Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15089

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Svolgimento del processo
De.Mi., L., M., Lu., G. e C. con citazione del 17.2.1998 convennero innanzi al Tribunale di Agrigento il Comune di xxx e l’IACP della Provincia e, sull’assunto di essere proprietari di un fondo sito in (OMISSIS) sul quale era stata localizzata l’area per la costruzione di alloggi di ERP con delega all’IACP per le procedure di esproprio e di aver visto l’occupazione deliberata l’8.3.1983, iniziata il 3.5.1983 e realizzate le opere, nell’Agosto 1984, senza alcun intervento del decreto di esproprio, chiesero il risarcimento dei danni da occupazione appropriativa. Il Tribunale di Agrigento con sentenza 15.2.2001, rilevata la prescrizione quinquennale del credito risarcitorio azionato, compiutasi l’8.3.1996 (e quindi decorrente dall’8.3.1991 quando erano scaduti i periodi iniziali e prorogati di occupazione legittima, per complessivi anni otto ), rigettò detta domanda e riconobbe solo l’indennità di occupazione legittima. La Corte di Palermo, con sentenza 30.3.2005, respinse il gravame dei D. osservando che la legge di proroga 158 del 1991 benchè espressamente retroattiva con riguardo alle occupazioni in atto all’1.1.1991, non poteva esplicare i suoi effetti di proroga nella ipotesi di un bene irreversibilmente trasformato prima della sua entrata in vigore, che pertanto, scaduta la proroga all’8.3.1991 ed in tal data realizzatasi la fattispecie acquisitiva (dato che gli immobili erano stati costruiti sin dal 1984), era da tal data che andava esercitata l’azione risarcitoria sì che la citazione del febbraio 1998 era da ritenersi intervenuta a diritto prescritto, che neanche era ipotizzabile una illegittimità dell’istituto della occupazione appropriativa essendo comunque intervenuta una dichiarazione di p.u. ed all’espropriato sostanziale comunque spettando un ragionevole risarcimento.
Per la cassazione di tale sentenza i D., in proprio e per la defunta De.Mi., hanno proposto ricorso il 24.3.2006 articolando due motivi ai quali hanno resistito l’IACP di Agrigento ed il Comune di xxx con controricorsi.
I D. hanno depositato memoria finale.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio, esaminando i due motivi congiuntamente stante la stretta connessione delle questioni da essi poste, che debbasi condividere la censura di errata dichiarazione della prescrizione, sebbene per ragioni di diritto che impongono, al contempo, una radicale revisione delle ragioni esposte nella motivazione della sentenza d’appello ed una riaffermazione dei principii posti da questa Corte sulla decorrenza della prescrizione in subjecta materia.
Primo motivo: esso lamenta la violazione dell’art. 2935 c.c., 22 della L. n. 158 del 1991, art. 22 e della L. n. 162 del 2002, art. 4 per avere la Corte di merito svuotato di senso la espressa previsione di efficacia retroattiva della L. n. 158 del 1991, art. 22 (che l’art. 23 infatti affermava doversi applicare alle occupazioni in atto all’11.1.1991) e per aver parallelamente privato di effetti la previsione dell’art. 2935 c.c.. là dove aveva affermato potersi proporre domanda sin da 9.3.1991 e quindi anche quando (dal 22.5.1991) l’occupazione era stata prorogata e la domanda sarebbe stata certamente respinta.
Secondo motivo: esso denunzia la contrarietà della occupazione acquisiva, ne tempo in cui sarebbe maturato il dies a quo della prescrizione quinquennale, ai principii posti dalla CEDU: se solo con le sentenze di legittimità dell’anno 2000 e quindi con la redazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 potrebbe predicarsi la trasformazione, tramite "legalizzazione", dell’illecito permanente in fatto disciplinato dalla legge e produttivo di obbligazione risarcitoria, ne discenderebbe, ad avviso dei ricorrenti, la impraticabilità della decorrenza della prescrizione sin dalla data della cessazione della occupazione legittima.
Giova prendere le mosse – proprio su sollecitazione della problematica posta dal secondo motivo, che giustamente induce a riconsiderare il quadro di compatibilità istituzionale dell’istituto di creazione pretoria della occupazione acquisitiva – dal principio formulato e ripetutamente ribadito da questa Corte (Cass. 20543 e 22407 del 2008, 9620 e 12863 del 2010, 2064 del 2012), un principio consapevolmente formulato nell’ambito della riconsiderazione dell’istituto della occupazione acquisitiva in un quadro di compatibilità con il disposto di cui all’art. 1 prot. 1 della C.E.D.U (come indicato da S.U. 6853 del 2003).
E’ stato dunque affermato che la fattispecie della c.d. accessione invertita (illegittima occupazione acquisitiva) – come delineata, con la decisione 1464 del 1983 delle Sezioni Unite, e normativamente per la prima volta riconosciuta dalla L. n. 458 del 1988, art. 3 – considerata quale illecito istantaneo da cui consegue i diritto del proprietario al risarcimento del danno costituito dalla irreversibile trasformazione del bene occupato e dalla correlata perdita della proprietà (che viene acquisita dall’amministrazione occupante, per accessione all’opera pubblica realizzata), non confligge con l’art. 1, primo protocollo della CEDU. Ed infatti, la norma europea, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, è solo diretta ad escludere che il bene del privato possa essere acquisito dalla P.A. per ragioni diverse dalla pubblica utilità e senza un ristoro effettivo e congruo ristoro ora, comunque, rapportato alla integralità del valore dopo la pronunzia di Corte Cost. 349 del 2007 e prescinde dal nomen iuris e dalle modalità di tutela adottate.
Tale istituto, quindi, nel momento in cui nel Novembre 1988 viene regolato espressamente, non è in collisione con alcuna disciplina internazionale che non sia quella che imponeva ed impone il giusto indennizzo per la perdita della proprietà, adeguamento che è solo in prosieguo avvenuto per effetto della appena ricordata decisione della Corte Costituzionale (che ha eliminato la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7bis) e con l’introduzione della L. n. 244 del 2007, art. 2 commi 89 e 90.
Ma se è indubbio che la compatibilità dell’istituto de quo con l’art. 1 P.P. CEDU si situa nel punto e nel momento in cui il legislatore porta ad "emersione" l’istituto dotandolo di una propria veste giuridica e ne disciplina i profili risarcitori con parametri effettivi e congrui, giova dedicare alcune considerazioni al diverso profilo afferente il tempo nel quale il così delineato quadro normativo può ritenersi compiutamente realizzato, essendo di totale evidenza, venendo alla questione che occupa in questa sede, che nessun corso prescrizionale del credito risarcitorio può maturare (art. 2935 c.c.) sintantochè la norma di legge non regoli la vicenda acquisitiva della "espropriazione sostanziale" in termini applicabili al caso di specie, al proposito questa Corte avendo infatti con chiarezza precisato che l’istituto è conforme al principio di legalità nel momento in cui è previsto dalla legge (Cass. 20543 del 2008 cit).
Si tratta cioè di passare dalla affermazione – presente nei succitati pronunziati di questa Corte – della individuazione nella L. n. 458 del 1988, art. 3 della fonte di giuridica esistenza dell’occupazione appropriativa come istituto a disciplina legale alla chiarificazione dell’ambito applicativo di quell’istituto. E l’indagine risponde alla precisa esigenza "pratica" di determinare se e da qual momento un istituto esistente sia anche alla fattispecie applicabile, solo da tal momento potendosi predicare la decorrenza della prescrizione del diritto al ristoro. Ebbene, la disposizione della L. n. 458 del 1988 (il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessane del bene) ha regolato per il settore della edilizia residenziale pubblica – e con riguardo a tutte e tre le ipotesi di interventi costruttivi (quelli realizzati dalla mano pubblica, quelli realizzati nel regime concessorio e convenzionale di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 35 e quelli posti in essere da privati in un quadro indeterminato di regimi agevolativi) – l’ipotesi della occupazione acquisitiva, condizionandola al duplice requisito A) della previa esistenza ed efficacia della dichiarazione di p.u. B) della rimozione giurisdizionale del decreto di esproprio.
La legalizzazione dell’istituto ha quindi avuto – inizialmente – una base applicativa assai limitata.
L’intervento della sentenza n. 486 del 18.12.1991 della Corte Costituzionale ha però rimosso l’irragionevole limitazione (supra sub B) della ipotesi dell’annullamento dell’esproprio, ad essa aggiungendo – con sentenza demolitoria-additiva (tal formula essendo stata adottata stante la insuperabile rigidità della formula normativa) – l’ipotesi della mancata emissione del provvedimento espropriativo.
E da tal intervento questa Corte, in un significativo precedente, (Cass. 17274 del 2010) ha tratto le doverose conseguenze sul piano del regime prescrizionale là dove ha affermato che, "….avendo il legislatore riconosciuto gli effetti dell’istituto per la prima volta soltanto con la L. n. 458 del 1988 (seppure indirettamente), è a partire da questo momento che è iniziato a decorrere, in quanto solo allora normativamente percepibile, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa al fine di realizzare un’opera pubblica insorto in epoca anteriore. Ma se ciò è vero per tali categorie di espropriazioni e per le utilizzazioni di terreni per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, interessati da un decreto di espropriazione dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, cui la L. n. 458 del 1988, art. 3 ha esteso la regola della non restituibilità del bene irreversibilmente trasformato, alla medesima conclusione non può pervenirsi per l’ipotesi di terreni con analoga situazione fattuale, ma non raggiunti da alcun decreto di esproprio, che per le ragioni esposte non potevano considerarsi oggetto di occupazione acquisitiva e neppure rientrare nell’ipotesi di edilizia residenziale che la menzionata norma aveva equiparato a quest’ultima: tant’è che l’estensione è potuta avvenire soltanto in seguito all’intervento di cui si è detto della Consulta. Ed allora il Collegio deve concludere che per tale tipologia di crediti, il contesto temporale in cui l’estensione dell’istituto a questi ultimi è divenuto percepibile dai privati interessati e perciò conforme ai principi di chiarezza e di legalità richiesti dall’art. 42 Cost. è proprio in coincidenza con la pubblicazione della citata decisione 486/1991 della Corte Costituzionale".
Ebbene, in questo quadro applicativo si colloca proprio la vicenda sottoposta, ove l’intervento effettuato in regime di delegazione L. n. 865 del 1971, ex artt. 35 e 60 portò ad una occupazione disposta l’8.3.1983, seguita dalla realizzazione (premessa in fatto della irreversibile trasformazione) nell’Agosto 1984, ma non conclusa da alcun decreto di esproprio.
Nessun dubbio, pertanto, sul fatto che nessuna occupazione acquisitiva si sarebbe potuta ritenere avverata con la sola entrata in vigore della L. n. 458 del 1988, art. 3 e prima della pubblicazione della sentenza 486 del 1991 della Corte Costituzionale e che tampoco alcun corso prescrizionale del diritto al risarcimento del danno avrebbe potuto ingenerarsi.
Ma vi è di più. Rammentando quanto detto dalla Corte di Appello e fatto segno a critiche nel primo motivo del ricorso, devesi considerare che l’orientamento di questa Corte per il quale la proroga biennale anche retroattiva (ex L. n. 158 del 1991) non può avere effetti qualora alla scadenza del periodo di occupazione l’opera fosse stata già compiuta e pertanto l’opera stessa fosse stata automaticamente acquisita (Cass. 14826 del 2006 – 3907 e 6002 del 2011 e 2775 del 2012) non può essere invocato nella specie, come erroneamente fatto dalla Corte di Palermo, al fine di escludere l’applicazione della proroga ex tunc di cui alla L. n. 158 del 1991, art. 22: ed infatti la realizzazione piena dell’opera pubblica dell’Agosto del 1984 non avrebbe potuto portare ad alcuna vicenda di occupazione acquisitiva prima della applicabilità della sua regula juris (sentenza 486 del 18 Dicembre 1991), con la conseguenza per la quale allo scadere degli otto anni di occupazione legittima per sommatoria di proroghe (8.3.1991) nulla impediva che la nuova proroga, applicabile alle occupazioni (come nella specie) legittimamente in corso all’1.1.1991, avesse piena operatività.
E di qui la conseguenza della operatività della ulteriore proroga biennale della occupazione sino all’8.3.1993 e di qui, ancora, la decorrenza del quinquennio prescrizionale – da un momento nel quale l’istituto della occupazione acquisitiva era ormai applicabile alla vicenda de qua – solo dalla predetta data dell’8.3.1993, con la conseguenza per la quale il corso della detta prescrizione venne ad essere tempestivamente interrotto dalla citazione del 18-19.2.1998.
Su tali premesse viene quindi accolto il ricorso e deve essere cassata la sentenza che, come detto, ha indebitamente confermato la declaratoria di estinzione per prescrizione del diritto al risarcimento dei danni da occupazione acquisitiva.
Va disposto rinvio alla stessa Corte perchè, fatta applicazione del principio appena esposto, esamini nel merito – facendo applicazione de diritto medio tempore sopravvenuto – la domanda di risarcimento dei danni.
Alla Corte di rinvio è rimesso anche di regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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