Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 11-09-2012, n. 15203

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Svolgimento del processo
La Corte di appello di Catania, con il decreto indicato in epigrafe, ha dichiarato improponibile la domanda proposta in data 14 ottobre 2009 da N.E. e L.A. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione alla richiesta di indennizzo del pregiudizio derivante dalla durata non ragionevole del giudizio instaurato davanti al TAR di Sicilia – sezione dist. di Catania nei confronti del Comune di xxx, cui gli stessi avevano partecipato – quali controinteressati – a far tempo dal 7 gennaio 1994, ritenendo applicabile, per essere stata la pretesa esercitata dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 la preclusione prevista da detta norma nelle ipotesi, come quella in esame, in cui non risultava presentata istanza di prelievo davanti al giudice amministrativo.
Per la Cassazione di tale decisione i predetti propongono ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
L’amministrazione resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2, 3 e 4 e del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 (convertito nella L. n. 133 del 2008), nonchè delle norme relative alla successione nel tempo delle leggi processuali. Con il secondo mezzo si denuncia violazione degli artt. 6 e 13 della Cedu, prospettandosi l’erroneità del rigetto della questione di legittimità costituzionale prospettata in via subordinata in relazione al citato D.L. n. 112 del 2008, art. 54.
Con il terzo motivo si censura il regolamento delle spese processuali. Il ricorso è fondato nei termini che verranno appreso precisati. Deve ritenersi, sulla base dei principi affermati da questa Corte (Cass., 13 aprile 2012, n. 5914) in base all’esame delle disposizioni normative che si sono succedute in materia, che alla fattispecie in esame sia applicabile ratione temporis (ricorso per equa riparazione depositato in data 21 settembre 2009) – il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal cosiddetto codice del processo amministrativo, sicchè restano estranee al presente giudizio tutte le questioni che, relativamente alla disposizione attualmente in vigore, possono eventualmente porsi.
Vanno quindi, in relazione alla fattispecie esaminata, richiamati i seguenti principi: a) in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa; b) l’innovazione, introdotta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, non regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere; c) tuttavia, la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 c.c., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, , pronunciata a sezioni unite, 24901 e 28428 del 2008 14753 del 2010, nonchè l’ordinanza n. 5317 del 2011); d) l’innovazione introdotta dal citato del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, è inapplicabile – in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie ed in ossequio al principio tempus regit actum – a quei procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 115 del 2011).
Va tuttavia puntualizzato che – relativamente ai giudizi per equa riparazione promossi nel periodo dal 25 giugno 2008 al 15 settembre 2010 -il ricorrente in equa riparazione per irragionevole durata di un processo amministrativo, iniziato prima del 25 giugno 2008 e ancora pendente a tale data, nel caso, quale quello di specie, in cui non abbia presentato in tale processo l’istanza di prelievo, di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), non ha diritto all’indennizzo per l’irragionevole durata di detto processo a far data dal 25 giugno 2008, ma può far valere e realizzare tale diritto per il periodo precedente a tale data, in quanto, trattandosi di norma finalizzata a sollecitare il giudice del processo amministrativo alla sua definizione in tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, al fine o di impedire tout court la violazione del termine di ragionevole durata dello stesso o, comunque, di ridurre l’entità della durata irragionevole e, quindi, la misura dell’indennenizzo eventualmente dovuto, la sua formulazione mostra inequivocabilmente che la (previa) presentazione dell’istanza di prelievo nel processo amministrativo è prefigurata dal legislatore siccome "presupposto processuale" della domanda di equa riparazione, presupposto che deve quindi sussistere al momento del deposito del ricorso per equa riparazione. Tale qualificazione, tuttavia, non comporta necessariamente che l’omessa presentazione dell’istanza di prelievo – cioè la mancanza di detto presupposto processuale – determini la vanificazione del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo amministrativo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008: ciò, per la decisiva ragione che, altrimenti opinando – posto che con riferimento al periodo già trascorso sarebbe del tutto inattuabile la funzione sopra indicata, costituente a un tempo ratio ma anche giustificazione del presupposto processuale in esame – questo si risolverebbe in un mero espediente legislativo per cancellare la responsabilità dello Stato per l’irragionevole durata del processo ed il corrispondente diritto all’equa riparazione del cittadino, riconosciuto e garantito dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1.
D’altra parte, nessun principio processuale d’ordine generale osta a che la domanda di equa riparazione possa essere esaminata e decisa per "parti" di essa e, quindi, essere accolta per una parte e dichiarata improponibile per l’altra (cfr., ad esempio, l’art. 277 c.p.c.). Al lume di tali principi appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, come prospettata nel secondo motivo di gravame, sia perchè, dopo l’entrata in vigore ella stessa, la parte è in grado di conoscere i limiti posti alla proponibilità della domanda di equa riparazione, sia perchè la presentazione dell’istanza di prelievo, di contenuto sollecitatorio, è finalizzata proprio alla realizzazione del principio della durata ragionevole del processo. Tanto premesso, va rilevato che i Giudici a quibus, in violazione del su enunciato principio di diritto, hanno dichiarato tout court improponibile tutta la domanda, omettendo in particolare di operare la distinzione tra la durata del processo amministrativo presupposto fino al 25 giugno 2008, e quella successiva a tale data.
La censura proposta con il primo motivo, rimanendo assorbita quella relativa al regolamento delle spese processuali, va accolta nei limiti sopra precisati.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..
Il processo presupposto – nel quale è stata pacificamente omessa dal ricorrente la presentazione dell’istanza di prelievo di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 e che era pendente alla data del deposito del ricorso per equa riparazione – ha avuto una durata complessiva di quattordici anni e sei mesi circa (dal 7 gennaio 1994 fino al 25 giugno 2008, non potendosi tener conto, per la ragione indicata, del periodo successivo.
La Corte EDU, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le Cass., n. 14753/2010 e Cass. n. 1359 del 2011).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, Cass. nn. 9938 e 18780 del 2010; n. 10500 del 2011).
Appare pertanto equo, per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale in esame, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo: esso va quindi determinato, in relazione alla durata come sopra determinata, in Euro 7.250,00, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo.
Le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 7.250,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al pagamento delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012

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