Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15087

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Svolgimento del processo
xxx s.r.l. (in seguito, per brevità, xxx o xxx) cui xxx aveva appaltato i servizi di trasporto a cambio di effetti postali, recapito pacchi e vuotatura cassette in (OMISSIS), convenne in giudizio la committente dinanzi al Tribunale di Roma per sentir accertare il suo illegittimo recesso dal contratto e per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti, oltre che al pagamento delle somme dovutele per i maggiori costi dei servizi espletati.
xxx s.p.a. si costituì in giudizio, concluse per il rigetto delle domande e chiese in via riconvenzionale la condanna dell’appaltatrice alla restituzione della somma di L. 28.522.585, a suo dire erogata in difetto di corrispettivo. Il Tribunale adito, accertata l’intempestività della disdetta del contratto, e, conseguentemente, l’illegittima estromissione di xxx dal servizio per il periodo 1.7.97/30.6.98, respinta ogni altra pretesa attorea nonchè la domanda riconvenzionale, condannò xxx al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di L. 132.977,180, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
La decisione fu appellata in via principale da xxx ed in via incidentale da xxx s.p.a..
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 15.9.05, rigettò entrambe le impugnazioni e compensò le spese di lite.
Quanto all’appello principale, la Corte territoriale osservò in primo luogo che la pretesa di xxx di ottenere un compenso aggiuntivo per l’utilizzo di cinque furgoni, in luogo dei tre contrattualmente previsti, trovava smentita nella clausola negoziale che stabiliva che l’appaltatrice avrebbe sin dall’inizio utilizzato cinque furgoni, nonchè nelle clausole che impegnavano la xxx a provvedere al servizio anche in caso di maggiori oneri sopravvenuti, senza possibilità di ottenere una revisione del canone, salvo patto aggiuntivo, comunque subordinato ad un aumento o ad una diminuzione degli oneri eccedente la misura del 10% di quelli computati in contratto; escluse poi che potesse trovare accoglimento la domanda di riconoscimento di un compenso per le maggiori prestazioni effettuate dall’appaltatrice a partire dal maggio del 1994, a seguito del trasferimento degli uffici postali di (OMISSIS) dalla stazione ferroviaria alla nuova sede, sia perchè l’assunto del primo giudice, secondo cui xxx aveva prestato acquiescenza al rifiuto di revisione del canone, a suo tempo oppostole dalla committente, non poteva ricevere smentita attraverso i nuovi documenti, tardivamente ed inammissibilmente prodotti dall’appellante nel grado, sia perchè non era possibile – a distanza di anni – espletare una ctu volta a verificare se le modifiche del percorso avessero comportato costi aggiuntivi superiori all’alea di 10% contemplata da contratto.
Quanto all’appello incidentale, la Corte di merito ritenne che, ai fini della liquidazione del danno subito da xxx per l’illegittimo recesso della committente dall’appalto – consistente nella perdita degli utili di impresa che sarebbero stati conseguiti ove il contratto non fosse stato disdettato – doveva tenersi conto anche del corrispettivo pattuito per il servizio di scambio, atteso che xxx non aveva mai comunicato all’appaltatrice che tale servizio, asseritamente cessato dopo una generale riorganizzazione interna, non andava più espletato; che, per la stessa ragione, non poteva essere accolta la pretesa di xxx di ottenere la restituzione delle maggiori somme erogate in corrispettivo di detto servizio; che, infine, l’utile di impresa era stato correttamente determinato in via equitativa dal primo giudice nella misura del 30% del canone pattuito, tenuto conto delle spese di esercizio, sicchè la pretesa dell’appellante di vederlo ridurre all’astratta percentuale del 10% , giustificata attraverso il richiamo a precedenti pronunce di merito, non poteva trovare accoglimento.
xxx s.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi.
xxx s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a tre motivi ed illustrato da memoria, cui xxx ha a sua volta resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
1) Con il primo motivo di ricorso, xxx, denunciando violazione degli artt. 1659, 60, 61, 1362, 63, 69 e 71 c.c., lamenta che la Corte di merito abbia respinto la domanda di compenso aggiuntivo per l’utilizzo, sin dall’inizio della prestazione contrattuale, di un numero di furgoni maggiore di quello contrattualmente previsto.
Rileva in proposito che l’appalto stabiliva che il servizio venisse svolto in base ad alcune specifiche modalità, dettagliatamente indicate nei modd. 36 predisposti da xxx, ovvero attraverso la suddivisione in tre zone di recapito pacchi al mattino e tre zone al pomeriggio, con quantificazione dei costi rapportata a detto utilizzo, e che invece, su iniziativa della committente, due turni pomeridiani erano stati spostati al mattino, con necessario impiego in contemporanea di cinque furgoni, invece che di tre, e di utilizzo di maggior personale, con orari più lunghi.
Deduce che i maggiori oneri sostenuti per effetto delle predette variazioni avrebbero dovuto esserle rimborsati a norma degli artt. 1660 o 1661 c.c., nonchè ai sensi dell’art. 22, penultimo paragrafo, e dell’art. 16 del contratto che, rispettivamente prevedevano che qualora .. .in coincidenza con l’inizio della gestione si rendessero necessarie maggiori prestazioni, esse dovranno essere eseguite dall’appaltatore e verranno compensate sulla base del compenso orario e di quello chilometrico sopra indicati e che qualora durante l’appalto, per l’incremento del servizio o per qualsiasi altra causa occorressero, a giudizio esclusivo dell’amministrazione, altri furgoni, l’appaltatore sarà tenuto a fornirli… e, per la loro immissione in servizio, riceverà un compenso calcolato ai sensi dell’art. 22 senza tener conto della prevista alea contrattuale.
Contesta, pertanto, che le previsioni contenute nella prima parte della predetta clausola, secondo le quali il canone sarebbe rimasto immutato nel caso in cui le maggiori o minori prestazioni richieste in via permanente non avessero superato (in aumento o in diminuzione) la misura del 10% di quelle contrattualmente previste, fatta sempre salva (in caso di superamento del limite) la necessità di stipula di una pattuizione aggiuntiva, potessero essere applicate, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale, all’ipotesi – verificatasi nella specie – in cui l’aumento delle prestazioni non era stato disposto nel corso dell’appalto, ma sin dal momento in cui esso aveva iniziato ad avere esecuzione e l’utilizzo di un numero maggiore di furgoni si era reso necessario per esigenze della committente.
Lamenta, infine, che il giudice d’appello non abbia ammesso la prova testimoniale articolata in ordine alle dedotte circostanze.
Il motivo va dichiarato inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, la ricorrente ha illustrato l’intera censura esclusivamente sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul presupposto di fatto che, secondo le originarie previsioni contrattuali, il servizio avrebbe dovuto svolgersi in tre turni al mattino e tre turni al pomeriggio, con conseguente necessità di utilizzo di soli tre furgoni per turno, mentre, a seguito della modificazione dei turni, unilateralmente disposta dalla committente, essa aveva dovuto impiegare al mattino cinque furgoni. Sennonchè tale presupposto risulta del tutto indimostrato, non essendo stata in alcun modo contestata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la diversa ricognizione del fatto operata dalla Corte territoriale, la quale, senza compiere alcuna distinzione fra turni mattutini o pomeridiani, ha accertato che l’art. 3 del contratto prevedeva sin dall’inizio l’utilizzo di cinque furgoni.
In secondo luogo, il giudice d’appello, una volta ritenuto che le clausole contrattuali dovessero ricevere l’interpretazione in questa sede censurata da xxx, ha dichiarato inammissibile la prova testimoniale articolata dalla società, sul rilievo che essa aveva ad oggetto patti aggiunti o contrari al contratto, per i quali operava il divieto di cui all’art. 2725 c.c..
Ebbene, la ricorrente, pur contestando tale conclusione e pur lamentando la mancata ammissione della prova, ha omesso di riportare nel motivo le circostanze articolate, nè ha indicato l’atto difensivo, rintracciabile all’interno del fascicolo di parte o di quello d’ufficio nel quale la prova era stata dedotta, in tal modo impedendo a questa Corte di valutare se, accedendo alla diversa interpretazione delle clausole contrattuali da essa prospettata, i capitoli potessero ritenersi ammissibili, siccome volti unicamente a dimostrare fatti rimasti estranei alle previsioni negoziali e decisivi ai fini del riconoscimento dei maggiori compensi pretesi.
Va aggiunto che la riproduzione dei capitoli si rendeva tanto più necessaria in quanto, nel motivo, xxx non si è curata di chiarire se la prova dell’avvenuta modifica, ab origine, delle modalità di svolgimento del servizio e dei maggiori oneri che ne erano derivati potesse comunque ricavarsi dai documenti versati in atti, così da rendere superflua l’escussione di testi a conferma di tali circostanze.
2) Col secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1660 e 1661 c.c., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente lamenta il rigetto della domanda di riconoscimento di maggiori compensi a fronte dei maggiori oneri da essa sostenuti, in misura superiore al 10% dell’alea prevista dal contratto, a partire dal maggio del 1994, allorchè l’ufficio postale di Empoli fu trasferito ad altra sede.
Rileva a riguardo che la Corte territoriale, nel dichiararla decaduta dalla possibilità di produrre nuovi documenti in appello, e nel ritenere pertanto non superato l’accertamento compiuto dal primo giudice, secondo cui essa aveva prestato acquiescenza al diniego di xxx di riconoscerle i maggiori compensi, non ha considerato la lettera consegnata a mani della committente, prodotta contestualmente all’atto di citazione, contenente la sua richiesta di revisione del canone pattuito in ragione dell’incremento giornaliero sia delle ore di servizio sia del chilometraggio derivato dal trasferimento dell’ufficio, che da sola valeva ad escludere qualsiasi sua acquiescenza.
Sostiene, sotto altro profilo, che il giudice d’appello ha errato nel ritenere non esperibile la ctu richiesta per determinare i maggiori oneri, dovendo questa basarsi su dati oggettivi (la distanza chilometrica e i tempi del percorso) ricavabili dai modd. 36 prodotti in giudizio da xxx.
Anche questo motivo deve essere respinto.
L’accertamento del primo giudice si fondava sul rilievo dell’intervenuta acquiescenza dell’appaltatrice alla lettera con la quale xxx, sostenendo che il nuovo percorso non comportava un aumento delle prestazioni (e dei relativi costi) superiore al 10% delle originarie previsioni contrattuali, aveva respinto la richiesta di aumento del canone pervenutale: in sostanza, in assenza di prova di ulteriori contestazioni, il Tribunale ha interpretato il silenzio di xxx come comportamento concludente, implicante rinuncia alle maggiori pretese.
Giusta od errata che fosse, tale interpretazione delle risultanze istruttorie non risulta essere stata censurata da xxx in sede d’appello.
Dalla lettura della sentenza impugnata (laddove il giudice a quo ha affermato:
"l’appellante chiede … per dimostrare la mancata acquiescenza, che vengano prese in considerazione delle lettere … non prodotte in primo grado") emerge infatti che nell’atto d’appello la società appaltatrice non aveva contestato che dal complesso della documentazione esaminata dal Tribunale potesse desumersi la sua acquiescenza al rifiuto oppostole dalla committente, ma si era limitata a negare di aver effettivamente prestato acquiescenza producendo ulteriori missive, inviate a xxx in data successiva al ricevimento della risposta negativa pervenutale, nelle quali ribadiva di aver diritto al maggiore compenso.
Correttamente, pertanto, la Corte di merito, dichiarata la decadenza dell’appellante dalla possibilità di produrre i nuovi documenti nel grado, e rilevato che la stessa non aveva posto in dubbio che una sua mancata replica alla lettera di diniego andasse interpretata, secondo quanto ritenuto dal Tribunale, come rinuncia alle maggiori pretese avanzate, non ha tenuto conto delle richieste di xxx antecedenti alla risposta della committente.
La ricorrente, che non ha richiamato nel motivo il contenuto dell’atto d’appello e che, per il vero, non ha neppure dedotto che la Corte di merito ne abbia compiuto un’errata lettura, non può quindi fondare la propria critica alla decisione sull’omesso esame di un documento che il giudice a quo non era tenuto ad esaminare, in quanto la sua pretesa valenza probatoria (della mancata acquiescenza) era stata già esclusa dal primo giudice, con un apprezzamento in fatto non impugnato in sede di gravame.
Risulterebbe a questo punto superfluo occuparsi della seconda ragione di censura, che, quand’anche fondata, non potrebbe da sola comportare l’accoglimento del motivo.
Giova tuttavia rilevare che la valutazione della Corte di merito in ordine all’impossibilità di disporre, a distanza di anni, nelle modificate situazioni di traffico e di percorrenza, una ctu volta a quantificare i maggiori oneri sostenuti dall’appaltatrice a causa del trasferimento degli uffici postali, non risulta utilmente contraddetta dalla ricorrente, la quale non chiarisce perchè, se davvero i dati su cui fondare l’indagine fossero desumibili dai documenti redatti da xxx, quest’ultima ne abbia potuto trarre conclusioni così difformi da quelle da essa raggiunte, nè deduce di aver illustrato, nel corso delle precedenti fasi di merito, la rilevanza di quei dati, sulla cui base, a suo dire, si sarebbe dovuta compiere una semplice operazione matematica atta a smentire i calcoli operati dalla controparte.
3) Con il primo motivo di ricorso incidentale xxx, denunciando genericamente "violazione delle norme in tema di recesso e risarcimento del danno", nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte di merito abbia incluso, fra gli elementi dei quali tener conto ai fini della determinazione dell’ammontare del danno da mancato guadagno subito da xxx per effetto dell’anticipato scioglimento del contratto, il canone pattuito in corrispettivo del servizio di scambio, soppresso a partire dal 3 giugno del 1996, a seguito di una generale riorganizzazione dei servizi viaggianti.
Rileva che, trattandosi di servizio non più esistente, non era necessaria una formale comunicazione di recesso all’appaltatrice.
4) Con il terzo motivo, strettamente connesso al primo e perciò da esaminare congiuntamente, xxx si duole, per le medesime ragioni, che sia stata respinta la sua domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione delle somme versate all’appaltatrice in corrispettivo del servizio di scambio non più espletato.
I motivi vanno dichiarati inammissibili, sia perchè fondati su un presupposto di fatto (la soppressione del servizio scambio) non accertato dal giudice del merito e che viene dato come "pacifico", senza neppure un cenno al contenuto dei documenti che dimostrerebbero la circostanza (salvo che ad una relazione tecnica proveniente dalla stessa parte, e quindi di per sè priva di valenza probatoria) e senza l’indicazione degli atti, o dei verbali di causa, nei quali xxx l’avrebbe riconosciuta, sia perchè volti a contestare in via del tutto generica, se non meramente assertiva, l’interpretazione del contratto compiuta dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto che, in base alle intervenute pattuizioni, la committente fosse comunque onerata di comunicare alla controparte la cessazione del servizio e di richiedere la revisione del canone contrattuale.
5) Con il secondo motivo, xxx lamenta che il danno da mancato guadagno di xxx sia stato liquidato, in via equitativa, in misura corrispondente al 30% del corrispettivo pattuito. Assume che tale misura è "palesemente incongrua" e si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di merito e di legittimità che, in caso di anticipato scioglimento del contratto, fissa il mancato utile dell’appaltatore nel decimo dell’importo dei lavori, alla luce del parametro stabilito dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, art. 345 nonchè da ulteriori disposizioni dettate in tema di appalti pubblici. Anche questo motivo va dichiarato inammissibile.
La determinazione dell’utile di impresa è valutazione tipicamente rimessa all’apprezzamento equitativo del giudice del merito.
La Corte di merito ha ritenuto corretta la valutazione effettuata dal primo giudice, sulla scorta dell’ammontare dei canoni contrattuali rapportati ai costi di esercizio sostenuti dall’appaltatrice, rilevando come essa risultasse assai più adeguata alla concreta fattispecie dedotta in giudizio, rispetto all’astratta percentuale del 10% indicata dall’appellante incidentale.
xxx, anzichè riproporre le censure già illustrate del motivo d’appello incidentale respinto, e richiamare sentenze riferibili a fattispecie che la Corte territoriale ha ritenuto non equiparabili a quella in esame, avrebbe pertanto dovuto contestare la congruità e la rilevanza degli elementi di fatto posti dai giudici del merito a fondamento della liquidazione equitativa.
Attesa la reciproca soccombenza delle parti, le spese del giudizio vanno integralmente compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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