Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15091

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con citazione del 18.5.1990 A.N., proprietario di un terreno in (OMISSIS) occupato dal Comune per la realizzazione di edifici nell’ambito del PEEP, sull’assunto che una parte di tale area, oltre a quella ben maggiore ed espropriata, e pari a circa mq.
153 era stata occupata e quindi irreversibilmente trasformata in assenza di dichiarazione di p.u., convenne l’Ente innanzi al Comune per ottenere il risarcimento del danno. Il Tribunale di Bari con sentenza 6.2.2002 in accoglimento della eccezione del Comune rigettò la domanda per l’avverata prescrizione del diritto, posto che la citazione era intervenuta dopo la scadenza del quinquennio dal fatto illecito. L’ A. ha quindi proposto appello e si è costituito il Comune chiedendone la reiezione. La Corte di Bari, con sentenza 24.3.2005, in parziale accoglimento dell’appello ha riconosciuto all’appellante il chiesto risarcimento per la somma di Euro 4.741,07 oltre rivalutazione dal 1984 alla data della sentenza e con gli interessi legali sulla sorte annualmente rivalutata. In motivazione la Corte di merito ha affermato: che non si era avverata alcuna prescrizione posto che si verteva in tema di occupazione usurpativa, stante l’allegato difetto della dichiarazione di p.u., e pertanto trattavasi di illecito permanente che solo con la citazione consolidava i suoi effetti risarcitori, che in particolare emergeva che l’approvazione del PEEP era avvenuta con Delib. 30 agosto 1988 quando l’opera era stata già sine titulo realizzata sull’area de qua (20.3.1984), che per accertare il valore dell’area si doveva far capo al PRG del 1976 che classificava la zona in C1 e quindi ne emergeva la natura edificatoria, che conseguentemente andava condivisa la valutazione scaturente dalle due relazioni di CTU pari a L. 60.000 a mq.
Per la cassazione di tale sentenza A.N. ha proposto ricorso il 29.3.2006 dispiegando un motivo cui il Comune si è opposto con controricorso 5.5.2006 contenente ricorso incidentale affidato a due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie finali.
Motivi della decisione
Riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c., ritiene il Collegio che la infondatezza di tutte le censure proposte avverso la sentenza della Corte di Bari imponga il rigetto delle due impugnazioni. Esse si esaminano separatamente.
Ricorso di A.N..
Il ricorso censura per contraddittorietà di motivazione l’argomentazione della Corte di Bari là dove ha deciso di individuare in L. 60,000 a mq. il valore dell’area: afferma il ricorrente che la CTU E. aveva individuato il valore in L. 50.000 a mc. e quindi, essendo applicabile l’indice fondiario pari a 2, in L. 100.000 a mq; ricorda quindi il ricorso che una seconda CTU aveva invece attestato apoditticamente il valore in L. 60.000 a mq e che era stata depositata una CTP attorea nei suoi confronti fortemente critica; sostiene quindi che la Corte di Bari avrebbe prestato adesione acritica alle relazione peritali senza farsi carico di esaminare e confutare i rilievi di parte che facevano risaltare la carenza di indagini e la erroneità di dati comparativi assunti dai CTU; segnala infine il ricorso che comunque la Corte avrebbe dato immotivata preferenza per la conclusione della seconda CTU senza neanche farsi carico di ragguagliarla alla prima, indicante un ben maggiore valore.
Il ricorso è privo di fondamento perchè si affida, in sostanza, solo a valutazioni di fatto prive di alcuna autosufficienza: non è consentito infatti affermare la assenza di motivazione della sentenza nel non aver preso in esame, per motivatamente disattenderle, le critiche contenute nella CTP alla relazione del CTU senza contestualmente indicare su quali basi e per quali ragioni la CTP contrapposta alla CTU avrebbe portato alla corretta valutazione del valore sulla base del prescelto criterio sintetico comparativo. Del resto il ricorso si limita a rinviare ad un "esatto" maggior valore di L. 24.480.000 nell’anno 1984 individuato dalla CTP ed a contrapporlo al ben minor valore recepito dalla CTU condivisa dalla Corte di merito (L. 9.180.000 pari ad Euro 4.741,00) ma nulla il ricorso espone per far ritenere rilevanti i diversi criteri ed i diversi parametri utilizzati per attingere quel risultato (quali atti assunti a tertium comparationis e quali ragioni ne avrebbero imposto l’adozione come persuasivi). E pertanto il ricorso, affidato a tal genere di censure, non è accoglibile.
Ricorso del Comune.
Primo motivo: La doglianza di difetto di interesse a impugnare una decisione che, comunque aveva accordato il bene della vita la cui quantificazione era stata dall’attore rimessa al giudice, non è una censura alla sentenza; si tratta solo della prospettazione di una ragione di inammissibilità per difetto di interesse del ricorso principale, sul rilievo per il quale avendo l’ A. in primo grado chiesto Euro 77.000,00 o minor somma, non si poteva dolere della liquidazione di tale minor somma di Euro 4.741,00. Orbene, se la reiezione del ricorso principale indurrebbe a ritenere assorbita siffatta questione, il suo carattere preliminare ne impone la autonoma valutazione ma, conseguentemente, il rilievo della sua inconsistenza evidente ne impone il rigetto (non scorgendosi come una domanda di risarcimento danni da "espropriazione sostanziale" conclusa dalla clausola di stile della remissione alla liquidazione operata dal giudice possa rendere improponibile per preventiva acquiescenza qualsiasi liquidazione operata dal giudice stesso).
Secondo motivo: esso denunzia la sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c. non avendo la Corte di merito considerato che era l’attore che, dalla citazione introduttiva a tutte le sue difese, aveva sostenuto che si trattava di occupazione acquisitiva (nel mentre il Comune aveva sempre ipotizzato la o. usurpativa) e ciò aveva fatto in coerenza con il fatto che nel 1988 era intervenuta la dichiarazione di p.u. Ebbene, secondo il ricorrente Comune, stante la pacifica e sempre ribadita diversità delle ipotesi nelle due occupazioni, la conversione dell’ A. alla ipotesi della o. acquisitiva era avvenuta solo tardivamente, con la conclusionale del 6.7.2000, e pertanto di essa la Corte non avrebbe potuto conoscere con la necessità di cassare senza rinvio la sentenza che, invece, aveva esaminato tal domanda inammissibile. Il motivo è certamente infondato. L’approccio della doglianza alla questione della indebita modificazione della causa petendi appare infatti fuor di segno.
La Corte di merito ha in limine qualificato la domanda introduttiva, sull’assunto che tale qualificazione fosse imposta dal rilievo della distinzione tra i due istituti e dal fatto che il primo giudice, nella logica della o. acquisitiva, avesse dichiarato la prescrizione rigettando la domanda. Ebbene la sentenza qui impugnata enumera con chiarezza le ragioni per far ritenere che ab origine fosse stata invece proposta domanda di risarcimento danni da occupazione usurpativa per difetto della previa dichiarazione di p.u. (vd. pag.
4). Di contro il ricorso, dando per "evidente" che la domanda fosse inizialmente fondata sulla vicenda di o. acquisitiva e che solo in conclusionale fosse stata "emendata", postula che la Corte di merito abbia di tal (seconda e nuova) domanda indebitamente conosciuto e pertanto denunzia il vizio di violazione dell’art. 345 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza che di tal domanda nuova ebbe a conoscere.
La totale dissonanza tra la struttura logica della decisione (che ha interpretato la domanda iniziale e la ha qualificata per una precisa causa petendi e su tali basi ha giudicato) e la censura (che senza curarsi di contestare la correttezza di tale interpretazione da per pacifico che quella causa petendi venne introdotta tardivamente, nella conclusionale innanzi al Tribunale) rende pertanto non ricevibile la censura e dispensa il Collegio dalla diretta lettura degli atti, come altrimenti imposto dalla recente decisione delle S.U. di questa Corte n. 8077 del 2012. Il principio di tale pronunzia è infatti quello per il quale "quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità dei procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dai codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)".
Va per mera completezza rammentato che recenti pronunzie di questa Corte (Cass. 17316 del 2011 e 16750 del 2010) hanno radicalmente ridimensionato la portata pratica della distinzione tra i due istituti e va anche soggiunto che, quando pure fosse stata da esaminare la domanda di risarcimento danni da o. acquisitiva e la correlata eccezione di prescrizione non per questo essa avrebbe visto prescritto il diritto al ristoro, data la nota operatività dell’istituto solo dal 1988 (L. n. 458 del 1988, art. 3) come da questa Corte affermato con le sentenze 12863 del 2010 e 2064 del 2012, o dalla pubblicazione della sentenza additiva 486 del 1991 della Corte Costituzionale, con la conseguenza di dover ritenere comunque improponibile la questione a fronte di una citazione del 18.5.1990.
Terzo motivo: esso denunzia l’errore commesso nel non aver avvertito che l’area de qua, come fatto presente dal CTP e ribadito in memoria, pur se ricadente in C1 era però assoggettata a fascia di rispetto stradale e quindi ad un vincolo di in edificabilità. Il motivo va respinto.
Infatti l’eccezione era stata posta in primo grado ma è stata non tempestivamente riproposta in appello (essa è stata, infatti, riproposta solo con la memoria di replica in appello: cfr. pag. 15 controricorso), sicchè il Comune si è difeso quale appellato che si è limitato a chiedere il rigetto dell’appello senza nulla osservare nella sede e nei termini di cui all’art. 346 c.p.c. (Cass. 23925 e 24021 del 2010) sulla piena applicazione del criterio del valore del suolo a parametro di suolo edificabile e solo riproponendo la questione, tardivamente, nella memoria di replica finale (Cass. 5735 del 2011). L’esito del giudizio induce a compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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