendente.
Tale soluzione deriva dall’adesione ad un orientamento non consolidato della giurisprudenza di legittimità, che la ricorrente auspica che non si consolidi, tanto più che, nella specie la distinzione operata dall’art. 23 del richiamato contratto collettivo tra "comminazione" del licenziamento e "comunicazione" del provvedimento espulsivo dovrebbe indurre a riferire alla data di applicazione dell’atto espulsivo e non a quella di ricezione della relativa comunicazione "che determina solo il momento in cui l’atto produce i suoi effetti" (si cita, in tal senso, Cass. 26 maggio 2001, n. 7199).
Si sottolinea, altresì, che il giudice di primo grado ha esattamente ricondotto la distinzione tra il momento della "comminazione" del licenziamento e quello della "comunicazione" del provvedimento espulsivo al rispetto dei principi di correttezza e buona fede che, anche per la giurisprudenza di legittimità, rappresentano il fondamento dei doveri sanciti dall’art. 7 St. lav. e dall’art. 2106 cod. civ. in materia di esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro.
2- Con il secondo motivo illustrato da quesito di diritto – si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2965 cod. civ., anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per non avere la Corte d’appello di Roma dichiarato la nullità e/o illegittimità dell’art. 23 del c.c.n.l. per i lavoratori dell’industria metalmeccanica privata, per manifesta irragionevolezza; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
In subordine la società ricorrente ribadisce la tesi, già ampiamente sostenuta nei gradi di merito, della palese irragionevolezza e contrarietà al principio di buona fede, della richiamata clausola contrattuale nella parte in cui include nel computo dei sei giorni, di cui si discute, nei quali la datrice di lavoro non può svolgere alcuna attività data la chiusura della sede aziendale.
Ne consegue che il suddetto sistema di calcolo verrebbe di fatto a pregiudicare il diritto del datore di lavoro di irrogare sanzioni disciplinari ai propri dipendenti.
3 – Esame delle censure.
3.- I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono da accogliere.
4. In primo luogo, deve essere precisato che è jus receptum che il licenziamento è un negozio unilaterale recettizio che è diretto a determinare la cessazione del rapporto di lavoro ed è assoggettato alla norma dell’art. 1334 cod. civ., sicchè produce effetto nel momento in cui il lavoratore riceve l’intimazione da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che la verifica e le condizioni che legittimano l’esercizio del potere di recesso deve essere compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato (vedi, per tutte: Cass. 1 settembre 2006 n. 18911; Cass. 22 marzo 2007, n. 7049; Cass. 26 luglio 1996, n. 6751; Cass. 29 dicembre 2011, n. 29679).
Nell’ambito del procedimento perfezionativo del licenziamento sono previsti alcuni termini decadenziali, rispettivamente a carico del lavoratore e del datore di lavoro, tra i quali assumono particolare rilievo quello posto a carico del lavoratore per l’impugnativa del licenziamento (che ha come referente generale la L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6) e quello posto a carico del datore di lavoro in ordine all’esercizio del potere disciplinare (che per i tempi e le modalità di contestazione degli addebiti ha come referente generale la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7).
In entrambi i casi si tratta di termini volti a evitare la protrazione di una situazione di incertezza circa la sorte del rapporto di lavoro, a tutela dei differenti interessi di entrambe le parti.
Ovviamente, nella materia, la contrattazione collettiva ha un ruolo molto significativo.
Ciò si verifica nella specie visto che (per quel che qui rileva) l’art. 23 del c.c.n.l. per gli addetti all’Industria metalmeccanica stabilisce che:
1) "salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto e i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni";
2) "se il provvedimento non verrà comminato entro i 6 giorni successivi a tali giustificazioni, queste si riterranno accolte";
3) "la comminazione del provvedimento dovrà essere motivata e comunicata per iscritto".
5.- Dal punto vista della ricostruzione della vicenda processuale, è pacifico che il provvedimento espulsivo di cui si tratta è stato comunicato al lavoratore con lettera raccomandata spedita dalla società il 6 febbraio 2004, cioè oltre il termine di sei giorni successivi alla ricezione delle giustificazioni del lavoratore, ricevute dalla xxx il 28 gennaio 2004.
La Corte d’appello ha interpretato la suddetta disposizione contrattuale nel senso che essa – prevedendo un termine massimo di sei giorni entro il quale (dopo l’instaurazione del contraddittorio disciplinare ed il ricevimento delle giustificazioni del lavoratore) la sanzione deve essere emanata, attribuendo all’inutile decorso del termine il significato predeterminato di accoglimento delle giustificazioni dell’incolpato, con conseguente decadenza del datore di lavoro dalla facoltà di esercitare il potere disciplinare distinguendo il momento perfezionativo dell’atto da quello di efficacia, vada interpretata nel senso che il suddetto termine al perfezionamento dell’atto deve essere necessariamente fatto coincidere con la spedizione della lettera contenente l’irrogazione della sanzione.
Tale interpretazione è del tutto conforme alla giurisprudenza, ormai consolidatasi, di questa Corte successiva all’affermazione da parte della Corte costituzionale (vedi, spec. sentenze n. 477 del 2002, n. 28 del 2004, n. 3 del 2010, nonchè ordinanze n. 97 del 2004, n. 154 del 2005) – come principio generale dell’ordinamento in materia di decadenza processuale (fondato sul principio di ragionevolezza e sul diritto di difesa, di cui, rispettivamente, agli artt. 3 e 24 Cost.) – del principio di scissione fra i due momenti di perfezionamento della notificazione degli atti, che comporta che la distinzione del momento perfezionativo per il notificante da quello in cui la notificazione si perfeziona per il destinatario – nel senso che nei confronti del soggetto onerato, la decadenza è impedita dalla consegna dell’atto stesso all’ufficiale giudiziario oppure all’agente postale, mentre per il destinatario vale il momento di ricezione – fermo restando che termini o adempimenti di legge a favore o a carico di quest’ultimo decorrenti dalla notificazione vanno comunque calcolati al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti.
Infatti, dopo tale evoluzione della giurisprudenza costituzionale, questa Corte, modificando il proprio precedente orientamento, ha applicato il suddetto principio della scissione temporale degli effetti della notificazione anche ad atti stragiudiziali specialmente in materia lavoristica, sull’assunto secondo cui la possibile operatività nell’ambito del diritto sostanziale del suddetto generale principio avente rilievo costituzionale assume particolare importanza nel diritto del lavoro, soprattutto quando venga in considerazione la tutela contro il licenziamento illegittimo, ossia la reazione avverso un atto "che può privare il lavoratore dei mezzi necessari ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost., comma 1), tanto più che è, in linea generale, irragionevole far discendere un effetto di decadenza dal compimento di attività non riferibili direttamente alla parte, ma a terzi sul cui operato la parte non può influire, come gli uffici postali o gli ufficiali giudiziari (vedi, per tutte: Cass. 5 agosto 2003, n. 11833; Cass. 4 settembre 2008, n. 22287).
6.- Tale nuovo orientamento ha trovato applicazione sia in riferimento al rispetto del termine posto a carico del lavoratore per l’impugnazione del licenziamento (nel senso di attribuire al momento della spedizione del plico postale l’effetto di impedimento della decadenza, con irrilevanza del momento della ricezione da parte del destinatario: Cass. 4 settembre 2008, n. 22287 cit; Cass. Cass. SU 14 aprile 2010, n. 8830), sia per il termine posto a carico del datore di lavoro per l’esercizio del potere disciplinare.
A tale ultimo riguardo è stato stabilito – con riferimento a norme contrattuali che (al pari del suddetto art. 23 del c.c.n.l. per i metalmeccanici) impongano al datore di lavoro l’onere di intimare la sanzione disciplinare, a pena di decadenza, entro un certo termine dalla data di ricezione delle giustificazioni scritte fornite dal lavoratore – che il termine decadenziale in oggetto deve intendersi rispettato per il solo fatto che il datore abbia tempestivamente manifestato la volontà di irrogare la sanzione (ad esempio, con la consegna della lettera raccomandata all’ufficio postale per la spedizione al destinatario), a nulla rilevando che tale dichiarazione recettizia sia portata a conoscenza del lavoratore successivamente alla scadenza di quel termine, perchè, anche in questo caso, si verifica una scissione tra il momento in cui la volontà di recedere è manifestala e quello in cui si producono gli effetti ricollegabili a tale volontà (Cass. 5 agosto 2003, n. 11833; Cass. 4 ottobre 2010, n. 20566; Cass. 2 marzo 2011, n. 5093; Cass. 8 giugno 2011, n. 12457).
In questa situazione è del tutto evidente che la giurisprudenza cui fa riferimento l’attuale ricorrente (in particolare: Cass. 26 maggio 2001, n. 7199) può dirsi del tutto superata, salvo restando che nella specie non viene in questione il momento della ricezione da parte del lavoratore della comunicazione del licenziamento, visto che non è contestato che è la stessa spedizione della comunicazione ad essere stata effettuata oltre il termine previsto dalla normativa contrattuale di settore.
Per le suesposte assorbenti ragioni la sentenza impugnata va esente dalle censure prospettate dalla ricorrente.
4 – Conclusioni.
7.- In sintesi il ricorso va rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi, Euro 3000,00 (tremila/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 12 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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