Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 04-12-2013, n. 48563

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. R.F., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria, depositata il 7/2/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, in regime di custodia cautelare, dal 16/3/2006 al 3/4/2006, per i delitti di partecipazione ad associazione ad delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata, dai quali era stato successivamente assolto.
2. La Corte territoriale, dopo aver chiarito che dal reato associativo il richiedente era stato prosciolto, essendo stati considerati i fatti contestati i medesimi in relazione ai quali lo stesso aveva già riportato definitiva condanna, ravvisa la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, per quanto appresso.
La vicenda per la quale il R. era stato prosciolto, positivamente accertata nel precedente giudicato fino alla data del 29/11/2001, e che qualificava il soggetto come mafioso, forniva "una chiave di lettura significativa della sua successiva condotta". Pur giudicati insufficienti i riscontri alla chiamata di correo da parte di coimputati soggettivamente attendibili non era dubbio che le accertate frequentazioni del R., anche successive al periodo coperto dal giudicato, inducevano a delineare una condotta gravemente imprudente, che forniva l’apparenza della continuità del collegamento associativo.
Quanto alla estorsione la Corte territoriale evidenzia due circostanze essenziali: a) C.F., p.o., aveva dichiarato di aver subito delle "pressioni" da Ch.Do. e R. F. e di essersi ad esse adeguato per "poter lavorare tranquillamente"; b) il R., davanti alle specifiche chiamate di correo e alle dichiarazioni della p.o. non aveva inteso fornire chiarimento di sorta, chiarimento che, invece, nel caso di specie, doveva reputarsi necessario.
3. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale, anche sotto il profilo della violazione di legge.
Assume il R. che la Corte reggina era incorsa in plurimi errori di valutazione degli elementi a disposizione: a)nessun rilievo si sarebbe dovuto dare alle dichiarazioni di collaboranti non riscontrate; b) non rilevava la circostanza che il ricorrente per il reato associativo fosse stato prosciolto in quanto per i medesimi fatti era già stato giudicato, in quanto lo stesso trovavasi in vinculis anche per l’estorsione; c) non era conferente il riferimento ad un isolato episodio nel quale era stato trovato in compagnia di persona pregiudicata, nè l’essere stato oggetto di misura di prevenzione in epoca di gran lunga precedente; d) illogico aver ritenuto che il silenzio serbato nel corso dell’interrogatorio di garanzia aveva in alcun modo potuto trarre in inganno le autorità inquirenti, stante che non sussisteva alcuna circostanza equivoca che il R. avrebbe avuto l’onere di chiarire. In conclusione, secondo il ricorrente, non è dato cogliere dal provvedimento impugnato in cosa fosse consistita la colpa grave del richiedente.
4. Con memoria pervenuta il 28/9/2013 l’Avvocatura generale dello Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.
5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.
5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione di stupefacente.
5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato in cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente.
Il R., condannato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso, continuando a frequentare malavitosi (sul punto non ha rilievo decisivo la quantità dei contatti che la P.G. era stata in grado di attestare, quanto l’esistenza del rapporto di collegamento con personaggi di significativa caratura criminale) e, soprattutto, omettendo di chiarire tempestivamente nell’apposita sede dell’interrogatorio di garanzia i suoi rapporti con l’estorto, spiegando se e quali "pressioni" avesse sul medesimo esercitato, ha, all’evidenza, per grave trascuratezza, indotto gli inquirenti a ritenerlo responsabile dei delitti al medesimo contestati.
Sul piano soggettivo, poi, non poteva sfuggire al R., segnato, come si è detto da grave precedente penale, il cui fondamento riposa largamente sulla qualità dei rapporti sociali intrattenuti, che una simile condotta era idonea a indurre negli inquirenti il convincimento di penale responsabilità.
Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto all’indennizzo in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056 cod. civ.), deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poichè inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., predetto comma 1 quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. 4, 16/10/2007, n. 42729). Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che in presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito quel minimo di collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce.
Deve, sul detto ultimo punto, contestarsi l’assunto impugnatorio: di frequentazioni che inducevano a ritenere ripresa la partecipazione alla societas sceleris e, infine, la conferma di sintomatiche "pressioni" da parte della vittima di estorsione costituivano più che rilevanti tasselli di un quadro gravemente indiziario, che l’indagato aveva l’onere di tempestivamente contestare puntualmente.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese e al rimborso delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la notula, si liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2013

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