Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-10-2013) 06-12-2013, n. 49122

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Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Benevento confermò il decreto con il quale il GIP di Benevento, in data 28.02.2013, aveva disposto il sequestro preventivo dei beni riferibili all’indagato (quote societarie, un autoveicolo, conti correnti, beni immobili), per un valore complessivo di Euro 1.885.907,14, finalizzato alla confisca per equivalente del profitto dei reati di frode fiscale relativi al periodo di imposta 2007 – 2011, nonchè dei reati di truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche e di truffa aggravata.
L’indagato, a mezzo dell’avv. xxx, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che aveva eccepito dinanzi al tribunale del riesame che nel corso delle indagini preliminari vi erano state una serie di irregolari iscrizioni della medesima notizia di reato, con il che gli erano state negate le più elementari prerogative difensive. In particolare, aveva eccepito che il Gip non aveva notificato al soggetto effettivamente sottoposto alle indagini la richiesta di proroga delle stesse. Sul punto la motivazione del tribunale del riesame è inesistente. La motivazione è meramente apparente anche sulle eccezioni relative al contenuto delle consulenze depositate dalla difesa, perchè non sono state indicate le ragioni per le quali l’assunto difensivo non contrasterebbe con il risultato delle indagini di PG e perchè non vi è stato esame delle deduzioni difensive. Non sono stati presi in esame le considerazioni e la documentazione dei consulenti di parte che dimostravano la giustificazione per tutte i movimenti definiti extraconto nonchè l’inesistenza di una qualsiasi truffa per le erogazioni statali e il rimborso IVA. 2) inosservanza dell’art. 406 c.p.p., comma 3, per non avere il Gip notificato all’indagato le richieste di proroga delle indagini preliminari presentate il 5.3.2009 ed il 4.11.2009; consequenziale nullità ex art. 178, lett. c), delle ordinanze di proroga emesse il 13.3.2009 e il 10.11.2009 ed inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti fuori termine. Rileva che il P. doveva ritenersi persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’art. 406 all’atto della prima richiesta di proroga, emergendo con chiarezza dal fascicolo del PM che le indagini si svolgevano nei suoi confronti.
3) in via subordinata eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 407 c.p.p., comma 3 e art. 335 c.p.p., comma 1, in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., nella parte in cui non prevedono l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine massimo di durata delle indagini preliminari, individuato il dies a quo nel momento in cui l’iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata.
Motivi della decisione
Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni relative alla dedotta nullità dei decreti di proroga delle indagini preliminari e dei conseguenti atti di indagine e la richiesta subordinata di sollevare questione di legittimità costituzionale.
Ritiene il Collegio che le pur perspicue e pregevoli argomentazioni svolte dal difensore nel ricorso non possano essere accolte, non essendo sufficienti a far superare l’orientamento giurisprudenziale che recentemente si è andato affermando sul punto.
In sostanza, il ricorrente sostiene che il P. avrebbe dovuto ritenersi persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’art. 406 c.p.p., già all’atto della prima delle innumerevoli (e ritenute irregolari) richieste di proroga sottoposte al Gip. In particolare eccepisce: – che la PG, in ottemperanza della richiesta del PM del 19.9.2008, già in data 20.10.2008 aveva trasmesso al PM l’informativa con la quale identificava i soggetti coinvolti nella telefonata del 13.8.2007 in P.A., C.P.M. e P.S.; – che dopo che la PG aveva espletato indagini a carico di questi soggetti, già in data 23.12.2008 il PM aveva conferito incarico di consulenza per accertare quali condotte fossero state poste in essere dagli stessi con riferimento ai loro rapporti di affari con l’Angola o altro Stato estero; – che dunque dal fascicolo del PM trasmesso in occasione della prima richiesta di proroga emergevano le generalità dei soggetti indagati, i quali quindi avevano assunto tale qualità; – che la consapevole e cosciente omissione della iscrizione nel registro degli indagati non poteva privarlo del diritto di difesa costituzionalmente riconosciutogli; – che di conseguenza, essendogli state omesse tutte le notifiche ai sensi dell’art. 406, comma 3, tutte le proroghe sono nulle in forza dell’art. 407, comma 3, con l’ulteriore conseguenza che debbono essere dichiarati inutilizzabili tutte le prove raccolte dal PM tra il 20 marzo 2009 e il 12 aprile 2010.
Il tribunale del riesame ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità osservando che in realtà non vi è stato superamento del termine, perchè il PM deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato previste dall’art. 335 c.p.p. quando acquisisce elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della medesima persona, con la conseguenza che il termine per le indagini preliminari previsto dall’art. 405 c.p.p. decorre in modo autonomo da ciascuna successiva iscrizione. Deve aversi riguardo, cioè, al criterio di ordine sostanziale desumibile dall’art. 335 c.p.p., comma 2 secondo cui, quando non si tratti di mutamento della qualificazione giuridica del fatto nè di diverse circostanze del medesimo fatto non può parlarsi di aggiornamento dell’iscrizione, ma di iscrizione autonoma.
Ora, come ricorda il tribunale del riesame e come confermato nel ricorso dallo stesso ricorrente, nella specie il procedimento venne originariamente iscritto in data 19/09/2008 a carico di ignoti per il reato di cui all’art. 648 bis c.p. a seguito della intercettazione di una telefonata. Il 20.10.2008, la PG comunicò al PM l’identità dei soggetti coinvolti nella telefonata ed il 23.12.2008 il PM conferì incarico di consulenza per accertare quali condotte fossero state poste in essere dagli stessi con riferimento ai loro rapporti di affari con l’Angola o altro Stato estero. Il 5.3.2009 il PM chiese la proroga delle indagini concessa per mesi sei il 13.3.2009. Il CT depositò una relazione il 21.8.2009, rilevando che non si erano rinvenuti riscontri sull’ipotesi investigativa sui rapporti con l’Angola e prospettando la necessità di ulteriori investigazioni su possibili ipotesi dei reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ed all’art. 2261 c.c. e art. 640 c.p.. Il 4.11.2009 venne chiesta ulteriore proroga concessa il 10.11.2009 per sei mesi. Il 12.4.2010 il CT depositò la consulenza e nella stessa data il PM iscrisse il P. quale indagato sempre per il reato di cui all’art. 648 bis c.p.. L’8.11.2010 vi fu una ulteriore richiesta di proroga notificata al P. e concessa il 30.12.2010. Dopo ulteriori indagini anche in relazione ai reati ex D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’11.5.2011 il PM chiese nuova proroga del termine sempre per il solo reato di cui all’art. 648 bis, proroga concessa il 19.7.2011.
Il 10.1.2012 venne iscritto a carico del P. il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4. Il 26.1.2012 venne emesso decreto di perquisizione per i reati di cui all’art. 2621 c.c. e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5. Il 25.6.2012 il PM chiese la proroga delle indagini per i reati di cui all’art. 2621 c.c., art. 648 bis c.p. e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4.
Il 24.1.2013 il P. venne iscritto anche per i reati di cui agli artt. 483 e 640 bis c.p.p..
Il 26.2.2013 il PM chiese la misura cautelare e il 28.2.2013 venne applicata misura cautelare reale e personale.
Il Collegio ritiene di condividere l’opinione del tribunale del riesame, secondo cui si sarebbe trattato in realtà di nuove successive iscrizioni, a seguito di nuove notizie di reato, le cui indagini, anche attraverso le successive proroghe, sono state contenute nel termine di legge, computato con decorrenza da ciascuna nuova iscrizione.
Ma anche a ritenere fondata l’eccezione di irregolarità della ricordata lunga serie di nuove iscrizioni e proroghe, il Collegio ritiene che non possa essere accolta l’eccezione del ricorrente che denuncia la tardività dell’iscrizione, sostenendo che le condotte contestate ed il nome dell’indagato emergevano sin dal deposito della perizia da parte del consulente del P.M. Ed infatti, è vero che la Corte costituzionale, con l’ord. n. 307 del 2005, in relazione ad una questione di legittimità costituzionale dell’art. 335 c.p.p., comma 1 e art. 407 c.p.p., comma 3 in riferimento all’art. 3 Cost. comma 1, artt. 24 e 111 Cost., osservò che "nell’ipotesi, infatti, in cui il pubblico ministero procrastini indebitamente l’iscrizione del registro, il problema che può porsi attiene unicamente all’artificiosa dilazione del termine di durata massima delle indagini preliminari: vale a dire alla possibile elusione della sanzione di inutilizzabilità che colpirebbe, ai sensi dell’art. 407 c.p.p., comma 3, gli atti di indagine collocati temporalmente "a valle" della scadenza del predetto termine, computato a partire dal momento in cui l’iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata". La Corte, tuttavia, osservò che tale profilo restava estraneo al thema decidendum del giudizio a quo, nel quale si discuteva di atti comunque compiuti ampiamente entro il termine di durata massima delle indagini, e pertanto dichiarò inammissibile la questione per difetto di rilevanza.
Con l’ord. n. 306 del 2006, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile analoga questione perchè il giudice a quo non aveva compiuto il doveroso tentativo di individuare una interpretazione adeguatrice delle norme denunciate.
L’incertezza interpretativa, evidenziata dalla Corte costituzionale, è stata poi risolta dalle Sezioni Unite con la sentenza 24.9.2009, n. 40538, Lattanzi, massimata nel senso che "In tema di iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., il pubblico ministero, non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie di reato, è tenuto a provvedere alla iscrizione della "notitia criminis" senza che possa configurarsi un suo potere discrezionale al riguardo.
Ugualmente, una volta riscontrati, contestualmente o successivamente, elementi obiettivi di identificazione del soggetto cui il reato è attribuito, il pubblico ministero è tenuto a iscriverne il nome con altrettanta tempestività" (m. 244378); e che "il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicchè gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407 c.p.p., comma 3, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione. (Fattispecie di ordinanza di misura coercitiva sottoposta a riesame)" (m. 244376).
E’ inutile in questa sede ripetere le argomentazioni poste dalle Sezioni Unite a fondamento della sua decisione, alla quale pertanto qui si fa richiamo. Il ricorrente contesta queste argomentazioni e questa decisione con una serie di perspicue e interessanti considerazioni, che tuttavia, a parere del Collegio, non valgono a superare l’orientamento interpretativo recentemente affermato dalla Sezioni Unite e confermato dalle successive decisioni delle altre sezioni. Il ricorrente, peraltro, eccepisce, in via subordinata, che se è questa l’interpretazione che ormai costituisce il diritto vivente, dovrebbe essere sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 407 c.p.p., comma 3 e art. 335 c.p.p., comma 1, in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., nella parte in cui non prevedono l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine massimo di durata delle indagini preliminari, individuato il dies a quo nel momento in cui l’iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata.
Tale questione deve però essere dichiarata manifestamente infondata per le ragioni per le quali recentemente è stata dichiarata "manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 335 c.p.p., e art. 407 c.p.p., commi 2 e 3, nella parte in cui non prevedono l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre la scadenza del termine delle indagini preliminari computato non dal giorno di iscrizione del nominativo dell’indagato nell’apposito registro, bensì dal giorno in cui – emergendo a suo carico indizi di reità -, tale iscrizione avrebbe dovuto avere luogo" (Sez. 6, 4.12.2009, n. 2261 del 2010, Martino, m. 245850). E ciò proprio sulla base delle argomentazioni della citata sentenza delle Sezioni Unite 24.9.2009, n. 40538, Lattanzi. In tale sentenza, infatti, pur essendo stata rimarcata la totale mancanza di discrezionalità del P.M. nell’apprezzamento, sotto il profilo oggettivo e quello soggettivo, della notizia di reato e del nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, notizia e nome che vanno immediatamente iscritti nell’apposito registro, si è sottolineato che, per rimediare a possibili "patologie" derivanti da ritardi del pubblico ministero rispetto all’obbligo di procedere immediatamente alle iscrizioni delle notizie di reato, sarebbe necessaria l’individuazione "di un giudice e di un procedimento che consentisse l’adozione di un qualche provvedimento surrogatorio", che possono essere previsti soltanto per legge, risultando indispensabile sia la precisa indicazione di attribuzioni processuali di tale giudice, sia una disciplina del "rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale. Basti pensare, ad esempio, all’esigenza di rispettare il contraddittorio, non solo tra i soggetti necessari, ma anche in riferimento agli altri eventuali partecipanti della indagine o del processo. Se s’introducesse, infatti, un controllo ex post sul merito della tempestività delle iscrizioni, con possibilità di retrodatazione tale da compromettere l’utilizzazione di atti d’indagine, il relativo ius ad loquendum non potrebbe non essere riconosciuto anche agli eventuali altri indagati o persone offese, che dalla postuma dichiarazione d’inutilizzabilità di atti d’indagine potrebbero soffrire una grave compromissione, ove quegli atti fossero favorevoli alla loro posizione". Un siffatto rimedio non potrebbe poi essere individuato dalla Corte costituzionale, in mancanza di soluzioni procedimentali costituzionalmente obbligate, cosicchè il prospettato incidente di costituzionalità sarebbe destinato a una declaratoria di manifesta inammissibilità da parte del giudice delle leggi, essendo invece compito, ormai indilazionabile, del legislatore intervenire con "un innesto normativo per portare a soluzione i problemi, da tempo avvertiti, che scaturiscono dall’assenza di effettivi rimedi per le ipotesi di ritardi nell’iscrizione nel registro delle notizie di reato" (sent.
cit. delle S.U.).
In conclusione, il secondo ed il terzo motivo del ricorso devono essere respinti.
E’ invece fondato e va accolto il primo motivo, in quanto effettivamente la sentenza impugnata si fonda in più punti su una motivazione meramente apparente e, in sostanza, mancante sia perchè non sono state esaminate le specifiche eccezioni e la specifica documentazione prodotta dalla difesa, sia perchè fa ricorso a presunzioni che valgono in materia tributaria, ma non possono valere in materia penale, dove vige il principio che l’onere della prova spetta all’accusa la quale, anche in sede cautelare, deve provare quanto meno il fumus dei contestati reati di frode fiscale.
In ogni modo, questa Corte ha plurime volte affermato il principio che il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, xxx, m.
227.498; Sez. 3, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, xxx, m. 234197; Sez. 4, 29.1.2007, 10979, xxx, m. 236193; Sez. 1, 11.5.2007, n. 21736, xxx, m. 236474; Sez. 4, 21.5.2008, n. 23944, xxx, m. 240521; Sez. 2, 2.10.2008, n. 2808/09, xxx, m. 242650).
Il ricorrente esattamente lamenta che le specifiche eccezioni sollevate dalla difesa, attraverso le relazioni dei propri consulenti, sono state superate dal tribunale con l’affermazione che le conclusioni degli operatori della guardia di finanza in relazione a presunti redditi occulti "verosimilmente provenienti dall’attività di impresa svolta dall’indagato attraverso le varie società a lui riconducibili", "non risultano contraddette allo stato dalle diverse conclusioni dei consulenti della difesa, basate su una diversa valutazione dei fatti e che comunque non sono in grado di fornire una spiegazione convincente in ordine alla incontestabile sproporzione tra i redditi dichiarati e l’entità delle complessive movimentazioni effettuate dall’indagato". Si tratta di una affermazione apodittica, perchè non sono indicate le ragioni per le quali gli elementi anche documentali prodotti dalla difesa non sarebbero in grado di contrastare la valutazioni della PG. Il ricorrente ricorda che aveva depositato una consulenza dei dott. C. e A. ove erano indicate espressamente e per singole voci le provenienze delle movimentazioni sui conti corrente del P. segnalati dalla GdF, con la precisazione per ognuna delle specifiche giustificazioni.
Osserva quindi che l’indagato, attraverso queste consulenze, aveva giustificato tutti i movimenti definiti extra conto e ritenuti – attraverso le presunzioni tributarie – prova di introiti riferibili al P. persona fisica, non assoggettati, secondo la tesi dell’accusa, a tassazione. Ora, giustamente il ricorrente lamenta che a fronte di queste analitiche e documentate indicazioni sulla legittimità e la provenienza dei versamenti indicati come frutto di evasione, il tribunale del riesame avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali tale documentazione era ritenuta non conferente.
Analoga mancanza di motivazione si evidenzia in ordine ai plurimi rilievi difensivi in ordine alla truffa contestata al P. per le erogazioni statali ed il rimborso IVA nell’ambito della vicenda "xxx". Secondo il tribunale del riesame il fumus del reato di cui all’art. 640 bis c.p. si ricaverebbe dalla relazione trasmessa dalla banca concessionaria il 30.6.2010, dalla quale risulterebbe che le unità erano "conformate ed utilizzate come appartamenti veri e propri e che appare evidente – come dimostrato dal rilievo fotografico – che tali unità sono stabilmente occupate".
La difesa, però, anche a mezzo della consulenza dell’ing. R. e della dott.ssa Pr., aveva eccepito che alla data del sopralluogo la struttura non era in funzione mentre era invece concluso il mero adempimento finanziario; e che, dopo aver ottenuto le concessione, l’albergo era entrato in funzione, ricevendo ospiti come sarebbe dimostrato dalle fatture esibite. Queste eccezioni e questi elementi documentali non sono stati presi in esame e valutati dal tribunale del riesame. In particolare, il tribunale ha omesso di valutare l’eccezione difensiva fondata sulla circolare del 13.10.2000 del ministero del commercio, industria, artigianato, la quale stabilirebbe che "la data di ultimazione del programma è quella relativa all’ultimo dei titoli di spesa ammissibili", mentre la data di entrata a regime coinciderebbe con quella di inizio dell’attività cui il finanziamento è finalizzato.
Il ricorrente rileva ancora che aveva anche portato la dimostrazione della effettiva funzionalità della struttura alberghiera, ricavata dalla indicazione delle singole fatture rilasciate ai clienti, dalle richieste informazioni circa le schede dei clienti esistenti presso la questura e dalla fotografie prodotte. Anche su queste eccezioni l’ordinanza impugnata difetta di motivazione.
Può ancora rilevarsi che il tribunale afferma ancora che resta ferma la necessità di approfondimenti da parte del pubblico ministero, senza spiegare perchè dopo diversi anni di indagini fossero ancora necessari approfondimenti investigativi e perchè questa circostanza dovesse ritenersi irrilevante ai fini di un provvedimento incidente sul diritto costituzionalmente garantito.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata per difetto di motivazione con rinvio al tribunale di Benevento.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Benevento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2013

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