Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-09-2012, n. 15069

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Svolgimento del processo
1 La Corte di appello di Roma, pronunciando sull’opposizione alla stima proposta da M.M.P. in relazione all’espropriazione di un proprio fondo sito in Comune di xxx, rigettava preliminarmente l’eccezione di improponibilità proposta dall’ente convenuto, e basata sul rilievo che l’opponente, a seguito della comunicazione dell’indennità provvisoria, aveva richiesto il pagamento della stessa a titolo di acconto. Veniva osservato, a tale riguardo, che la richiesta di un acconto non poteva considerarsi espressiva della volontà di accettare l’indennità, aggiungendosi che non poteva ritenersi intervenuta, in assenza di un atto avente forma scritta e della determinazione del prezzo, la cessione volontaria del bene oggetto della procedura espropriativa.
1.1 – L’indennità veniva quindi determinata in Euro 99.785, tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, e, in particolare, del "valore aggiunto" allo stesso attribuito, pur trattandosi di terreno agricolo, in virtù della sua posizione "urbanisticamente strategica". Veniva rigettata, trattandosi di debito di valuta, la domanda concernente la rivalutazione monetaria della somma attribuita e venivano compensate le spese processuali.
1.2 – Per la cassazione di tale decisione la M. propone ricorso, deducendo tre motivi, cui il Comune resiste con controricorso, interponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi e resistito con controricorso.
Motivi della decisione
2 – Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.
3 – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, sostenendosi che non si sarebbe tenuto conto della decisione della Corte costituzionale n. 348 del 2007, con la quale detta norma è stata abrogata. Viene formulato il seguente quesito di diritto: "Valuti e dica l’ecc.ma Corte di cassazione adita se la sentenza n. 348 del 27 ottobre 2007 della Corte Costituzionale produce i suoi effetti nei confronti della determinazione dell’indennità espropriativa di cui ai decreti sindacali del Comune di xxx n. 4/2002 del 6/5/2002, n. 7 del 1/7/2002 ed al successivo integrativo n. 10 del 5/12/2002, che hanno formato oggetto dell’opposizione proposta da M.M. P. innanzi alla Corte di appello di Roma, con atto di citazione notificato il 19 /4/2003 e della sentenza n. 2825/07 della Corte di appello di Roma, emessa il 19/6/2007, depositata in Cancelleria il 25/6/2007 e non notificata".
3.1 – Con il secondo motivo si deduce omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.c., comma 1, n. 5, rilevandosi che non sarebbero state considerate le deduzioni inerenti alla vocazione edificatoria del fondo, soprattutto in considerazione di una già intervenuta concessione edilizia e di un accertamento di valore, con riferimento all’intera superficie del terreno, di mq 50.000, di L. 850.000.000.
Il motivo si conclude con l’indicazione del fatto controverso, con riferimento alla "mancata valutazione, da parte della Corte di appello, delle specifiche censure mosse alla consulenza tecnica, costituendo la concessione edilizia n. 68/1989 rilasciate dal Comune di xxx e l’accertamento di valore eseguito dal Ministero delle Finanze, Ufficio del Registro di xxx n. 1901414 del 24/9/1990 fatti controversi e rilevanti per il giudizio idonei, ove valutati, a determinare una decisione del tutto diversa da quella impugnata".
3.2 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendosi, sulla base della concessione edilizia rilasciata nell’anno 1989 e della valutazione eseguita dallo stesso Comune, fondata sulla natura edificabile del terreno, la valutazione del terreno come agricolo avrebbe determinato un’ingiusta decurtazione dell’indennità espropriativa.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: "Valuti e dica l’ecc.ma Corte di cassazione adita se viola il disposto del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, convertito con modifiche nella L. n. 359 del 1992, la determinazione, da parte della Corte di appello, dell’indennità di espropriazione di un terreno, già valutato in via amministrativa ai sensi del comma 1 del suddetto art. 5 bis, secondo il disposto del comma 4 del medesimo articolo (valore agricolo medio) con la maggiorazione di un valore aggiunto in considerazione della sua posizione urbanisticamente strategica e con esclusivo riferimento alla tipologia urbanistica attuale".
4 – Deve preliminarmente rilevarsi che nel presente giudizio di legittimità trovano applicazione, ratione temporis, per essere stata impugnata una sentenza depositata in data 25 giugno 2007, le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009), con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.
Tanto premesso, deve constatarsi come i quesiti relativi al primo ed al terzo motivo contengano la prospettazione di mere questioni giuridiche, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta oggetto della controversia, con la richiesta, in sostanza, di verificare se vi sia stata violazione delle norme indicate (cfr., in termini, Cass., Sez. Un., 24 marzo 2009, n. 7032; Cass., 17 luglio 2008, n. 19769). Manca, in particolare, nella prima censura, qualsiasi richiamo alla ritenuta natura agricola del terreno, ragion per cui l’invocazione della decisione n. 348 del 2007 (riferibile, com’ è noto, ai soli terreni edificabili), a prescindere dall’intervenuto o meno esaurimento del rapporto, appare in ogni caso, per se stessa, priva di pertinenza alla fattispecie concreta in esame.
Il quesito relativo al terzo motivo, d’altra parte, non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, fondata sulla ricognizione giuridica dell’area in base agli strumenti urbanistici del Comune di xxx vigenti al momento dell’emanazione dei decreti espropriativi (per tutte, cfr. Cass., 7 maggio 2010, n. 11116): l’omessa indicazione del principio di diritto applicato nella decisione impugnata contraddice l’essenza stessa della disposizione contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., come costantemente interpretata da questa Corte.
5 – Quanto al vizio motivazionale dedotto con il secondo motivo, deve richiamarsi il costante indirizzo di questa Corter secondo cui, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. Sez. Un., n. 20603/2007; Sez. 3, n. 16002/2007, n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Un’attenta lettura della sintesi con cui risulta indicato il "fatto controverso" non consente di comprendere in che modo, attraverso la valutazione degli elementi ivi richiamati (concessione edilizia e atto di accertamento di valore), si potesse per venire a "una decisione del tutto diversa da quella impugnata", salvo a ritenere – ed in tal caso non si esulerebbe comunque da un giudizio di inammissibilità del motivo – che la denuncia di un vizio motivazionale si riferisca, nella sostanza, a una violazione di legge. Ed invero, non potendosi prescindere dalla natura giuridica della qualificazione di un terreno come edificabile o meno, le circostanze indicate non rivestono alcun peso decisivo in merito alla ricognizione giuridica da effettuarsi, come già rilevato, sulla base degli strumenti urbanistici del Comune di xxx.
6 – Le superiori considerazioni impongono la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale. Non ricorrono i presupposti, in concreto, per l’applicazione della decisione della Corte costituzionale n. 181 del 2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del criterio riduttivo incentrato sul valore agricolo medio (VAM), introdotto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16, e confermato dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, nelle more del giudizio, per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost., in quanto, a prescindere dall’inammissibilità genetica del ricorso, deve osservarsi che la corte territoriale, affermando ante litteram i principi recentemente sanciti dal giudice delle leggi, ha operato nell’ambito di una vicenda in cui la richiesta di pagamento di acconto avrebbe dovuto far presupporre l’accettazione dell’indennità (Cass., 23 gennaio 2004, n. 1145; Cass., 21 gennaio 2009, n. 1567) – una liquidazione dell’indennità di gran lunga superiore a quella risultante dal ricorso al criterio fondato sul valore agricolo medio.
Mancando qualsiasi indicazione, da parte della ricorrente, circa le possibilità di sfruttamento dell’area non propriamente agricole, e comunque non edificatorie, non emerge alcun elemento per ritenere che la somma già attribuita – come già evidenziato, notevolmente superiore rispetto a quella risultante dall’utilizzazione del parametro costituito dal VAM, nonchè maggiore di quella provvisoria (erroneamente basata, secondo le deduzioni della stessa ricorrente, sulla natura edificabile del terreno) – possa essere in concreto determinata, anche applicando i nuovi criteri (in merito ai quali, cfr. Cass., 16 settembre 2011, n. 18963: possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria – parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), in misura superiore.
7 – L’evidenziata inammissibilità del ricorso principale comporta l’inefficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, di quello proposto in via incidentale, in quanto tardivo.
8 – Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il principale, inefficace l’incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2012

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