Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-10-2013) 21-11-2013, n. 46437

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 10 ottobre 2012 la Corte d’appello di Genova confermava la condanna alla pena di giustizia di R.G. per il reato di furto con destrezza di un telefono cellulare sottratto al legittimo proprietario L.P.G. nell’officina gestita da quest’ultimo approfittando della sua momentanea distrazione.

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi.

2.1 Con il primo deduce formalmente l’errata applicazione della legge penale, ma evoca in realtà la violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, evidenziando come la Corte territoriale abbia fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa senza provvedere ad approfondimenti istruttori della loro attendibilità, senza tenere conto del fatto che il medesimo imputato non è stato trovato in possesso del bene sottratto e senza confrontarsi con le possibili alternative spiegazioni del furto ipotizzate dalla difesa.

2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali della sentenza in merito all’affermazione di responsabilità dell’imputato sostanzialmente riproponendo in tale ottica le doglianze svolte con il primo motivo e censurando altresì il fatto che i giudici d’appello abbiano argomentato la loro decisione anche dai precedenti penali del R. per classificare arbitrariamente come remota la possibilità che egli si fosse effettivamente recato presso l’officina del L. per cercare un lavoro.

2.3 Con il terzo motivo infine si eccepisce l’erronea applicazione dell’art. 133 c.p., per aver la Corte territoriale valorizzato ai fini della conferma del trattamento sanzionatorio esclusivamente le risultanze sfavorevoli all’imputato e senza procedere ad una compiuta valutazione di tutti i parametri indicati nella suindicata disposizione, nonchè ulteriori carenze motivazionali della sentenza impugnata in merito al diniego delle invocate attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, esulano dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p.. Infatti le censure in essi elevate, anche dietro l’apparente denuncia di violazione di legge, si traducono invero nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentita in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta ad accreditare l’ipotesi accusatoria ed in tal senso hanno in maniera non manifestamente illogica fondato l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulle dichiarazioni della persona offesa, la cui descrizione della dinamica dei fatti portava ad escludere che terzi estranei, a parte l’imputato, si fossero introdotti nel luogo in cui si trovavano il telefono sottratto e la stessa persona offesa.

La linea argomentativa così sviluppata risulta per l’appunto immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica, evidenziabile dai testo del provvedimento, mentre del tutto eccentrica appare il riferimento operato dal ricorrente ad una presunta violazione della regola di giudizio di cui dell’art. 533 c.p.p., comma 1, atteso che i giudici d’appello si sono rigorosamente attenuti proprio ai principi sanciti dalla giurisprudenza citata nel ricorso, dando conto dei motivi per cui le ipotesi alternative formulate dalla difesa dovevano considerarsi remote e comunque prive di ancoraggio nell’evidenza disponibile, così come doveva considerarsi irrilevante la circostanza che a distanza di tempo dai fatti l’imputato non fosse stato trovato in possesso della refurtiva.

Motivazione questa con la quale peraltro il ricorrente non si è confrontato come invece doveroso, limitandosi alla generica ed apodittica riprospettazione della sua lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito.

Ulteriormente generica appare poi la doglianza ad oggetto la valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato al fine di confutare l’ipotesi per cui egli si fosse recato presso l’officina per cercare lavoro, atteso che il ricorrente non ha saputo indicare l’eventuale decisività della circostanza ai fini della tenuta del percorso argomentativo seguito dalla Corte.

2.Inammissibile si rivela infine anche il terzo motivo. Quanto alla valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio va evidenziato che lo stesso era stato determinato dal giudice di prime cure nel minimo edittale, il che sollevava quello d’appello dall’onere di qualsiasi ulteriore applicazione della disposizione che il ricorrente presume violata, risultando dunque la sua doglianza manifestamente infondata. Con riguardo invece al diniego delle attenuanti generiche il ricorso si rivela clamorosamente aspecifico, essendo in proposito riferito alla posizione di alt soggetto (tale D.C.), presumibilmente assistito dal medesimo difensore in altro procedimento, ed incentrato infatti sulla mancata considerazione del fatto che questi aveva confessato, confessione che invece l’odierno imputato non ha mai reso.

3.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, dunque, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *