Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 04-12-2013, n. 48562

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. B.L., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Roma, depositata il 28/4/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, in regime di custodia cautelare, dal 4/7/1997 al 15/11/2007 e, agli arresti domiciliari, fino al 13/5/1998, per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 dal quale era stata assolta.
2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, per quanto appresso.
La B. era stata tratta in arresto con l’accusa di aver fatto parte di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti sulla base dell’evidenze probatorie derivanti dalle plurime intercettazioni telefoniche disposte. La Corte territoriale rimproverava alla ricorrente di aver dimostrato nelle conversazioni captate di mantenere penetranti rapporti d’affari con il cognato C.D. (latitante da lungo tempo in Colombia, in quanto colpito da ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Milano, con l’accusa di assai rilevante narcotraffico), la moglie di quest’ultimo, R.V.S., T.D. e Bu.Ma., concernenti oggetti rimasti criptici, nonostante il rilevante valore economico al quale talvolta si faceva riferimento nelle conversazioni, resi non direttamente intellegibili dall’uso di un linguaggio convenzionale, allusivo e sospetto, che, anche a condividere l’ipotesi avanzata dal giudice dell’assoluzione, indirizzavano comunque al traffico illegale di pietre preziose.
3. La ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale, anche sotto il profilo della violazione di legge.
Assume la B. che la Corte romana non aveva considerato, siccome evidenziato dal giudice dell’assoluzione, che la congettura investigativa non aveva trovato riscontro di sorta, stante che non era rimasta dimostrata attività d’illegale commercio e il contenuto delle telefonate assumeva mero valore neutro.
4. Con memoria del pervenuta il 14/9/2013 l’Avvocatura generale dello Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.
5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.
5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione di stupefacente.
5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato in cosa sia consistita la colpa grave della ricorrente, la quale aveva tenuto comportamento ambiguo, dimostrando particolare dimestichezza a colloquiare attraverso codici linguistici criptati con soggetti sicuramente inseriti in operazioni di narcotraffico in via stabile, mostrandosi, non solo informata, ma coinvolta ed interessata alle vicende che, tenuto conto dei soggetti, delle cautele linguistiche, dell’entità delle somme di denaro prese in considerazione indirizzavano verso la piena e consapevole partecipazione della donna ad una consorteria criminale dedicata al traffico internazionale di stupefacenti (nella specie cocaina, stante che il cognato era accusato di aver importato ben 200 Kg della detta sostanza).
Sul piano soggettivo, poi, non poteva sfuggire alla B., la quale era affine e, comunque intima ai soggetti coinvolti, che una simile condotta era idonea a indurre negli inquirenti il convincimento di penale responsabilità della predetta. Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056 cod. civ.), deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro all’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poichè inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. 4, 16/10/2007, n. 42729). Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che in presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito quel minimo di collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese e al rimborso delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la notula si liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2013

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