Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15073

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 30/4/1990, D.C. G. conveniva avanti al Tribunale di Patti, il Comune di xxx chiedendone la condanna sia al pagamento della giusta integrazione del corrispettivo pattuito per la cessione volontaria, intervenuta con atto rogato in data 23/4/1983, al convenuto prezzo di L. 32.885.580, salvo conguaglio, di un’area edificabile, già di sua proprietà ed estesa mq. 4.220, assoggettata ad occupazione ed esproprio per la realizzazione di un impianto sportivo, e sia al pagamento dell’indennità per occupazione legittima oltre che di ulteriori indennizzi per opere esistenti sul fondo e per la perdita di alcune servitù.
Con sentenza in data 19/8/1998, il Tribunale di Patti dichiarava la propria incompetenza, concedendo alle parti il termine per la riassunzione della causa avanti alla Corte di Appello di Messina.
Riassunto il giudizio, la Corte di appello di Messina, con sentenza in data 21/7/1999, in accoglimento della domanda attrice, condannava il Comune di xxx al pagamento della somma di L. 167.112.640, a titolo di integrazione del prezzo di cessione del bene, oltre agli interessi legali dal 19/7/1983 al soddisfo. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello, il Comune di xxx proponeva ricorso principale, fondato su quattro motivi, e la D.C. ricorso incidentale fondato su un unico motivo.
Con sentenza n. 2276 del 2001, questa Corte di legittimità, riuniti i ricorsi, accoglieva il terzo motivo del ricorso principale, respingeva il primo ed il secondo motivo del medesimo ricorso, assorbito il quarto ed il ricorso incidentale, cassava l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinviava alla Corte di appello di Catania, anche per le spese del giudizio di cassazione, affermando il principio secondo cui, posto che il conguaglio del prezzo della cessione volontaria di un terreno da espropriare per ragioni di pubblica utilità deve essere rapportato all’indennità di espropriazione prevista dal del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis – aggiunto, in sede di conversione, ad opera della L. 8 agosto 1992, n. 359 -, è necessario fare riferimento, ai fini della determinazione del valore del bene, alle sue possibilità legali di edificazione.
In particolare e per quanto ancora rileva, questa Corte osservava e riteneva che:
– con il terzo motivo il Comune ricorrente si era doluto che la Corte territoriale, nella determinazione del conguaglio, da rapportarsi alla giusta indennità di esproprio L. 359 del 1992, ex art. 5 bis non aveva tenuto conto che il terreno de quo si trovava a meno di 150 metri dalla battigia ed era perciò inedificabile ai sensi della L.R. Sicilia 12 giugno 1976, n. 78, art. 15, lett. a) come interpretato dalla successiva L.R. Sicilia n. 15 del 1991, art. 2, comma 3 e concluso per l’edificabilità del suolo in questione sulla base della presunzione che, essendo edificabili i suoli limitrofi in quanto inseriti in zona b), anche l’area in esame sarebbe stata inserita in zona b) se non fosse stata destinata ad impianti sportivi, con previsione urbanistica chiaramente preordinata all’esproprio;
– il motivo era fondato, in quanto, ai fini della determinazione del valore del terreno era necessario fare riferimento alla sua edificabilità legale, vale a dire all’edificabilità desumibile dagli strumenti urbanistici vigenti al momento del decreto di esproprio, in attuazione delle cui previsioni era stato apposto il vincolo espropriativo;
– di conseguenza la Corte territoriale dopo avere esattamente rilevato che della destinazione ad impianti sportivi non si poteva tenere conto, in quanto preordinata all’esproprio, sarebbe dovuta risalire allo strumento urbanistico generale ed accertare quale fosse stata, in base a tale strumento, la destinazione urbanistica del terreno, mentre invece aveva proceduto ad attribuire all’area la natura edificabile in via presuntiva, il che non concretizzava il requisito della edificabilità legale, posto che la suddivisione del territorio in zone era compito esclusivo dell’Amministrazione e non poteva essere nè surrogato nè integrato dal giudice ordinario.
Con sentenza del 14.11.2007-17.04.2008, la Corte di appello di Catania, decidendo in sede di rinvio, anche all’esito della disposta CTU, condannava il Comune di xxx a pagare alla D.C., l’indennità di occupazione legittima, determinata L. n. 865 del 1971, ex art. 20, comma 3 e liquidata nella somma di Euro 1.297,39, con gli interessi legali dal 30.4.1990 alla data di effettivo soddisfo; rigettava, invece, le altre domande proposte dalla medesima D.C. e compensava interamente tra le parti le spese processuali di tutti i gradi del giudizio.
La Corte territoriale osservava e riteneva che:
– dall’istruttoria svolta risultava che secondo il Programma di Fabbricazione vigente dal 1975 al 1979, la destinazione urbanistica del terreno era per attrezzature di quartiere – impianti sportivi;
– nel sistema introdotto dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis caratterizzato dalla rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole o comunque non edificabili, il riconoscimento della edificabilità, che pure non si identificava e non si esauriva in quella abitativa, postulava l’indagine circa la concreta disciplina e destinazione attribuita all’area dagli strumenti urbanistici, sicchè, ove la zona fosse stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico e attrezzature per lo sport), la classificazione apportava un vincolo di destinazione che precludeva ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla legislazione edilizia, restando anche irrilevante la circostanza che la destinazione richiedesse la realizzazione di strutture, la cui valutazione "in melius" avrebbe comportato il riconoscimento di un "tertium genus", tra aree edificabili e non edificabili, contrario alla logica della norma, laddove l’edificabilità andava identificata con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area, non già con gli interventi unicamente finalizzati alla realizzazione dello scopo pubblicistico; in particolare non poteva qualificarsi edificabile un’area gravata da vincolo di destinazione ad attrezzature per lo sport, in quanto, anche se una simile destinazione avesse potuto comportare l’edificazione del terreno con importanti opere murarie realizzabili anche da privati, tuttavia, in relazione alla natura del vincolo, le opere previste, e cioè le attrezzature per il gioco e lo sport, non avrebbero potuto costituire espressione dello "ius aedificandi" del proprietario, ma sarebbero state funzionali alla realizzazione dello scopo pubblicistico;
pertanto, al terreno in questione non poteva essere attribuita la qualifica di edificabile, con la conseguenza che l’ammontare dell’indennità di espropriazione doveva essere individuato alla stregua del combinato disposto della L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 15, 16 e 20 e succ. modificazioni, criterio indennitario in rapporto al quale la domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione in misura diversa e maggiore rispetto a quella definitivamente fissata nell’atto di cessione volontaria risultava infondata che fondata era, invece, la sola ulteriore domanda della D.C., di liquidazione dell’indennità di occupazione legittima, la quale non risultava ricompresa nell’atto di cessione volontaria, indennità da riferire al periodo di tempo di 10 mesi e quindici giorni, intercorso tra il 9.06.1982 ed il 23.04.1983.
Avverso questa sentenza la D.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria e notificato al Comune di xxx, che ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la D.C. denunzia:
1. "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 42, 117 Cost., art. 1 del primo Protocollo della CEDU, della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e art. 834 c.c., D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2 conv., con modificazioni, nella L. 8 agosto 1992, n. 359, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa e/o insufficiente motivazione su fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5". Si duole, anche per il profilo argomentativo, del rigetto della sua domanda di conguaglio e della incongrua determinazione dell’indennità di occupazione legittima, assumendo anche che le avversate statuizioni sono state illegittimamente ancorate a criteri standardizzati relativi ad aree non edificabili e in rapporto non ragionevole con il valore venale dei beni acquisiti dal Comune, che i giudici di rinvio avrebbero dovuto tenere conto della sopravvenuta sentenza n. 348/2007, pronunciata dalla Corte Costituzionale e non trascurare nemmeno le puntuali indicazioni circa le possibilità legali ed effettive di edificazione, fornite dal CTU, oltre che il contenuto dei propri scritti difensivi. Conclusivamente, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, formula il seguente quesito di diritto dica la Corte Suprema di Cassazione se il giudice, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, commi 1 e 2, deve determinare la indennità di esproprio e la indennità di occupazione senza fare riferimento astratto nè alla dicotomia tra suoli edificabili e suoli non edifìcabili, nè ai criteri standardizzati per la liquidazione delle aree agricole, dovendo, invece, rapportare le suddette indennità al valore venale del fondo espropriato e, con riguardo alla vicenda oggetto di giudizio, dica se è illegittima la decisione della Corte di Appello di Catania, giudice del rinvio, resa dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale 24 ottobre 2007 n. 348, che ha proceduto, quindi, alla determinazione della indennità di esproprio e della indennità di occupazione facendo riferimento alla "edificabilità legale" del fondo e, quindi, ha liquidato le suddette indennità alla stregua del combinato disposto della L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 15, 16 e 20 in quanto richiamati dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 5 bis, comma 4;
rispondendo affermativamente al quesito, cassi l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Catania. Precisa inoltre che "Il fatto controverso in relazione al quale si è dedotta la carenza assoluta di motivazione o, in alternativa, la insufficienza della motivazione medesima, va individuato nella vocazione edificatoria dell’area oggetto della controversia in relazione alla sua collocazione nell’ambito dello strumento urbanistico vigente, avuto riguardo alla specifica determinazione del CTU".
2. "Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 383, 384 e 394, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4". Conclusivamente formula il seguente quesito di diritto dica la Corte Suprema di Cassazione se costituisca violazione della vincolatività del principio di diritto di cui agli artt. 383, 384 e 394 c.p.c., determinando la nullità della sentenza e/o del procedimento in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, la decisione del giudice di rinvio che proceda alla qualificazione come (rectius non) edificabile di un terreno espropriato, mediante l’esame di quello strumento urbanistico che aveva impresso la destinazione preordinata all’esproprio, a fronte della espressa enunciazione contenuta nella sentenza che ha disposto il rinvio della esattezza della decisione cassata, che aveva ritenuto di non dovere tenere conto di siffatta destinazione e, con riguardo alla concreta fattispecie oggetto di giudizio, se sia illegittima, in base alle surrichiamate norme, la decisione della Corte di Appello di Catania che ha qualificato come (rectius non) edificabile il terreno oggetto di esproprio basando siffatta qualificazione sul Programma di Fabbricazione vigente al momento dell’esproprio e preordinato all’esproprio stesso, senza risalire allo "strumento urbanistico generale" come stabilito nella sentenza che ha disposto il rinvio;
rispondendo affermativamente al quesito, cassi l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Catania".
3. "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 42, 117 Cost., art. 1 del primo Protocollo della CEDU, della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 art. 834 c.c., L. n. 359 del 1992, art. 5 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37 L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 1, L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 e L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".
Conclusivamente formula il seguente quesito di diritto dica la Corte Suprema di Cassazione se è illegittima la decisione del giudice di merito che afferma la natura non edificabile del fondo espropriato sulla base della destinazione urbanistica contenuta nel Programma di Fabbricazione, senza considerare il regime urbanistico delle porzioni del territorio comunale identificate in base a criteri generali e predeterminati, e, con riferimento alla vicenda oggetto di controversia, dica se è illegittima la decisione della Corte di Appello di Catania che ha affermato la natura non edificabile del terreno espropriato, sulla base del dato della sua destinazione urbanistica ad "attrezzature di quartiere-impianti sportivi", senza considerare la potenzialità edificatoria delle aree limitrofe, al cui servizio la destinazione pubblicistica era stata concepita;
rispondendo affermativamente al quesito, cassi l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Catania.
4. "Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5", in riferimento al fatto che la Corte di Appello di Catania ha ritenuto la non edificabilità del fondo espropriato limitandosi ad affermare che "risulta dalla istruttoria svolta come, secondo il Programma di Fabbricazione vigente dal 1975 al 1979, la destinazione urbanistica del terreno era per attrezzature di quartiere-impianti sportivi", omettendo di verificare se si trattasse di un vincolo conformativo, riguardante porzioni del territorio comunale identificate in base a criteri generali e predeterminati, ovvero – come in effetti avvenuto – se l’utilizzazione collettiva fosse funzionale a porzioni circoscritte del territorio comunale, poste all’interno di una ampia zona urbanizzata.
5. "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 42, 117 Cost., art. 1 del primo Protocollo della CEDU, della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, art. 834 c.c., L. n. 359 del 1992, art. 5 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 1, L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 e L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".
Conclusivamente formula il seguente quesito di diritto dica la Corte Suprema di Cassazione se un’area destinata ad attrezzature per lo sport sia da qualificare, agli effetti della determinazione dell’indennizzo di esproprio e di occupazione, come edificabile, e, con riferimento alla vicenda oggetto di giudizio, dica se sia illegittima la decisione della Corte di Appello di Catania che ha qualificato come non edificabile espropriabile il fondo di proprietà di D.C.G., sul quale gravava il vincolo di destinazione ad attrezzature per lo sport; rispondendo affermativamente al quesito, cassi l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Catania.
Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, che trattando questioni connesse consentono esame congiunto, non hanno pregio, risolvendosi in censure che si rivelano o inammissibili per genericità, difetto di autosufficienza e perchè volte a contrastare accertamenti in fatto, insindacabili in questa sede, o infondate, Occorre premettere che, in tema di indennità di espropriazione le sentenze n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011 della Corte costituzionale hanno rispettivamente inciso sul sistema indennitario dei suoli edificatori ed agricoli ma entrambe le pronunce di incostituzionalità non hanno toccato la necessità stessa di rigida distinzione tra suoli edificabili e non edificabili – bipartizione che non ammette figure intermedie- posta dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 3 convertito con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992, che, quindi, deve continuare ad essere applicata, al pari dei noti principi già elaborati in questa sede per la ricognizione legale delle aree. Tanto premesso, il giudice di rinvio, che, per quanto detto, lo jus superveniens non aveva esonerato dalla verifica oggettiva (demandatagli da questa Corte con la sentenza n, 2276 del 2001) circa la natura edificabile o meno del terreno occupato e ceduto, verifica da condurre secondo la classificazione urbanistica generale vigente anteriormente all’imposizione del vincolo urbanistico lenticolare ad impianti sportivi, è pervenuto irreprensibilmente, nel doveroso rispetto del principio di diritto affermato da questa Corte e con puntuali argomentazioni, al risultato che tale terreno non può essere qualificato legalmente edificabile, dal momento che nel Programma di Fabbricazione in vigore dal 1975 al 1979, e, dunque, in epoca anteriore all’occupazione ed alla cessione (correlate a sopravvenute, diverse determinazioni urbanistiche di carattere ablatorio, dalle quali in sede di rinvio si doveva prescindere ai fini dell’inquadramento in discussione), la destinazione urbanistica (legale) del terreno era per attrezzature di quartiere – impianti sportivi. Nel P.d.F, quindi, che, al pari del PRG, è strumento generale di pianificazione urbanistica, contenente previsioni programmatiche conformative (tra le altre, cfr cass. SU n. 173 del 2001), il fondo risultava inserito in zona integralmente destinata ad un utilizzo meramente pubblicistico, che precludeva ai privati ogni tipo di trasformazione riconducibile alla nozione tecnica di edificazione (in tema, cfr. cass. n. 404 del 2010; n. 15213 del 2010; n. 15682 del 2011) e che conclusivamente ne comportava l’inedificabilità legale. D’altra parte nuova, priva di autosufficienza e di pregressi riscontri oggettivi (e non meramente valutativi) si rivela la prospettazione secondo cui anche tale P.d.F non avesse avuto sul punto natura generale, ma introdotto, in via eccezionale, un vincolo particolare, incidente su beni determinati, sostanzialmente preordinato all’espropriazione, dal quale – nonostante la sua formale allocazione -, dovesse comunque prescindersi ai fini della qualificazione dell’area, per gli effetti indennitari (in tema, cfr cass. n. 3022 del 2008).
Il primo motivo del ricorso oltre ad involgere censure non apprezzabili favorevolmente alla luce delle precedenti considerazioni nonchè l’improprio richiamo alla sentenza n. 348 del 2007, resa dalla Corte Costituzionale in relazione ai criteri già previsti per la determinazione dell’indennità di esproprio relativa ad aree edificabili, dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2 involge pure la questione dell’incongruità delle indennità stimate per i terreni agricoli secondo i criteri tabellari o agricoli medi dettati, dalla legge n. 865 del 1971, la quale si rivela fondata alla luce della recente, nota pronuncia del giudice delle L. n. 181 del 2011, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 4 del medesimo art. 5 bis, che a detti criteri rinviava.
Conclusivamente, si deve accogliere per la precisata ragione, il primo motivo del ricorso, respingere gli altri motivi e cassare l’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei precisati limiti il primo motivo del ricorso, respinge gli altri motivi, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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