Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 10-12-2013, n. 49741

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 3.2.2011 dal Tribunale di Torre Annunziata – sez. distaccata di Castellammare di Stabia – C. G., all’esito di giudizio abbreviato, veniva condannato, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la predetta sentenza presentava appello la difesa dell’imputato, chiedendo che venisse operato il giudizio di bilanciamento, erroneamente non eseguito dal primo giudice, tra le riconosciute attenuanti generiche e la recidiva, e sollecitando altresì la concessione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, comma 5 nonchè dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..
2. La Corte territoriale disattendeva la richiesta di concessione dell’attenuante della minima partecipazione al fatto, osservando che il ruolo del C. era stato anzi decisivo, ai fini dell’esecuzione dell’attività criminosa, avendo egli ricoperto il ruolo di colui il quale riceveva gli ordinativi dagli acquirenti dello stupefacente ed il denaro, provvedendo poi alla consegna della droga custodita materialmente da altro complice; per quel che riguarda l’entità della pena, la Corte stessa rideterminava quella inflitta dal primo giudice diminuendola ad anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000,00: a tale ultimo riguardo, i giudici di seconda istanza operavano il giudizio di equivalenza tra le riconosciute attenuanti generiche e la recidiva contestata, ritenendo precluso il più favorevole giudizio di prevalenza delle prime sulla seconda dall’espressa previsione normativa trattandosi, nella concreta fattispecie, di recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
Veniva poi negata la configurabilita dell’ipotesi attenuata della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 73, comma 5 cit. D.P.R., ostandovi, ad avviso della Corte territoriale, il dato ponderale, il grado di purezza della sostanza e la sistematicità dell’attività di spaccio, elementi da ritenersi del tutto incompatibili con il concetto di "minima offensività penale" della condotta.
3. Ricorre per cassazione il difensore del C. deducendo due motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante prevista dall’art. 114 c.p., sull’asserito rilievo che il C. avrebbe svolto un ruolo meramente esecutivo delle disposizioni impartitegli dal complice, come desumibile dalla stessa sentenza impugnata nella parte relativa alla descrizione dell’attività svolta dal C.; 2) violazione di legge relativamente alla valenza attribuita alla recidiva, in quanto ritenuta dai giudici tale da incidere in concreto, sulla base del solo certificato penale e senza alcuna specifica motivazione nonostante la natura facoltativa della recidiva stessa per come precisato nella giurisprudenza di legittimità.
Motivi della decisione
4. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
4.1 La doglianza relativa al diniego dell’attenuante ex 114 c.p. è infondata.
La Corte di merito ha osservato che il ruolo del C. era stato anzi decisivo, ai fini dell’esecuzione dell’attività criminosa, posto che il suo compito era quello di ricevere gli ordinativi dagli acquirenti dello stupefacente, ed il denaro, e di provvedere poi alla consegna della droga custodita materialmente da altro complice.
Orbene è di tutta evidenza che l’attività svolta dal C. era tale da non poter in alcun modo rientrare nell’ambito della previsione della disposizione di cui all’art. 114 c.p., alla luce del consolidato indirizzo interpretativo affermatosi in materia nella giurisprudenza di questa Corte: "In tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione (art. 114 cod. pen.), non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso" (in termini, "ex plurimis", Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012 Ud. – dep. 09/01/2013 – Rv. 254051).
4.2 Quanto alla seconda doglianza – concernente la ritenuta sussistenza in concreto della contestata recidiva (dalla Corte territoriale posta poi in giudizio di equivalenza con le riconosciute attenuanti generiche) – mette conto evidenziare che a fronte dell’aumento operato dal primo giudice per la recidiva, ai fini della dosimetria della pena, nulla era stato dedotto al riguardo con i motivi di appello. L’appellante, in punto di recidiva, si era infatti limitato a sollecitare il giudizio di comparazione tra attenuanti e recidiva ma non aveva chiesto che quest’ultima fosse esclusa. La doglianza espressa con il ricorso in ordine a tale questione, è stata, dunque, dedotta per la prima volta in questa sede ed è pertanto inammissibile, involgendo essa aspetti valutativi di merito e non rientrando quindi nel novero delle questioni indicate nell’art. 609 c.p.p., comma 2 che questa Corte avrebbe potuto esaminare di ufficio; è stato condivisibilmente enunciato nella giurisprudenza di legittimità il seguente principio: "In tema di ricorso per Cassazione, è consentito superare i limiti del "devolutum" e dell’ordinata progressione dell’impugnazione soltanto per le violazioni di legge che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, come nell’ipotesi di ius superveniens, e per le questioni di puro diritto, sganciate da ogni accertamento del fatto, rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Non sono proponibili per la prima volta in cassazione, invece, le questioni giuridiche che presuppongono un’indagine di merito che, incompatibile con il sindacato di legittimità, deve essere richiesta o almeno prospettata nella sua sede naturale. La mancata devoluzione di siffatta questione in sede propria preclude ogni successiva doglianza e rende intangibile la decisione formatasi sul punto o capo, poi investito dal ricorso" (in termini, Sez. 5, n. 9360 del 24/04/1998 Ud. – dep. 13/08/1998 – Rv. 211441; cfr. al riguardo, anche Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003 Ud. – dep. 06/02/2004 – Rv. 229373, con la quale è stato tra l’altro precisato che le questioni di diritto sostanziale possono essere sollevate per la prima volta davanti alla Corte di cassazione – così venendo meno la preclusione per le violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello – sempre che si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di "ius superveniens" o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale).
5. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2013

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