Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-10-2013) 08-11-2013, n. 45181

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza 21.1.2013 la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la pronuncia di colpevolezza emessa dal Tribunale di Cagliari nei confronti di R.A. in ordine al delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, (per avere realizzato due verande e nicchie per alloggiamento di elettrodomestici con sistemazione di pertinenze esterne in assenza di autorizzazione paesaggistica in zona vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico in località (OMISSIS) nel territorio del Comune di (OMISSIS)).
La Corte di merito, per quanto ancora interessa, ha rilevato l’erroneità della tesi difensiva dell’appellante secondo cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico non poteva ritenersi a lui opponibile in quanto adottata in violazione delle procedure previste dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 136, 139 e 140, con particolare riferimento alla mancata partecipazione dell’interessato al procedimento. Secondo la Corte di merito, tale procedura si applica ai procedimenti per dichiarazione di notevole interesse pubblico intrapresi dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2004, senza alcuna possibilità di rivisitazione di dichiarazioni già effettuate sulla scorta della normativa previgente, come quella relativa al "Comune" di (OMISSIS) (così testualmente, n.d.r.), esistente già da trent’anni prima del fatto in contestazione. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha ricondotto il fatto all’ipotesi di cui all’art. 181, comma 1 bis, per cui l’intervenuto accertamento della compatibilità paesaggistica non esclude la punibilità del delitto (che ha natura di reato di pericolo) ma ha rilievo solo ai fini della rimessione in pristino (peraltro non disposta dalla sentenza impugnata).
2. Il R. ricorre per cassazione denunciando tre motivi.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale dolendosi della ritenuta sussistenza del reato a fronte del rilascio in sanatoria della autorizzazione paesaggistica e della concessione edilizia.
Insiste nella tesi dell’assenza di danno paesaggistico e ritiene applicabile il disposto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, lett. a), (sottoposizione a tutela paesaggistica dei territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia).
2. Con la seconda censura, denunziando "errata applicazione della normativa esistente in materia" il R. rileva che la sentenza impugnata ha ignorato una serie di disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 42 del 2004, (in particolare gli artt. 142 e 157, di cui il ricorrente elenca il contenuto) nonchè il D.M. 11 febbraio 1976, ed insiste nel ritenere che gli interventi rientrano nella previsione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per cui l’intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica comportava una pronuncia di proscioglimento.
Le due censure – strettamente connesse e come tali suscettibili di esame congiunto – sono prive di fondamento.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, qualificabile come di pericolo astratto, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione di interventi in assenza di preventiva autorizzazione che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato (tra le varie, cfr. Sez. 3, Sentenza n. 6299 del 15/01/2013 Ud. dep. 08/02/2013 Rv. 254493; Sez. 3, Sentenza n. 34764 del 21/06/2011 Ud. dep. 26/09/2011 Rv. 251244 Sez. 3, Sentenza n. 2903 del 20/10/2009 Ud. dep. 22/01/2010 Rv. 245908).
Nel caso di specie, il giudice del merito, dopo avere esattamente qualificato la natura giuridica del reato, ha rilevato la realizzazione, nel maggio del 2006 (come da relativo verbale di sopralluogo in atti) delle due tettoie in assenza della autorizzazione paesaggistica e in zona di notevole interesse pubblico; e, sulla base di tale accertamento, ha ritenuto che l’intervento integra il delitto di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, (e non già la contravvenzione prevista dal comma 1), norma senz’altro applicabile alla fattispecie, accertata – come si è visto – nel maggio del 2006.
La conclusione a cui è pervenuta la Corte sarda si basa su accertamenti in fatto rientranti nelle prerogative del giudice di merito e insindacabili in questa sede, perchè congruamente motivati attraverso un percorso argomentativo privo di salti logici.
Correttamente, quindi, è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 181, comma 1 ter, che, come è noto, prevede la non punibilità in caso di intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica, limitatamente però al reato contravvenzionale di cui all’art. 181 comma 1 (nel caso di specie non ravvisato affatto dal giudice di merito) ed in determinate ipotesi, tra cui il caso di abusi minori, secondo la specifica previsione legislativa.
3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente denunzia un vizio motivazionale (mancanza e manifesta illogicità della motivazione).
Richiama ancora una volta l’esito favorevole della pratica di rilascio della concessione in sanatoria e il provvedimento di compatibilità paesaggistica con esclusione di qualsivoglia danno ai beni tutelati osservando che il giudice di merito avrebbe dovuto sospendere l’azione penale a fronte dell’avviato iter diretto alla compatibilità paesaggistica sino alla effettiva conclusione dello stesso.
Il motivo è manifestamente infondato.
Va innanzitutto osservato che la questione della mancata sospensione dell’azione penale attiene non già un vizio di motivazione ma una violazione di legge, peraltro neppure dedotta nei motivi di appello (come riassunti nella sentenza impugnata), sicchè ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c., la relativa censura è inammissibile in questa sede.
Passando al dedotto vizio motivazionale, va ricordato il generale principio di diritto secondo cui il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528). L’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, xxx, RV. 214794).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha escluso che le opere in questione possano considerarsi di entità così modesta da escludere l’impatto paesaggistico perchè la realizzazione di due verande coperte, di nicchie esterne destinate ad accogliere gli elettrodomestici e il rifacimento della piastrellatura costituisce un insieme di lavori che influisce in maniera significativa sul complessivo aspetto dell’immobile (cfr. sentenza impugnata pag. 6).
La Corte d’Appello ha inoltre motivato correttamente sulla irrilevanza dell’intervenuto rilascio della compatibilità paesaggistica ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 181, comma 1 bis, evidenziando, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte, la sua influenza esclusivamente sull’eventuale ordine di demolizione, che la sentenza impugnata peraltro neppure ha impartito.
Trattasi, in definitiva, di un percorso assolutamente coerente che, come tale si sottrae al sindacato di legittimità sollecitato dal ricorrente il quale, invece, come si evince dal contenuto delle doglianze, tende ad ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013

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