Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-10-2013) 21-11-2013, n. 46435

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’11 aprile 2012 la Corte d’appello di Bologna confermava la condanna alla pena di giustizia di E.H.D. per il reato di furto pluriaggravato commesso in concorso con G.G. sottraendo nottetempo i cerchioni ed i pneumatici ad una bicicletta parcheggiata all’esterno della stazione di (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi.
Con il primo deduce l’errata applicazione dell’art. 61 c.p., n. 5 e correlativi vizi motivazionali del provvedimento impugnato, contestando ricorrano nel caso di specie i presupposti della minorata difesa ritenuta in sentenza, giacchè il piazzale della stazione ferroviaria teatro della vicenda sarebbe, anche di notte, luogo ben illuminato e frequentato.
Il secondo motivo avanza analoghe doglianze in merito al riconoscimento dell’ulteriore aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2, evidenziando come la sottrazione delle ruote della bicicletta non ha comportato alcuna manomissione della medesima, tant’è che la Corte territoriale, per giustificare la propria decisione, ha dovuto illogicamente fare riferimento al possesso da parte dell’imputato e del suo complice di arnesi da scasso senza poter dimostrare come questi sarebbero stati impiegati nella consumazione del reato.
Con lo stesso motivo si censura la sentenza anche con riguardo al riconoscimento della residua aggravante di cui del citato art. 625 c.p., n. 7, rilevando come la bicicletta non poteva ritenersi esposta alla pubblica fede in quanto il suo proprietario aveva provveduto ad assicurarla con una catena, circostanza che impedirebbe per l’appunto la configurabilità dell’aggravante in questione. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta, infine, ulteriori carenze motivazionali in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, illogicamente e contraddittoriamente argomentato dalla Corte territoriale negando, tra l’altro, l’utilità della collaborazione prestata dall’imputato e dal suo complice al momento dell’arresto per consentire agli operanti di individuare la bicicletta da cui era state sottratte le ruote e ciò nonostante gli stessi giudici d’appello avessero invece in precedenza riconosciuto l’essenzialità delle indicazioni fornite dai due.
Non di meno i giudici di merito avrebbero sostanzialmente omesso qualsiasi motivazione in merito al rigetto della richiesta di sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato al limite dell’inammissibilità. 1.1 La Corte territoriale ha infatti affermato la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa rilevando che il furto venne commesso a tarda ora di notte e quindi in circostanze di tempo che lasciavano legittimamente presumere una maggiore difficoltà di prevenirlo, stante la minore visibilità e la scarsa presenza di persone nel luogo in cui il reato è stato perpetrato (il piazzale antistante la stazione ferroviaria di una piccola città di provincia).
Inoltre i giudici dell’appello hanno evidenziato come solo grazie alle specifiche indicazione dell’imputato e del suo complice, gli operanti poterono individuare la bicicletta da cui erano state sottratte le ruote, deducendo da tale circostanza che la stessa fosse collocata in un luogo non agevolmente visibile.
1.2 La linea argomentativa così sviluppata appare immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo del ricorrente di prospettare una diversa ricostruzione del fatto si risolve, per l’appunto, nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi del citato art. 606 c.p.p., lette. e.
1.3 In particolare il fulcro delle critiche avanzate nel ricorso poggia sull’affermazione per cui il teatro del furto fosse luogo ben illuminato e frequentato anche in ore notturne. Peraltro la sentenza ha escluso che vi sia evidenza di tali circostanze, mentre il ricorrente si è limitato in maniera assertiva a rivendicarne l’effettività, senza però indicare quale fonte probatoria acquisita al processo sarebbe in grado di dimostrarlo.
2. Infondate e per certi versi inammissibili sono altresì le censure avanzate con il secondo motivo di ricorso.
2.1 Con riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2 deve rammentarsi che per l’art. 392 c.p.p., comma 2, si ha "violenza sulle cose" allorchè la cosa venga danneggiata, trasformata ovvero ne venga mutata la destinazione. Ed, infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, sussiste l’aggravante speciale di cui si tratta tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, faccia uso di energia fisica, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento della destinazione (Sez. 5^, n. 24029 del 14 maggio 2010, Vigo, Rv.
247302). Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto che nel caso di specie ricorra l’aggravante in questione, atteso che l’imputato ed il suo complice hanno inevitabilmente impiegato dell’energia fisica per asportare le ruote della bicicletta, atteso che tale azione presuppone logicamente la loro separazione dal telaio mediante lo svitamento dei perni e dei fermi cui sono assicurate.
Azione, dunque, che richiede un quid pluris rispetto alla mera amotio del bene oggetto della sottrazione e che, alterando l’integrità funzionale del bene cui le cose sottratte appartenevano, ne ha mutato la destinazione, senza che in proposito rilevi la non irreversibilità di tale mutamento (nello stesso senso questa Corte si è del resto già espressa con riguardo alla fattispecie analoga della sottrazione della ruota di un autoveicolo: Sez. 2^, n. 2230/85 del 12 novembre 1984, xxx, Rv. 168164).
2.2 Di conseguenza risultano manifestamente infondate anche le censure rivolte dal ricorrente alla motivazione della sentenza sul punto, atteso che il mancato accertamento delle specifiche modalità con cui sia avvenuto l’inevitabile sbullonamento delle ruote – e cioè se sia stato o meno necessario utilizzare all’uopo gli arnesi da scasso trovati in possesso dell’imputato e del suo complice al momento dell’arresto – non è circostanza rilevante ai fini della qualificazione giuridica del fatto, mentre il possesso dei menzionati arnesi non è stato in alcun modo evocato dalla Corte territoriale per affermare la sussistenza dell’aggravante.
2.3 Quanto all’aggravante di cui dell’art. 625 c.p., n. 7 deve ricordarsi come la ratio della sua previsione – con riguardo alla fattispecie dell’esposizione della cosa alla pubblica fede – vada ricercata nella volontà del legislatore di apprestare una più energica tutela a quelle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o temporaneo, senza custodia continua e quindi affidate all’altrui senso di onestà e di rispetto (ex multis Sez. 2^, n. 561/09 del 9 dicembre 2008, xxx e altri, Rv.
242716). La predisposizione di strumenti finalizzati ad impedire la sottrazione della cosa non è dunque elemento sufficiente ad escludere che la stessa sia stata esposta alla pubblica fede, a meno che non si tratti di un congegno o di un dispositivo che garantisca al legittimo possessore – o a chi per esso – la diretta e continuativa vigilanza sul bene ovvero costituisca un ostacolo all’azione furtiva difficilmente superabile (Sez. 5^, n. 15583 del 5 febbraio 2004, Di Napoli, Rv. 228757). In tal senso, pertanto, il fatto che la bicicletta fosse stata assicurata, come peraltro è consuetudine, con una catena non rappresenta di per sè ragione sufficiente ad escludere la configurabilità dell’aggravante, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale. Va peraltro evidenziato come in realtà oggetto del furto non sia stata la bicicletta, bensì solo quelle sue parti (le ruote, per l’appunto) che non erano state "protette" dal proprietario, talchè l’obiezione del ricorrente risulta in definitiva manifestamente infondata.
3. Infondate devono ritenersi, infine, anche le residue doglianze del ricorrente relativa alla denegata concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
3.1 Quanto al primo punto, non sussiste alcuna contraddizione interna nella motivazione della sentenza in merito alla negata rilevanza del comportamento post delictum dell’imputato, atteso che il già menzionato contributo prestato agli operanti per individuare il relitto della bicicletta non necessariamente doveva essere considerato essenziale per l’accertamento del reato, atteso che T. H. e il suo complice vennero sorpresi nel flagrante possesso delle ruote.
Ed in ogni caso va ricordato che la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6^ n. 41365 del 28 ottobre 2010, xxx, rv 248737), così come ha fatto la Corte territoriale nel caso di specie.
3.2 Con riguardo invece all’altro profilo evocato con il motivo di ricorso, deve innanzi tutto rammentarsi come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., ma può limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez. 3^, n. 6641/10 del 17 novembre 2009, xxx, Rv.
246184). Ed in tal senso va osservato che dal complesso della motivazione dedicata dalla Corte territoriale alla determinazione del trattamento sanzionatorio, si evince che il rifiuto della concessione del beneficio sia stata giustificata non solo in ragione dei precedenti di polizia dell’imputato, ma soprattutto – e del tutto legittimamente ai fini del presente giudizio – del precedente penale specifico da cui egli risulta gravato e ciò a tacere del fatto che la prognosi non favorevole alla concessione della sospensione condizionale della pena può – contrariamente a quanto affermato dal ricorrente – fondarsi sui precedenti di polizia, poichè nessuna disposizione ne prevede l’inutilizzabilità, ed anzi la L. n. 121 del 1981, art. 9, prevede espressamente la possibilità di accesso dell’Autorità Giudiziaria ad essi, "ai fini degli accertamenti necessari per i procedimenti in corso e nei limiti stabiliti dal codice di procedura penale" (Sez. 2^, n. 18189 del 5 maggio 2010, xxx e altri, Rv. 247469).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2013

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