Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 04-12-2013, n. 48561

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. I.S., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro, depositata il 23/11/2011, con la quale venne rigettata la istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione dal medesimo avanzata, non avendo il predetto provveduto a depositare, sibbene sollecitato, copia dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in relazione alla quale era stata avanzata la richiesta.
2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata denunziando violazione dell’art. 314, cod. proc. pen..
L’omessa produzione non era da attribuirsi a causa estranea al volere della parte: siccome poteva trarsi dalla nota rilasciata dall’ufficio giudiziario di Crotone non era stato possibile reperire l’atto perchè l’archivio non era accessibile in quanto infestato dai ratti.
Poichè la difesa aveva fatto tutto il possibile per reperire l’atto sarebbe spettato alla Corte territoriale provvedere d’ufficio all’acquisizione.
3. Con memoria del pervenuta il 18/9/2013 l’Avvocatura generale dello Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.
4. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.
La prospettazione impugnatoria si mostra priva di autosufficienza e discordante con gli atti nella diretta disponibilità di questa Corte.
All’udienza del 18/2/2011 la Corte di Catanzaro rinviò a quella del 17/6/2011, onde consentire alla Difesa di completare la produzione documentale, mancando in atti l’ordinanza di custodia cautelare, che, all’evidenza, costituisce documento fondante per il vaglio della richiesta d’indennizzo per ingiusta detenzione. Non solo non viene documentalmente provato che proprio nel periodo decorrente dal 18/2/2011 al 17/6/2011 l’archivio restò inaccessibile per la presenza di roditori, ma, addirittura, all’udienza del 17/6/2011 nella quale lo I. avrebbe dovuto produrre l’ordinanza di cui si è detto, nessuno per il medesimo comparve. Venuta quindi meno, nella migliore delle ipotesi, la pur minima collaborazione da parte dell’istante non appare persuasivo evocare, in ragione dello spirito solidaristico dell’istituto, come mostra invece di fare il P.G. in sede, il potere del giudice di richiedere informazioni alla P.A. (art. 213 c.p.c. e art. 738 c.p.c., comma 3). L’inerzia ingiustificata dell’interessato, il quale disertò l’udienza concessagli proprio al fine di completare la produzione documentale, non altrimenti vincibile, (un ulteriore, e questa volta immotivato ulteriore rinvio, non avrebbe avuto alcuna garanzia di successo e avrebbe violato l’esigenza di assicurare una ragionevole durata al procedimento), imponeva la decisione allo stato degli atti, che, nel caso al vaglio, ha comportato il rigetto dell’istanza. Infatti, anche a non volere seguire sino in fondo l’orientamento di recente espresso da questa Corte (Cass., Sez. 4, n. 2429/012 del 13/12/2011), secondo il quale nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione il giudice deve rigettare l’istanza se le parti non ottemperino al suo invito ad integrare la documentazione presentata, trovando applicazione le regole del processo civile ed essendo, pertanto, preclusi al giudicante gli accertamenti di ufficio; anche secondo il meno recente e più favorevole orientamento maturato in sede di legittimità (Cass., Sez. 4, n. 3042 del 24/5/2000) ove la parte non ottemperi all’invito volto ad accertare l’esistenza del dolo o della colpa grave dell’istante, e non fornisca giustificazione alcuna al riguardo, viene sottratta al giudice la possibilità di accertare tale presupposto, legislativamente previsto, con la conseguenza che sulla sua positiva esistenza viene a mancare ogni prova e la relativa istanza legittimamente viene rigettata.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese e al rimborso delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la notula, si liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2013

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