Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 10-12-2013, n. 49740

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Svolgimento del processo
1. M.A. veniva condannato dal Tribunale di Napoli, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa, per violazione della legge sugli stupefacenti, con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale; il Tribunale riteneva l’imputato non meritevole delle attenuanti generiche avuto riguardo alla gravità della condotta e tenuto altresì conto del comportamento processuale dell’imputato stesso "per nulla collaborativo non avendo egli offerto alcun valido contributo alla ricostruzione della vicenda sviluppatasi sotto la diretta osservazione dei militari".
2. Proponeva rituale impugnazione il M. il quale, in apertura del giudizio di secondo grado, rinunciava a tutti i motivi di gravame, eccezion fatta per quelli concernenti la richiesta delle attenuanti generiche e di un più favorevole trattamento sanzionatorio.
La Corte d’Appello di Napoli disattendeva la richiesta di attenuanti generiche – sottolineando, a fondamento del convincimento così espresso, la gravità della condotta, caratterizzata dallo spaccio continuato di cocaina, ed i precedenti penali dell’imputato di cui uno specifico – e, richiamando i parametri di cui all’art. 133 c.p., rideterminava tuttavia la pena riducendola.
3. Ricorre per cassazione il M., tramite il difensore, deducendo vizio di motivazione unicamente in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, osservando che la Corte territoriale avrebbe omesso di valorizzare adeguatamente la confessione dell’imputato il quale avrebbe in tal modo dato prova di ravvedimento.
Motivi della decisione
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle censure dedotte.
Mette conto sottolineare che, secondo principio condivisibile, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; mitigazione il cui diniego risulta, per converso, adeguatamente motivato alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa sì fonda.
In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato come, a ben vedere, nel caso di specie, laddove questi precedenti, tra cui uno per fatto analogo, sono stati valorizzati negativamente (cfr. Sezione 2, 22 febbraio 2007, Bianchi ed altri). L’impugnata sentenza – nella quale sono state valorizzate anche le modalità della condotta – si pone assolutamente in sintonia con i principi appena ricordati.
5. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2013

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