Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-10-2013) 14-11-2013, n. 45892

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con sentenza del 30.3.2012 la Corte di appello di Trento – a seguito di gravame interposto dall’imputata L.G. avverso la sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Rovereto il 23.6.2011 – ha confermato detta sentenza con la quale la predetta L. era stata ritenuta responsabile del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione alla detenzione illecita di 88 pasticche di xxx e condannata a pena di giustizia.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata a mezzo del difensore deducendo:
2.1. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, difetto di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 63 c.p.p., comma 2, art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p..
In particolare, si censura:
2.1.1 la contraddittorietà della interpretazione della conversazione ambientale tra il P. e la L. con le dichiarazioni rese dal B. che indica il detentore delle pasticche nella "ragazza" del P. che, invece, è la D., desumendo che il controllo sullo stupefacente fosse esercitato dalla L..
2.1.2. Il contrasto tra l’interpretazione di detta conversazione ed il suo contenuto letterale nonchè rispetto ai motivi riferiti dalla D. in ordine all’accesso della L. presso l’appartamento del P.;
2.1.3. l’inspiegato contrasto tra le dichiarazioni del B. e quelle della D. in ordine alla disponibilità delle pasticche.
2.1.4. L’omessa motivazione in ordine alla denunciata violazione dell’art. 63 c.p.p., comma 2 in relazione alla utilizzazione delle dichiarazioni del D., sentita senza difensore ed a carico della quale emergevano già indizi di reità provenienti dalle dichiarazioni del B..
2.1.5. l’omessa motivazione in ordine al luogo dove la L. avrebbe custodito le pasticche e la contraddittorietà dell’assunto secondo il quale la donna avrebbe reso possibile il successivo rinvenimento rispetto alla consapevolezza che la abitazione del P. era sotto sorveglianza.
2.1.6. l’omessa motivazione in ordine alla deduzione difensiva che, poggiata sulle dichiarazioni di P.A., aveva osservato la possibilità di accesso di altri soggetti presso l’abitazione.
2.2. Difetto di motivazione e violazione dell’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per omessa motivazione sulle concrete condotte che la L. avrebbe realizzato per "custodire" lo stupefacente, posto che la imputata non coabitava con il P..
3. Il ricorso è inammissibile.
4. La sentenza impugnata ha desunto la responsabilità della ricorrente in ordine alla illecita detenzione delle pasticche di xxx – delle quali 88 ritrovate in bella mostra nell’appartamento del P. in una seconda perquisizione sollecitata dalla stessa imputata – dal contenuto della conversazione in carcere dalla stessa tenuta con il P. detenuto con particolare riguardo alla risposta positiva della donna alla domanda dello stesso P. se avesse trovato qualcosa ed alla sottolineatura della stessa donna di avere in custodia "tutto", rassicurandolo che nessuno potrà disporne e, soprattutto l’inaffidabile BA. al quale non ha lasciato le chiavi di casa, perchè altrimenti "lui va poi lì e… si diverto".
L’incontro in carcere – nota la sentenza – si conclude con il riferimento alla "fortuna" del P. per il ritrovamento, evidentemente del tutto cabale delle pastiglie, mentre la L. cercava una coperta da portare all’amico.
Pertanto, rileva la sentenza, la innegabile realtà della detenzione delle pasticche da parte del P. prima e della L. dopo il suo ritrovamento è riscontrata dalle dichiarazioni del B. che aveva avuto assicurato dal suo fornitore ( BA.) di siffatta disponibilità delle pastiglie sfuggite alla perquisizione del P., poi arrestato. Sulla base di tale ricostruzione, quindi, la sentenza – in risposta alle deduzioni difensive – esclude la rilevanza della non coincidenza tra l’imputata e la "ragazza" del P., ritenuta elemento di contorno.
5. Ritiene il Collegio che le censure difensive costituiscano una inammissibile riproposizione di questioni di merito rispetto ad alla richiamata motivazione che, senza vizi logici e giuridici, ha confermato la responsabilità della ricorrente in ordine al reato ascrittole.
6. Invero, il contenuto intercettivo è del tutto logicamente posto a base della affermazione di responsabilità della L. allorquando individua a carico della predetta il ritrovamento delle pastiglie presso l’abitazione del P. dopo il suo arresto e la successiva custodia di cui assicura lo stesso P. in carcere.
Così come è logicamente valorizzata la convergente dichiarazione del B. in ordine alla effettiva disponibilità da parte del P. delle pasticche, parimenti escludendo la rilevanza della attribuzione della successiva disponibilità alla "ragazza" dello stesso P., che non era la L..
7. Il motivo relativo alla violazione dell’art. 63 c.p.p. in ordine alle dichiarazioni rese dalla D. è inammissibile per la mancata proposizione dello stesso dinanzi al giudice di appello, presso il quale – secondo quanto si evince dallo stesso gravame – si fa piuttosto una questione di credibilità delle dichiarazioni rese.
8. Cosicchè le questioni relative alla individuazione del luogo dove la L. avrebbe custodito le pasticche rinvenute, alla consapevolezza mostrata dalla stessa in ordine al controllo al quale era sottoposta l’abitazione del P., alla possibilità di accesso di altri soggetti alla stessa abitazione, non individuando effettivi vizi della motivazione posta a base della affermazione di responsabilità, costituiscono una inammissibile proposizione di elementi di fatto volti ad una interpretazione alternativa della vicenda che non può essere sollecitata dinanzi a questa Corte.
Ed anche la questione della condotta materiale della imputata in ultimo sollevata dal ricorso è inammissibilmente generica in quanto non si confronta con le ragioni esposte dalla sentenza in ordine al ritrovamento ed alla custodia delle pasticche da parte della L..
9. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2013

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