Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-10-2013) 21-11-2013, n. 46433

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 6 marzo 2012 la Corte d’appello di Trieste confermava la condanna alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile di L.F. per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale commessi nella sua qualità di amministratore della xxx s.p.a.
dichiarata fallita il 13 aprile 2005.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo dei propri difensori articolando sette motivi.
2.1 Con il primo rinnova l’eccezione, già rigettata dalla Corte territoriale, di nullità della citazione dell’imputato per l’udienza preliminare a seguito dell’omessa notifica al medesimo dell’avviso ex art. 419 c.p.p., notificato invece al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 161 c.p.p., in ragione dell’inidoneità dell’elezione di domicilio effettuata dal L. presso la propria residenza in territorio straniero.
In particolare il ricorrente lamenta l’invalidità dell’elezione di domicilio in quanto raccolta dalla polizia giudiziaria senza aver prima avvertito l’imputato – come invece suo diritto – della necessità di indicare il proprio domicilio in un luogo del territorio italiano. L’originaria invalidità dell’elezione di domicilio e l’acquisita notizia dell’effettiva residenza all’estero dell’imputato avrebbero poi determinato la necessità di notificargli l’avviso ex art. 169 c.p.p., invece omesso, il che dunque escluderebbe che nel caso di specie ricorra un’ipotesi di notifica meramente irregolare, con conseguente insanabilità della relativa nullità. Non di meno, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la notifica presso il difensore di fiducia non poteva ritenersi idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato proprio in ragione del fatto che egli risiedeva all’estero. Infine alcuna sanatoria della nullità relativa al procedimento di notifica – pure affermata dai giudici d’appello – si sarebbe verificata a seguito della successiva richiesta di giudizio abbreviato, atteso che il rilascio al difensore di procura speciale per i riti alternativi non investirebbe quest’ultimo di poteri di rappresentanza in tema di ricezione delle notifiche e, conseguentemente, impedirebbe la produzione di alcun effetto sanante in tal senso all’esercizio del potere delegato.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del principio di immutabilità del giudice, rilevando come nel corso del giudizio d’appello sia ripetutamente mutata la composizione del collegio giudicante.
2.3 Con il terzo e quarto motivo si lamentano l’errata applicazione della legge penale incriminatrice e correlati vizi della motivazione della sentenza impugnata in merito alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale. In particolare il ricorrente si duole della mancata considerazione delle obiezioni sollevate con i motivi d’appello in merito alla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato menzionato nonostante il difetto della prova della volontà dell’imputato di impedire la ricostruzione del movimento degli affari della fallita attraverso le irregolarità contabili rilevate. Non di meno, con riguardo alla contestata registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti evidenzianti crediti della fallita nei confronti di terzi, il ricorrente eccepisce come tale condotta sarebbe stata erroneamente qualificata ai sensi dell’art. 216, comma 1, n. 2, L.Fall., atteso che la stessa era invece finalizzata a far figurare una solidità patrimoniale dell’impresa funzionale ad ottenere credito presso le banche o al più ad evadere le imposte, integrando in tal senso eventualmente le fattispecie di false comunicazioni sociali o di frode fiscale, ma non già quella fallimentare ritenuta in sentenza, di cui ancora una volta difetterebbe comunque il dolo tipico, anche alla luce del fatto che l’insolvenza della società è insorta a distanza di tempo dai fatti contestati e a seguito delle iniziative pacificamente attribuibili ai soggetti che sono succediti al L. nella gestione della fallita.
2.4 Analoghe doglianze vengono sollevate con il quinto motivo di ricorso, ma con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta patrimoniale, rilevandosi in proposito come i giudici d’appello avrebbero immotivatamente escluso l’imputabilità del trasferimento della somma contestata al L. al rimborso in favore del medesimo delle spese sostenute per svolgere la sua attività per conto della fallita, come altrimenti documentato in contabilità con riguardo ad ammontari ben maggiori. Non di meno ancora una volta la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il dolo del reato, nonostante l’esiguità della somma oggetto della presunta distrazione proverebbe l’assenza di qualsiasi pericolo per la garanzia patrimoniale dei creditori della fallita, ma soprattutto della prevedibilità per l’imputato della stessa possibilità di recare pregiudizio a questi ultimi con la propria condotta.
2.5 Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ulteriori carenze motivazionali in punto di commisurazione della pena oltre il minimo edittale, mentre con il settimo lamenta l’ingiustificato mancato riconoscimento del beneficio della non menzione e la sproporzione nella dosimetria della pena accessoria applicata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e per certi versi anche inammissibile e deve essere pertanto rigettato.
1.1 Inammissibile e comunque infondata è in particolare l’eccezione processuale sollevata con il primo motivo di ricorso. Infatti, va innanzi tutto ribadito che le invocate disposizioni relative alla notifica all’imputato all’estero stabilite dall’art. 169 c.p.p., non si applicano nel caso in cui questi, anche quando risulti avere la residenza o la dimora all’estero, abbia comunque avuto notizia del procedimento penale instaurato nei suoi confronti ed abbia dichiarato od eletto domicilio e che, ove tale dichiarazione od elezione di domicilio risulti inidonea, la notifica deve essere effettuata mediante consegna al difensore a norma dell’art. 161 c.p.p., comma 4.
E proprio in applicazione di tale principio questa Corte, rilevando la inidoneità della elezione di domicilio in località estera effettuata dall’imputato, ha avuto modo di ritenere la legittimità della notifica del decreto di citazione presso il difensore (Sez. 4^, n. 23716 del 15 gennaio 2001, PM in proc. xxx ed altro, Rv.
218902).
1.2 Quanto alla presunta originaria invalidità delle dichiarazione di domicilio effettuata dal L., è appena il caso di evidenziare come alcuna disposizione – e men che meno l’art. 161 c.p.p. – impongono alla polizia giudiziaria che raccolga la dichiarazione in tal senso effettuata nel territorio italiano di avvisare previamente l’imputato della necessità che il domicilio indicato si trovi nel medesimo territorio. Ma anche volendo sostenere che tale obbligo sia insito nel sistema e non appartenga esclusivamente alla disciplina dell’art. 169 c.p.p., deve evidenziarsi come il ricorso si riveli comunque irrimediabilmente generico, non avendo saputo indicare con la necessaria precisione (al limite allegandolo al ricorso medesimo) gli estremi dell’atto in cui si sarebbe registrata la lamentata omissione ed impedendo così qualsiasi verifica della circostanza dedotta, a maggior ragione trattandosi di un verbale redatto nel corso delle indagini preliminari il cui corredo documentale non transita, di regola, nel fascicolo dibattimentale trasmesso al giudice di legittimità per il relativo giudizio.
Deve infatti ricordarsi come l’onere di provare il fatto processuale, dal quale dipenda l’accoglimento dell’eccezione procedurale, gravi sulla parte che ha sollevato l’eccezione stessa (Sez. 5^, n. 1915/11 del 18 novembre 2010, xxx e altri, Rv. 249048; Sez. 5^, n. 600/09 del 17 dicembre 2008, xxx, Rv. 242551).
1.3 Non di meno va osservato come, anche qualora si accantonassero i pur dirimenti profili affrontati in precedenza, la nullità eccepita dal ricorrente comunque andrebbe annoverata tra quelle generali a regime intermedio e non tra quelle assolute e la sua deduzione risulterebbe dunque intempestiva ai sensi degli artt. 180 c.p.p. e segg.. Infatti, come pure ricordato dalla Corte territoriale, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione all’imputato sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato medesimo; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione (Sez. Un., n. 119/05 del 27 ottobre 2004, xxx, Rv.
229539). Nel caso di specie il ricorrente lamenta sostanzialmente, al di là delle sue assertive affermazioni sulla natura assoluta della nullità eccepita, che la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, pur effettuata presso il difensore di fiducia, sia stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte. Quanto poi alla presunta inidoneità della notifica al difensore di fiducia a garantire all’imputato la conoscenza dell’atto oggetto della stessa, deve osservarsi come la doglianza sia del tutto generica, giacchè il fatto che l’imputato risiedesse all’estero – peraltro in un paese confinante con l’Italia – non è di per sè ragione sufficiente per sostenere l’impossibilità – e non solo la maggiore difficoltà – per il difensore di mantenere un contatto con il proprio assistito funzionale alla veicolazione a quest’ultimo del contenuto degli atti notificati a suo nome al primo. Non di meno va ribadito che è inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deduca la nullità della notifica di un atto in quanto effettuata presso il difensore di fiducia, pur in maniera irregolare, ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato dalla mancata conoscenza dell’atto stesso e dal non avvenuto esercizio del diritto di difesa (Sez. 6^, n. 28971 del 21 maggio 2013, xxx, Rv. 255629). Ed in proposito è appena il caso di osservare come il L. sia stato assistito da un difensore di fiducia in ogni stato e grado del giudizio ed abbia compiutamente esercitato il proprio diritto ai riti alternativi essendo stato giudicato su sua richiesta nelle forme del rito abbreviato.
1.4 Infine proprio la presentazione della richiesta di abbreviato da parte del difensore dell’imputato munito di procura speciale rilasciata da quest’ultimo, mette in luce una ulteriore ragione della manifesta infondatezza dell’eccezione del L.. Questa Corte ha infatti ripetutamente precisato come nel giudizio abbreviato siano rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto, rimanendo quelle a c.d. regime intermedio e quelle relative neutralizzate dalla scelta negoziale di tipo abdicativo effettuata dall’imputato (ex multis Sez. 5^, n. 46406 del 6 giugno 2012, Paludi e altro, Rv. 254081).
2. Anche l’ulteriore eccezione di natura processuale sollevata dal ricorrente con il secondo motivo deve ritenersi manifestamente infondata. Non risulta, infatti, per come emerge dallo stesso ricorso, che la Corte territoriale, nella composizione diversa da quella con cui è stata assunta la decisione finale, abbia adottato provvedimenti o svolto attività in grado di interferire con il principio di immutabilità, essendosi limitata a compiere quegli atti ordinatori mirati all’ordinato svolgimento del processo e privi di valenza nel giudizio, quali la sospensione o il rinvio del dibattimento. Deve infatti ribadirsi che il principio di immutabilità, funzionale al rispetto dei principi di oralità ed immediatezza, esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all’istruttoria (Sez. 6^, n. 18615 del 16 aprile 2013, xxx, Rv. 254843; Sez. 5^, n. 1842/99 del 25 novembre 1998, xxx A, Rv. 212353).
3. Infondate al limite dell’inammissibilità sono le doglianze avanzate con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, in quanto il giudice d’appello ha motivato in maniera esauriente sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, attenendosi in proposito ai consolidati principi fissati da questa Corte in merito alla sua configurabilità. In particolare la sentenza si è premurata di confutare la rilevanza delle circostanze addotte in senso contrario dalla difesa con i motivi d’appello, la quale invece in maniera assertiva il ricorrente si è limitato a ribadire, senza nemmeno svolgere il necessario confronto con le argomentazioni svolte dai giudici d’appello.
In punto di diritto, invece, le doglianze del ricorrente, per un verso, cercano di espandere la base intenzionale del dolo previsto dall’ultima parte dell’art. 216, comma 1, n. 2, L.Fall, fino a farne un dolo di "scopo" e cioè, in definitiva, proprio quel dolo specifico che questa Corte, con orientamento dal quale non vi è motivo di discostarsi, ha sempre escluso venga richiesto dalla norma incriminatrice in riferimento alla condotta di irregolare tenuta delle scritture contabili (ex multis Sez. 5^, n. 21872 del 25 marzo 2010, xxx, Rv. 247444); per l’altro verso si risolvono nell’affermazione per cui l’annotazione di fatture attive per operazioni inesistenti non potrebbe ritenersi sintomatica del dolo proprio della bancarotta documentale, in quanto non rivelerebbe l’intenzione di frodare i creditori. Premesso che, per la parte in cui la censura nasconde una lamentela sulla valutazione della prova della sussistenza del dolo del reato in concreto operata dal giudice d’appello, la stessa si risolve nella inammissibile proposizione di una questione di merito, deve escludersi che il principio invocato dal ricorrente possa essere affermato, non essendo corretta la premessa su cui si fonda – e cioè che l’unico scopo possibile della annotazione di fatture attive false sia quella di accedere a nuova finanza – mentre l’eventuale confusione contabile che consegue alla condotta descritta è in astratto idonea a determinare la relativa impossibilità di ricostruire il volume di affari del fallito e, pertanto, la mera consapevolezza che tale evento possa prodursi è sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo del reato, dovendosi ribadire che il fine di recare pregiudizio ai creditori rimane estraneo al dolo tipico della specifica ipotesi di bancarotta documentale contestata.
4. Infondate sono altresì le doglianza relative al difetto di motivazione sull’esiguità della somma oggetto di distrazione, atteso che la lesione dell’interesse della massa creditoria viene consumata anche attraverso la diminuzione in maniera non consistente della garanzia patrimoniale e sul punto dunque la Corte territoriale non aveva necessità di intrattenersi. Diversa è ovviamente la questione della sussistenza dell’elemento soggettivo tipico della bancarotta fraudolenta anche in presenza di sottrazioni di entità ridotta. Ma anche su questo punto la sentenza impugnata non appare censurabile, atteso che i giudici d’appello hanno contestualizzato il fatto nell’ambito della registrata sussistenza di plurime omissioni contabili sintomatiche di un approccio gestionale, che in maniera non manifestamente illogica hanno portato la Corte territoriale a ritenere la non rilevanza dell’ammontare contenuto della somma oggetto di distrazione. Ed in proposito il ricorrente si è ben guardato dal confutare la linea argomentativa assunta dai giudici giuliani, preferendo invece ribadire l’asserita decisività – nel senso dell’inconfigurabilità del reato – di circostanze che gli stessi giudici hanno invece ritenuto frutto di mera allegazione. Ma anche sul punto il ricorso risulta carente della dovuta specificità, giacchè il ricorrente fallisce ancora una volta nella dimostrazione dell’effettiva riconducibilità dell’assegno oggetto di distrazione al rimborso delle spese sostenute dall’amministratore, atteso che l’esistenza di precedenti versamenti in favore dell’imputato con tale causale non impone di concludere, sotto il profilo logico, che anche la somma distratta fosse invece dovuta a tale titolo, tanto più che proprio il suo incasso non veniva annotato in contabilità.
5. Inammissibili sono infine le residue lamentele avanzate dal ricorrente in tema di commisurazione della pena e di diniego del beneficio ex art. 175 c.p.p., atteso che le stesse non appaiono specificamente correlate all’effettiva motivazione fornita dai giudici d’appello su tali punti a sostegno del rigetto delle analoghe censure mosse con i motivi d’appello.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2013

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