Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 11-09-2012, n. 15200

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania con il decreto indicato in epigrafe, corretto quanto all’importo con provvedimento depositato il 23 aprile 2001, in accoglimento della domanda di riparazione avanzata da P. D. in relazione alla durata non ragionevole di un giudizio instaurato davanti al TAR della Sicilia per il pagamento di differenze retributive, ritenuta non ragionevole la durata del giudizio presupposto nella misura di anni sei e mesi undici, liquidava la somma di Euro 6.916,00.

Per la cassazione di tale decreto il Ministero dell’Economia propone ricorso, affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso il P., il quale propone ricorso incidentale sorretto da due motivi, illustrativa memoria.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente constatarsi che all’ammissibilità del ricorso notificato in data 23 giugno 2010 non è ostativa la rilevabilità della improcedibilità, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., di un primo ricorso notificato il 14 maggio 2010: questa Corte ha già affermato che "la precedente proposizione di un ricorso per cassazione, non depositato entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., non preclude la proposizione, nel termine impugnatorio, di un successivo ricorso sostitutivo del primo, cui la parte abbia previamente rinunziato, ove non sia ancora intervenuta declaratoria di estinzione del processo" (Cass., 9 aprile 2002, n. 5045). Con il primo motivo del ricorso principale l’amministrazione deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 1 e 3 e dell’art. 6 Cedu, dovendosi escludere la sussistenza del danno non patrimoniale in virtù dell’inerzia della parte nel corso dell’intero giudizio presupposto.

Con il secondo motivo si deduce la violazione delle medesime enorme, per non aver la Corte territoriale considerato il comportamento delle parti nel giudizio amministrativo.

Le stesse norme sarebbero state violate – si sostiene nel terzo motivo in relazione alla minima entità della somma pretesa nel giudizio presupposto, inferiore a quella poi attribuita nel giudizio di equa riparazione.

Si sostiene, infine, con il quarto profilo di censura, che attribuendo la somma di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo si sarebbe violato il criterio, affermato da questa Corte, in virtù del quale per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, possono attribuirsi Euro 750,00. Il ricorso è infondato.

Quanto ai primi due motivi, che, per la loro intima connessione, possono essere congiuntamente esaminati, va rilevato che non vi è ragione per discostarsi dal principio per cui in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, è riscontrabile davanti al giudice amministrativo con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che la decorrenza del termine di ragionevole durata possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa, atteso che tale evenienza può incidere esclusivamente sulla determinazione dell’indennità spettante, ai sensi dell’art. 2056 cod. civ., all’avente diritto, come ribadito dai più recenti orientamenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Decisione Volta et autres c. Italia del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia del 6 aprile 2010), secondo i quali è possibile al giudice nazionale modulare la quantificazione del risarcimento in considerazione della peculiarità del caso e scendere al di sotto dell’importo di mille/00 Euro normalmente liquidate (Cass. n. 14753 del 2010; Cass. n. 24338 del 2006).

Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla dedotta modestia dell’entità della posta in gioco, che non esclude la presunzione del danno non patrimoniale, potendo eventualmente incidere sulla sua liquidazione (Cass., 3 gennaio 2011, n. 22).

In relazione a tale aspetto, e ciò valga ad evidenziare l’infondatezza del quarto motivo (laddove l’indicazione di una somma "non inferiore " ad Euro 750,00 non esclude che, in relazione al caso concreto, possa attribuirsi una somma superiore), devesi rimarcare come i fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione affidato al giudice del merito è segnato dal rispetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo, come applicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale; pertanto, è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri elaborati dalla Cedu, pur conservando un margine di valutazione che gli consente di discostarsi dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili, purchè in misura ragionevole e motivatamente (Cass., 2 febbraio 2007, n. 2247). Con riferimento alla fattispecie in esame la Corte territoriale non si è discostata in maniera significativa dai parametri indicati di recente dalla Cedu, e, per altro, ha compiuto una valutazione di merito di per sè non sindacabile in questa sede, tanto più che non è stato dedotto alcun vizio motivazionale.

Passando all’esame del ricorso incidentale, deve rilevarsi la fondatezza del primo motivo, con il quale si denuncia l’omessa attribuzione, sulla somma liquidata, degli interessi legali, ancorchè – come nel rispetto del principio di autosufficienza è stato validamente dedotto – ritualmente richiesti.

Pertanto, rimanendo assorbita la censura relativa alle spese processuali, che vanno rideterminate, il decreto impugnato va cassato in relazione al motivo accolto. Ricorrendo i presupposti per decidere nel merito, deve disporsi che sulla somma liquidata sono dovuti gli interessi legali, con decorrenza, secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass., 31 e 2011, n. 22611; Cass., 5 settembre 2011, n. 18150; Cass., 12 settembre 2005, n. 18195), dalla data della domanda.

Le spese del giudizio di merito e quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; accoglie l’incidentale. Cassa il decreto impugnato in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna l’amministrazione al pagamento sulla somma liquidata degli interessi in misura legale dalla domanda fino al saldo effettivo, nonchè al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012

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