Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15072

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Svolgimento del processo
Con comparsa dell’11.05.1998, S.G. riassumeva, dinanzi alla Corte di appello di , la causa già da lei introdotta nei confronti del Comune di , dinanzi al Tribunale della medesima città, che, con sentenza del 13.01.1998, si era dichiarato incompetente per materia a deciderla, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 19. La S. reiterava le domande, avversate dall’ente locale, di condanna di quest’ultimo al pagamento del dovuto conguaglio sia del prezzo della cessione volontaria, intervenuta tra le parti il 30.04.1983, e sia dell’indennità di occupazione legittima, inerenti a terreno in sua proprietà, assoggettato a procedimenti di espropriazione e di occupazione d’urgenza (disposta con decreto sindacale del 15.06.1978) in funzione dell’ampliamento del cimitero comunale.
Con sentenza del 25.09-21.10.2008, la Corte di appello di , in base anche all’esito della rinnovata CTU, condannava il Comune di a pagare all’attrice la somma di Euro 571.228,96, con interessi legali dal 30.04.1983, a titolo di conguaglio del prezzo della cessione volontaria, nonchè la somma di Euro 143.898,41, a titolo di conguaglio dell’indennità di occupazione legittima, oltre agli interessi legali dalla data di scadenza di ciascuna annualità sino al soddisfo La Corte territoriale osservava e riteneva che:
in primo luogo occorreva accertare se l’area occupata e ceduta avesse o meno natura edificabile, alla stregua del criterio contemplato dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, non travolto dalla pronuncia d’illegittimità costituzionale n. 348/2007, resa dal giudice delle leggi, criterio che attribuiva rilievo discriminante all’edificabilità legale, ossia alla classificazione urbanistica del terreno;
nel caso di specie, alla luce delle risultanze degli accertamenti condotti con perizia e diligenza dal secondo consulente tecnico, appariva difficilmente contestabile la natura edificatoria del suolo in questione, ove si fosse considerato, che:
a) alla data della cessione volontaria (30 aprilel983) l’unica destinazione urbanisticamente valida era costituita dall’inclusione del terreno nel Piano per l’Edilizia Economica e Popolare compreso nel Piano di acquisizione delle aree fabbricabili, redatto a norma della L. n. 167 del 1962 ed approvato il 6.07.1967, giacchè il PRG, approvato con decreto n. 377/1975, per il quale il cespite della S. faceva parte dell’area soggetta a vincolo cimiteriale, era stato annullato dal Tar Calabria con sentenza del marzo 1982 ed era stato riapprovato in via definitiva solo nel 1985, ossia in epoca successiva a quella della cessione;
b) inoltre, sussistevano, tutte le caratteristiche tipiche dell’edificabilità di fatto: il terreno era servito da strade comunali e private ed era già parzialmente edificato; la zona era completamente urbanizzata, cioè dotata sia di infrastrutture che dei servizi necessari (rete idrica e fognante, luce e telefono); il sito, pianeggiante e di forma regolare, era già totalmente utilizzabile senza bisogno di interventi di sistemazione;
c) non rispondeva al vero quanto sostenuto dal Comune di , ossia che l’intero terreno espropriato ricadeva nel raggio di 200 metri dal cimitero e che, quindi, era soggetto ad un vincolo assoluto di inedificabilità in base al T.U. n. 1265 del 1934, art. 338; il CTU aveva, infatti, accertato che solo una piccola parte dell’intero immobile (circa 1/10 del totale) ricadeva, all’epoca della procedura ablatoria, nella fascia soggetta a vincolo cimiteriale – vincolo che per i centri abitati con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, come nel caso, vietava l’edificazione nel raggio non di 200 ma di 50 metri dal cimitero – nonchè giustamente ritenuto irrilevante la circostanza "essendo la parte restante sufficiente a garantire la conservabilità dell’indice medio di edificabilità territoriale per tutta l’area";
come chiesto dall’attrice, la determinazione dell’indennità di espropriazione, alla quale parametrare il conguaglio del prezzo di cessione, doveva essere effettuata ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40, ravvisando nel caso di specie un’ipotesi di espropriazione parziale;
il CTU aveva condivisibilmente accertato che nell’ambito dell’intervento pubblico finalizzato all’ampliamento del cimitero comunale a) i 5.190 mq ceduti al Comune facevano parte di un maggiore lotto di mq 10.410, costituente un unicum dal punto di vista fisico e funzionale e che b) la parte residua del fondo pari a mq 5.220, residuata dall’esproprio, risultava gravata quasi per intero dal vincolo cimiteriale ai sensi del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, essendo compresa nella fascia di rispetto di 50 metri, ove era vietata l’edificazione;
dunque, mentre il terreno nella sua interezza era pienamente edificatorio, la parte restante dopo l’esproprio, essendo cambiate le sue connotazioni intrinseche ed estrinseche, non aveva mantenuto le stesse caratteristiche di edificabilità sia nella qualità che nella quantità delle realizzazioni possibili. Si era passati, infatti, da una destinazione comparabile a quella di edilizia residenziale (zona C) della legge 167, con indice di fabbricabilità pari o superiore a 4,5 mc/mq, ad una zona F con indice pari a 1 mc/mq, almeno per la parte nella quale era possibile realizzare opere stabili o precarie, comunque compatibili con la destinazione di piano;
l’indennità doveva, pertanto, essere pari, L. n. 2359 del 1865, ex art. 40, alla differenza tra il giusto prezzo dell’intero suolo prima dell’ablazione e il giusto prezzo della parte residua;
il prezzo unitario andava determinato, con metodo sintetico- comparativo, in L. 140.000 al mq riferite al 1983 relativamente al lotto di mq 10.410 mq ed in L. 60.000 al mq relativamente all’area residua, estesa mq 5.220;
quindi, detraendo dalla complessiva somma quella di L. 38.146.500, già incassata dalla S., il conguaglio dovuto dal Comune di ammontava a L. 1.106.053.500, pari ad Euro 571.228,96, da maggiorare degli interessi legali dal 30 aprile 1983 al soddisfo;
l’indennità di occupazione legittima, da riferire al tempo protrattosi dal 15.06.1978 al 30.04.1983 ed a superficie maggiore (precisamente 5.790 mq.) di quella che l’attrice aveva ceduto volontariamente al Comune (5.190 mq.), andava determinata in base al saggio degli interessi legali commisurati all’indennità virtuale di espropriazione, defalcando dal totale l’acconto già corrisposto di L. 9.047.581 e con l’aggiunta degli interessi legali decorrenti dalla data di scadenza di ciascuna annualità;
le somme liquidate, integrando debito di valuta non potevano essere assoggettate a rivalutazione automatica e d’altra parte l’attrice non aveva provato di avere subito, per effetto del ritardo nella corresponsione delle dette indennità, un danno maggiore di quello coperto dai soli interessi legali, si da poter ottenere la rivalutazione del credito ex art. 1224 c.c., comma 2.
Avverso questa sentenza notificatagli il 25.11.2008, il Comune di ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, illustrato da memoria, e notificato il 19.01.2009. Con atto notificato il 10.02.2009, C.S., quale procuratore generale della S., ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, cui il Comune ha replicato con controricorso notificato il 19.03.2009. I ricorsi principale ed incidentale sono stati riuniti Successivamente, con atto notificato il 29.01.2012, è intervenuto in giudizio C.R., quale cessionario del credito della S. nonchè del rapporto controverso (per atto di cessione di cui alla scrittura privata autenticata il 23.02.2009), il quale ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato dal cessionario C.R., poichè l’intervento del successore a titolo particolare non può avere luogo in questa sede di legittimità (cfr., tra le altre, cass. n. 11375 del 2010; n. 10813 del 2011).
A sostegno del ricorso principale il Comune di denunzia "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla L. n. 1265 del 1934, art. 338.
Censura la qualificazione dell’area come edificabile deducendo che:
il terreno oggetto di procedimento ablatorio, già catastalmente qualificato come agricolo era al momento della sua occupazione compreso, secondo il piano regolatore generale approvato con decreto n. 377/75 del Presidente della Giunta Regionale, in "area a vincolo cimiteriale", vincolo di inedificabilità assoluta, come previsto e sancito dal T.U. n. 1265 del 1934, art. 338 è del tutto irrilevante la circostanza che il piano regolatore sia stato annullato con sentenza 171 del Marzo 1982 dal Tar e quindi riapprovato in via definitiva nel 1985, in quanto ciò non significa che il terreno potesse essere considerato come terreno edificabile, giacchè:
a) l’annullamento aveva riguardato l’atto di approvazione del piano ossia il decreto del PGR n. 377 del 17.03.1975 mentre ne era rimasta valida l’adozione da parte dell’ente comunale, tant’è che era stato riapprovato nel 1985 con il medesimo contenuto;
b) comunque non poteva considerarsi strumento urbanistico il piano di acquisizione delle aree edificabili previsto per l’edilizia economica e popolare e ciò perchè si trattava di un progetto dell’iacp, e non di un piano regolatore comunale e soprattutto perchè esso includeva aree diverse e distanti dal terreno espropriato, era già occupato da costruzioni funerarie e per la parte residua soggetto ad area di rispetto TU legge sanitaria n. 1265 del 1934, ex art. 338.
Il motivo non ha pregio, sostanziandosi in rilievi o inammissibili, perchè generici, privi di autosufficienza e non decisivi, o infondati. In dichiarata applicazione del principio dell’edificabilità legale, la Corte distrettuale ha ineccepibilmente accertato l’edificabilità del terreno in questione, rilevando che all’epoca della sua cessione esso risultava incluso nel piano di zona per l’edilizia economica e popolare, approvato il 6.07.1967, circostanza che in effetti legittimava tale conclusione, avuto anche riguardo alle disposizioni di cui alla L. n. 167 del 1962 e segnatamente ai relativi artt. 1, 3 e 8. Ha, inoltre, sempre ineccepibilmente ritenuto che sulla qualificazione del terreno e segnatamente al fine di consentirne la riconduzione al diverso ambito delle aree non edificabili, non potesse essere valorizzata la destinazione impressa alla zona dal PRG del 1975, il quale all’epoca risultava soltanto adottato ma non anche approvato (in tema cfr.
cass. n. 14024 del 2002), ed ancora insindacabilmente ritenuto, con puntuali argomentazioni, l’ininfluenza in concreto del vincolo di rispetto cimiteriale di cui alla L. n. 1265 del 1934, art. 338.
Con il ricorso incidentale il C., nella spiegata qualità, si duole che sulle indennità differenziali, così di occupazione come di cessione, non sia stato riconosciuto in aggiunta agli interessi legali, il ristoro del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2 in misura pari alla differenza tra il tasso legale e quello di rendimento dei Titoli di Stato negli anni dei quali detta differenza era sussistita, considerando anche che nella fattispecie, il rendimento annuale dei Titoli di Stato era stato oggetto di accertamento peritale, per gli anni, dal 1983 al 1993, nei quali si era rivelato maggiore del tasso degli interessi legali.
Il motivo è inammissibile.
Occorre premettere che gli importi determinati dalla Corte d’appello, sono stati attribuiti a titolo di conguaglio dovuto sia sul corrispettivo per la cessione e sia sull’indennità di occupazione legittima, e, pertanto, costituiscono entrambi debito di valuta e non di valore (cfr, tra le altre, cass. n. 19437 del 2011). In violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso in cassazione, il ricorrente non ha precisato (l’indicazione figura inammissibilmente contenuta nella memoria illustrativa del cessionario, e, dunque, anche a contraddittorio chiuso) quando è stato chiesto in sede di merito il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, in aggiunta o in alternativa alla rivalutazione monetaria dei conguagli, negata in sentenza al pari del maggior danno. La precisazione era richiesta, giacchè il creditore di un’obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del "maggior danno" ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, e non può limitarsi a chiedere semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta.
Conclusivamente il ricorso principale e quello incidentale devono essere respinti, con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta i riuniti ricorsi principale ed incidentale e compensa per intero le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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