Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15092

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Svolgimento del processo
Per procedere alla ricostruzione delle aree soggette al sisma del Belice del 1968, il Ministero dei LL.PP. – Provveditorato Regionale alle 00.PP. della Sicilia – con decreto 11.5.1998 approvò il progetto relativo ai lavori di urbanizzazione nei comparti del Comune di xxx, il Prefetto di Trapani procedette alla autorizzazione alla occupazione d’urgenza delle aree ed in data 11.7.2002 venne emesso dal Prefetto stesso decreto di esproprio anche delle aree di C.A. per estensione di mq. 1950, espropriante il Ministero, e si dispose il deposito delle indennità. In data 14.06.2001, completati i lavori di urbanizzazione, vennero consegnate le aree espropriate al Comune di xxx (individuato dal Genio Civile come il beneficiario dell’esproprio L. n. 241 del 1968, ex art. 14).
C.A. propose quindi, con atto 9.10.2002, opposizione alla stima innanzi alla Corte di Palermo, convenendo il Comune e le Amministrazioni dello Stato. Il Comune, costituendosi, eccepì il difetto della propria legittimazione (essendo il destinatario dei beni solo dopo il compiuto collaudo delle costruzioni) e contestò la misura della indennità. Costituitisi i convenuti, la Corte di Palermo, con sentenza 26.10.2005, determinò a carico del Comune l’indennità di esproprio dovuta in Euro 58.700 e l’indennità di occupazione legittima liquidata in Euro 9.000,00, oltre interessi legali e refusione di spese, ed assolse dalla domanda le Amministrazioni dello Stato. Nella motivazione la Corte territoriale osservò: che essendo il Comune di xxx il soggetto a beneficio del quale era stato adottato l’esproprio non avevano legittimazione passiva le Amministrazioni dello Stato, che l’area espropriata ricadeva in zona B3 con indice di fabbricabilità di 3 mc/mq, che era pertanto corretta l’individuazione del valore unitario dell’area in Euro 60,00 a mq e che pertanto andavano riconosciute L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis le indennità di esproprio di Euro 58.700,00 e di occupazione legittima, in misura pari agli interessi legali sull’indennità per ogni anno di occupazione e quindi in Euro 9.000,00.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 30.11.2005, il Comune di xxx ha proposto ricorso il 25.1.2006 articolando cinque motivi, ai quali ha opposto difese il C. nel proprio controricorso del 6.3.2006. I difensori hanno discusso oralmente.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che, nessuna delle censure proposte meritando condivisione, il ricorso debba essere rigettato.
Primo motivo: esso denunzia la violazione delle norme sulla competenza, avendo erroneamente la Corte di merito pronunziato in unico grado in fattispecie sottratta alla applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 19 come da esso Comune eccepito nella conclusionale del 4.7.2005. Ritiene i Collegio che, se in tesi l’eccezione sarebbe fondata (Cass. 23971 del 2004, 18450 e 25718 del 2011) stante la non applicazione alla vicenda espropriativa della L. n. 865 del 1971 (D.L. n. 79 del 1968, ex artt. 13 e 14 convertito in L. n. 241 del 1968), è assorbente il rilievo per cui di tale eccezione è "confessata" la tardività rispetto agli applicabili termini di cui all’art. 38 c.p.c., termini che ne imponevano la formulazione od il rilievo in comparsa o non oltre la prima udienza di trattazione (vd. S.U. 11657 del 2008 e Cass. 4007 del 2009).
Secondo e terzo motivo: esso ribadisce l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di esso Comune – l’Ente essendo solo il destinatario a titolo gratuito delle aree urbanizzate e collaudate – e pertanto deduce essere stato violato il disposto della L. n. 241 del 1968, art. 14: tale disposizione, nell’individuare nel Comune il beneficiario indiretto e successivo della proprietà delle aree con cessione gratuita e nell’indicare l’obbligato al deposito delle indennità nel Ministero, il cui Provveditorato Regionale aveva chiesto la mera intestazione formale al Comune della proprietà delle aree ablate, escluderebbe, ad avviso del Comune ricorrente, che la obbligazione per le indennità possa gravare in capo al Comune stesso. La censura non è fondata.
A ben vedere è lo stesso ricorrente ad ammettere che l’esproprio nel caso de quo – anche se per evitare il "doppio trasferimento" con successiva cessione gratuita, come previsto dalla disposizione di legge – individuò come immediato beneficiario il Comune di xxx:
a pag. 14 del ricorso si trascrive la nota 28.3.2000 della Sezione Autonoma dell’Ufficio del Genio Civile e si spiega che si era scelto di intestare direttamente al Comune il decreto di esproprio per evitare l’aggravio di attività amministrativa. Il decisum, pertanto, è conforme all’orientamento fermo di questa Corte per il quale parte obbligata al pagamento delle indennità è il soggetto a cui vantaggio è pronunziato l’esproprio (Cass. 6367 del 2001, 9097 del 2003, 11768 del 2010). Non si scorge quindi il senso di una censura che richiama il disposto di legge e ne denunzia la violazione, per poi dare atto che nella specie detto disposto è stato "superato" con la predetta intestazione diretta "semplificatoria".
Rileva infatti, esclusivamente, che il beneficiario della espropriazione sia stato sostanzialmente, non meno che formalmente, solo il Comune, odierno ricorrente.
Quarto motivo: esso censura la acritica accettazione delle indicazioni della CTU operata senza rilevare, come denunziato, la contraddizione e la incompletezza nell’avere invocato il metodo di stima sintetico comparativo senza aver effettuato alcuna indagine di mercato e senza avvedersi della contraddizione nella quale essa sentenza incorreva dissentendo dalle valutazioni dell’Amministrazione che sarebbero state proposte senza adeguate indagini di mercato. Le censure, esposte senza alcuna compiuta descrizione dei tempi e dei luoghi nei quali vennero formulate le critiche alla CTU "supinamente" recepita dalla Corte di merito, ed anzi assumendo che esse vennero svolte in conclusionale, non sono ammissibili. Ed infatti, l’errore denunziato avrebbe dovuto emergere all’esito di precisa contestazione difensiva già nella prima udienza successiva al deposito della CTU, ove tempestivo (Cass. 11275 del 2012, 24996 de 2010 e 22843 del 2006), o, se intempestivo, nella prima udienza successiva al deposito stesso, e non certo nella sede delle difese finali.
Quinto motivo: esso lamenta l’omessa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 non avendo la Corte neanche risposto alla osservazione al proposito fatta in comparsa dal Comune.
Rileva il Collegio che non residua più alcun interesse all’esame di tale censura, posto che la questione resta assorbita dalla sopravvenuta pronunzia 331 del 2011 di incostituzionalità della norma della quale si lamenta la mancata applicazione.
Le spese del giudizio si regolano secondo il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Comune a versare al controricorrente C. per spese di giudizio la somma di Euro 4.200,00 (Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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