Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15075

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Svolgimento del processo
Con decreto del 18 ottobre 1973, il prefetto di Roma disponeva l’espropriazione, a favore dell’Amministrazione delle xxx, di vari terreni siti nel comune di (OMISSIS), già occupati in via d’urgenza (con decreto prefettizio del 19.12.1970) dall’espropriante per la costruzione della sede dell’Istituto di ricerche ed esperienze ferroviarie (I.R.E.F.), determinando l’indennità secondo i criteri di cui alla L. 15 luglio 1885, n. 2892, art. 13 sul risanamento della città di Napoli, richiamato dalla L. 7 luglio 1907, n. 429, art. 77 sulle espropriazioni occorrenti per le costruzioni ferroviarie.
Con sentenza non definitiva del 12.12.1975, il Tribunale di Roma, decidendo sulle due riunite opposizioni alla stima dell’indennità proposte, nei confronti del Ministero dei Trasporti, da vari soggetti ai quali il provvedimento di espropriazione era stato notificato, statuiva, nel contraddittorio delle parti, che ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio dovesse rimanere ferma la legge richiamata nel decreto di espropriazione, non essendo consentito al giudice ordinario di sindacare la scelta del modello espropriativo operata dalla pubblica amministrazione e di applicarne uno diverso; rigettava, quindi, sul punto sia la domanda principale degli espropriati che quella riconvenzionale dell’espropriante.
Impugnata immediatamente la sentenza non definitiva, con appello principale degli espropriati ed incidentale dell’Amministrazione, la Corte di Roma li rigettava entrambi, precisando che in ordine alla domanda che investiva la legittimità dei criteri di indennizzo adottati dalla p.a., pretendendosi la liquidazione in base a parametri diversi da quelli stabiliti dalla legge applicata in concreto, sussisteva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Su ricorso degli espropriati, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con sentenza 8 gennaio 1983 n. 134, cassavano tale decisione, affermando il principio che le scelte dell’amministrazione espropriante in ordine al procedimento ablativo adottato od ai relativi criteri indennitari non erano sindacabili dal giudice ordinario solo quando un potere di scelta della p.a. effettivamente sussisteva, mentre qualora fosse stato adottato un procedimento espropriativo contemplato da una determinata legge esclusivamente per specifiche opere pubbliche (nella specie, opere ferroviarie), ben poteva il giudice ordinario verificare se in concreto l’espropriazione si fosse riferita ad un’opera riconducibile, per natura e funzione, nell’ambito di detta particolare previsione normativa e, se tale corrispondenza fosse mancata, determinare la giusta indennità alla stregua dei criteri generali e secondo la fattispecie legale cui si riconnetteva il fatto dedotto in lite, con eventuale disapplicazione incidentale del provvedimento amministrativo.
La Corte di rinvio, con sentenza non definitiva del 12 febbraio 1985, riteneva nel merito che all’espropriazione in esame non potessero applicarsi i criteri indennitari della L. n. 2892 del 1885, richiamata dalla L. n. 429 del 1907, art. 77 a cui il decreto di esproprio aveva fatto riferimento, perchè tale norma si riferiva alle espropriazioni occorrenti per la realizzazione delle linee ferroviarie e delle opere accessorie direttamente ricollegabili all’esercizio della rete ferroviaria, o legate con nesso pertinenziale a quelle principali, o comunque necessarie per assicurare materialmente l’esercizio delle linee, mentre l’opera in questione, consisteva nella realizzazione di edifici destinati all’attività di studio e di ricerca, rispondeva ad esigenze di carattere generale interessanti l’intera rete ferroviaria nel suo complesso, al pari degli edifici destinati alla gestione amministrativa e burocratica dell’Azienda, e quindi solo indirettamente era ricollegabile all’esercizio della rete; escludeva poi che potessero applicarsi i criteri di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, invocati dall’amministrazione, sia perchè tali criteri erano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, sia perchè comunque, nella specie, l’espropriazione era stata disposta nell’ottobre 1973, prima cioè che i suddetti criteri, stabiliti per le espropriazioni dirette alla realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, fossero stati estesi, con la L. 27 giugno 1974, n. 247, a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato o di altri enti pubblici; concludeva quindi che nella specie l’indennità doveva essere determinata secondo le disposizioni della L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39 e 40.
Con successiva sentenza definitiva del 23 aprile 1987, la stessa Corte d’appello di Roma, sulla base dei criteri indicati dalla medesima Corte nella precedente sentenza resa in sede di rinvio, liquidava in concreto le indennità per i vari beni espropriati.
Contro le due sentenze della Corte distrettuale l’Amministrazione proponeva distinti ricorsi per cassazione fondati su tre motivi, cui resistevano gli espropriati, a loro volta proponendo ricorso incidentale contro la sentenza definitiva, affidato ad un motivo.
Con sentenza n. 2798 del 1991, questa Corte, riuniti i ricorsi, rigettava il ricorso proposto dall’Ente xxx (inerente anche al criterio generale del valore venale ex L. n. 2359 del 1865, applicabile pure in caso di natura agricola dei suoli) contro la prima sentenza dalla Corte d’Appello di Roma, pronunciata il 12 febbraio 1985, e provvedendo sugli altri ricorsi cassava senza rinvio la successiva sentenza resa dalla medesima Corte d’Appello il 23 aprile 1987, condannando l’Ente xxx al pagamento delle spese del giudizio di cassazione inerenti al ricorso n. 5836/85 e dichiarando compensate tra le parti le spese inerenti agli altri ricorsi.
Quanto ai ricorsi proposti contro la sentenza "definitiva" emessa dalla Corte di rinvio il 23 aprile 1987, questa Corte pregiudizialmente osservava che con tale sentenza si era proceduto alla liquidazione concreta dell’indennità di espropriazione secondo il criterio che, nella sentenza "non definitiva" si era dichiarato e deciso doversi nella specie applicare.
Ma il giudice d’appello, tale ovviamente rimasto anche in sede di rinvio, era stato investito solo ed esclusivamente dell’impugnazione immediata proposta contro la sentenza non definitiva del tribunale e con la decisione su di questa si erano esauriti i suoi poteri di cognizione, non rientrando in essi anche quello di determinare in concreto la misura dell’indennità, trattandosi di questione ancora sub indice davanti al tribunale, e per la quale non risultava esservi stata decisione di primo grado, nè tanto meno impugnazione contro la stessa. In effetti la Corte d’appello, con la prima sentenza del 10 ottobre 1977 poi cassata, aveva deciso in forma definitiva, ma la Corte di rinvio aveva erroneamente qualificato come non definitiva la propria sentenza del 12 febbraio 1985 che invece, nella fase d’appello, era definitiva, avendo deciso totalmente sull’impugnazione proposta contro la sentenza di primo grado; perciò, appunto, nella detta fase d’appello, il processo, con la menzionata sentenza del 12 febbraio 1985, si era chiuso e non poteva ulteriormente proseguire.
La trattazione della causa veniva ripresa dinanzi al Tribunale di Roma, che, con sentenza n. 11346 del 29.05.1998, anche all’esito delle disposte indagini tecniche d’ufficio, respingeva le opposizioni degli espropriati e compensava le spese processuali, ritenendo applicabile lo ius superveniens di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e di natura agricola i terreni occupati ed ablati, sicchè gli indennizzi (d’esproprio e di occupazione temporanea) determinati in sede amministrativa non si rivelavano incongrui.
I soccombenti proponevano appello avverso detta decisione, lamentando l’illegittima applicazione retroattiva del disposto di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis preclusa dall’intervenuto giudicato sui criteri da applicarsi, l’erroneità dell’affermazione di congruità dell’indennità liquidata nel decreto prefettizio del 18.10.1973 e l’ingiustificata compensazione tra le parti delle spese di lite.
Con sentenza del 9.12.2004-3.01.2005, la Corte di appello di Roma, anche in base all’esito della disposta CTU, respingeva il gravame, avversato dalla s.p.a. Rete Ferroviaria-Italiana (nelle more subentrata alle FF.SS.), compensando le spese del giudizio e ponendo a carico degli appellanti le spese di CTU. La Corte territoriale osservava e riteneva che:
in merito al criterio indennitario applicabile ed alla natura edificabile del terreno ablato non poteva ritenersi intervenuto un giudicato interno ostativo all’applicabilità dello ius superveniens anche in sede di rinvio;
correttamente il primo giudice, osservato che i terreni in questione non rientravano in base al PRG del Comune di Anguillara Sabazia del 28.12.1972 tra le aree previste come edificabili dagli strumenti urbanistici e che l’attitudine edificatoria concreta non poteva rilevare, mancando quella di diritto, aveva correttamente stabilito che le indennità dovessero essere determinate in base al valore agricolo medio L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis, comma 4;
nel decreto di esproprio del 18.10.1973, il valore dei terreni, riferito al valore venale, seppure corretto, ed alla loro destinazione edificatoria, era stato determinato in importo oscillante tra L. 200 e L. 1200 al mq (con valori medi tra L. 400 e L. 600 al mq) mentre il CTU aveva fissato il valore agricolo medio in L. 170 al mq, misura considerevolmente inferiore alla prima;
infondata era la richiesta d’indennità aggiuntiva formulata da alcuni appellanti, perchè, a prescindere dalla prova della loro qualità, era inapplicabile la L. n. 865 del 1971, art. 18 non ricorrendo l’ipotesi di cessione volontaria;
era inapplicabile il moltiplicatore di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 6 e 7, dichiarato incostituzionale;
la domanda di risarcimento danni da occupazione acquisitiva non poteva essere esaminata perchè nuova e comunque infondata per difetto dei presupposti di tale vicenda acquisitiva;
la retrocessione dei beni espropriati non era stata chiesta;
priva di pregio era anche la censura inerente alla disposta compensazione delle spese, attesa la soccombenza degli appellanti.
Avverso questa sentenza T.S., + ALTRI OMESSI hanno proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e notificato il 17.02.2006. La Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (già xxx S.p.A) ha resistito con controricorso notificato il 28.03.2006. Successivamente sono intervenuti in giudizio (con comparsa del 22.09.2011) B. F., + ALTRI OMESSI . Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Preliminarmente in rito va ritenuta l’inammissibilità dei spiegati due interventi, data la mancata notificazione dei relativi atti alla società controricorrente (cfr cass. n. 7441 del 2011).
I ricorrenti denunziano:
1. "Violazione e falsa applicazione degli artt. 347, 189 e 293 c.p.c., previgenti alla L. 26 novembre 1990, n. 353, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omesso pronunciamento sull’eccezione d’illegittima costituzione della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e stralcio dei suoi scritti difensivi.".
Il motivo è inammissibile essendo stato formulato in termini meramente ipotetici, espressamente subordinati ad un eventuale e non proposto ricorso incidentale, se contenente eccezioni analoghe a quelle dedotte dalla RPI nella comparsa di costituzione 11 A e nei successivi scritti difensivi.
2. "Violazione e/o falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39 e 40 nonchè del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito con modificazione nella L. 8 agosto 1992, n. 359, per erronea interpretazione, oltrechè carente, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".
Contestano che nella specie fosse applicabile, in luogo del parametro del valore venale di cui alla L. n. 2359 del 1985, artt. 39 e 40 il criterio indennitario riduttivo previsto per l’espropriazione dei suoli agricoli (dalle L. n. 359 del 1992 e L. n. 865 del 1971), e ciò perchè la vicenda sostanzialmente integrava un esproprio illegittimo, poichè le previste opere pubbliche non erano mai state realizzate e la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis era entrato in vigore dopo 18 anni dall’introduzione del presente giudizio, avvenuta nel 1974, quando ormai il loro diritto alla retrocessione era prescritto, e perchè comunque gli indennizzi non avrebbero potuto non essere equiparati al risarcimento spettante in caso di acquisizione illegittima del suolo, per effetto di occupazione acquisitiva o usurpativa, da commisurare all’integrale valore venale del bene, alla luce anche di quanto stabilito dalla CEDU in tema di c.d.
espropriazione indiretta.
3. "Violazione e falsa applicazione della L. 17 agosto 1942, n. 1150, artt.10 e 41 quinquies (Legge integrata e modificata dalle L. 17 agosto 1942, n. 1150 e L. 6 agosto 1967, n. 865), oltrechè per carente, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5)." Contestano che per la determinazione delle indennità potesse farsi ricorso ai criteri legali riduttivi (già) stabiliti per i suoli agricoli e che non si sia, invece, considerata la vocazione edificabile dei terreni, lamentando sul punto anche vizi argomentativi e sostenendo che:
all’epoca dell’occupazione d’urgenza dei terreni (1970 – Decreto Prefettizio n 17343 dei 16.12.1970) e di esproprio degli stessi (1973 – Decreto Prefettizio n 4801 del 18.10.1973) il Comune di Anguillara Sabazia era privo del Piano Regolatore Generale e l’edificazione dei suoli veniva disciplinata dalla Legge Urbanistica n 1150 del 17.8.1942, come integrata e modificata, in quanto il PRG era stato adottato il 28.12.1972 dal Comune e la relativa approvazione era intervenuta solo successivamente, con Delib. n. 3475 del 1978, della Giunta Regionale;
il giudice a quo, violando la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 10 (T.U. Edilizia e Urbanistica), ha erroneamente equiparato la semplice delibera del Consiglio Comunale di adozione del piano all’atto finale del complesso procedimento di formazione di un P.R.G., ossia alla delibera della Giunta Regionale di approvazione del piano stesso, cui segue la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione la Delib. 28 dicembre 1972, n. 125 del Consiglio Comunale, destinava i terreni espropriati a zona "D" -impianti industriali e simili, ed era stata respinta dalla Regione Lazio con specifica richiesta di una sua revisione. Solo la successiva Delib. del Consiglio Comunale, 29 settembre 1976, n. 290 di adozione del nuovo P.R.G., era stata approvata dalla Giunta Regionale e prevedeva la destinazione dei terreni de quibus a "Demanio Ferroviario" per la realizzazione dell’I.R.E.F. si è costantemente affermato che in questi casi, ovvero in mancanza di strumenti urbanistici e, quindi, di classificazione giuridica dei suoli, ai fini della quantificazione degli indennizzi di occupazione ed esproprio secondo la L. 15 gennaio 1885, n. 2892, richiamata dall’art. 5 bis, comma 1 deve aversi riguardo al c.d. criterio della edificabilità di fatto, intesa come naturale fabbricabilità del terreno, desunta da tutti quegli indici elaborati dalla giurisprudenza e dalla tecnica edificatoria quand’anche si fosse potuto considerare il P.R.G. in itinere, adottato dal Comune il 28.12.1972, non approvato dalla Giunta Regionale, i terreni per cui è causa essendo stati destinati a Zona "D" Impianti Industriali e Simili, in vista dell’esproprio e della realizzazione dell’Istituto di Ricerche ed Esperienze Ferroviarie, sarebbero stati da qualificare come edificabili anche la L.U. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 16, quale disciplina transitoria in attesa che i comuni si dotassero dei P.R.G., consentiva l’edificazione.
Il motivo è fondato; al relativo accoglimento segue anche l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.
In effetti, la motivazione sul punto resa dalla Corte distrettuale appare estremamente sintetica e come tale inidonea a consentire di apprezzare le ragioni che hanno sostenuto la riconduzione dei terreni all’ambito di quelli non edificabili, con riferimento alla disciplina urbanistica all’epoca vigente, considerando pure che non emerge alcuna indicazione circa la destinazione impressa alla zona nel PRG del 1972 ed ancora che il Comune non contesta che la strumento di pianificazione non fosse stato ancora approvato in sede regionale. A quest’ultimo riguardo va ribadito il condiviso principio di diritto già affermato da questa Corte (cfr, tra le altre, cass. n. 14024 del 2002) secondo cui gli strumenti urbanistici adottati e non ancora approvati non consentono la realizzazione delle opere in essi previste, in quanto l’approvazione da parte della Regione costituisce atto di perfezionamento dell’iter amministrativo e produce la legittimità e l’efficacia dello strumento stesso, mentre la sua adozione ha il solo effetto di far scattare le c.d. "misure di salvaguardia". Pertanto, in tema di espropriazione per pubblica utilità, la mera adozione del piano regolatore generale è irrilevante al fine della classificazione del fondo quale edificabile o meno ed il giudice (potrà far ricorso al criterio della edificabilità "di fatto" quando non esista alcun alcuno strumento urbanistico recepibile ai fini dell’inquadramento in questione, ancora prescritto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3.
Deve, inoltre, aggiungersi, che per effetto delle note sentenze della Corte Costituzionale n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011, con le quali è stata dichiarata l’incostituzionalità dei criteri riduttivi di determinazione degli indennizzi previsti rispettivamente per le aree edificabile e per quelle, invece, agricole o comunque non edificabili, dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1, 2 e 4 in ogni caso, l’intervenuta valutazione si rivela illegittima, dato lo ius superveniens, che impone, onde colmare il creatosi vuoto normativo, di ricorrere anche in riferimento ai suoli inedificabili, al criterio legale del valore venale (cfr, tra le altre, cass. n. 14939 del 2010; n. 25718 del 2011; n. 21386 del 2011), già previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39.
Conclusivamente si deve dichiarare inammissibile il primo motivo del ricorso, accogliere il terzo motivo con assorbimento del secondo, cassare la sentenza impugnata e rinviare alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, accoglie il terzo motivo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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