T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 31-01-2011, n. 304

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La società ricorrente, dopo aver ottenuto in data 3 marzo 1998 la concessione edilizia per la costruzione di un capannone industriale, presentava in data 6 ottobre 1999 una D.I.A. per recintare l’area di sua proprietà e realizzare un parcheggio esterno.
Con il presente gravame parte ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale è stata diffidata dall’eseguire i lavori oggetto della D.I.A. perché in contrasto con le prescrizioni di piano vigenti ed adottate e con il regolamento edilizio del comune.
A sostegno del proprio ricorso l’istante ha dedotto la violazione degli artt. 39.2 e 40 delle N.T.A. del P.R.G. in adozione, dell’art. 11 delle preleggi (efficacia della legge nel tempo), dell’art. 27 del regolamento edilizio del comune di xxx, dell’art. 4, comma 7, della legge n. 493/93, come modificato dall’art. 2, comma 60, della legge n. 662/96, dell’art. 2 della Costituzione, dell’art. 841 del c.c., nonché l’eccesso di potere per errore e travisamento dei presupposti di fatto, per difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità.
Si è costituito il comune intimato, eccependo in via preliminare l’improcedibilità del ricorso e chiedendo il rigetto dello stesso per infondatezza nel merito.
Con ordinanza n. 262/00 del 26 gennaio 2000 la sezione II ha accolto l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
Successivamente le parti hanno presentato memorie a conferma delle rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza del 17.1.2011, il gravame è stato, quindi, trattenuto per la decisione.
Deve, in via preliminare, esaminarsi l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse sollevata dal comune in ragione della mancata impugnazione della nota del responsabile del servizio sopravvenuta in data 20 gennaio 2000.
L’eccezione va disattesa, non avendo la succitata nota comunale natura provvedimentale, bensì costituendo la stessa una mera comunicazione di risposta alla richiesta formulata dal legale della società ricorrente al fine di ottenere un incontro tra le parti presso gli uffici comunali e, pertanto, non idonea a produrre alcuna ulteriore efficacia lesiva per la posizione della ricorrente.
La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’improcedibilità per sopravvenuto difetto d’interesse dell’impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo si verifichi quando interviene un diverso provvedimento, il quale, come suo proprio effetto e indipendentemente dalle questioni sottoposte al giudice amministrativo nel procedimento considerato, muti la situazione giuridica in modo tale da rendere inutile la pronuncia chiesta al giudice amministrativo; si tratta, cioè, di una semplice applicazione della regola processuale dell’interesse ad agire, il quale non solo deve sussistere al momento della proposizione del ricorso, ma deve altresì permanere al momento della pronuncia, per evitare attività giurisdizionale inutile (Cons. Stato, sez. V, 2 luglio 1996, n. 500).
Nel merito, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Parte ricorrente lamenta, essenzialmente, che la diffida comunale sarebbe stata emessa illegittimamente, sul presupposto errato dell’applicazione di una normativa urbanistica invece inapplicabile.
Per il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, la disciplina urbanistica applicabile alle domande di concessione edilizia è quella vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2009, n. 4848).
Nella fattispecie in questione, il comune ha invocato l’applicazione dell’art. 40 delle NTA del PRG adottato, atteso che il progetto contrasterebbe con tale norma, che sancisce l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione di ricavare parcheggi esterni mediante l’arretramento delle recinzioni lungo le strade.
Come precisato dalla ricorrente nel primo motivo di diritto e confermato dall’orientamento giurisprudenziale succitato, nonché in omaggio al principio generale di inapplicabilità retroattiva della legge, tale normativa è inapplicabile, in quanto non esisteva all’epoca del rilascio della concessione edilizia del capannone, già costruito, della cui recinzione si discute.
In ordine, invece, all’assunto contrasto della recinzione con l’art. 27 del regolamento edilizio comunale, che prescrive l’adozione di recinzioni trasparenti verso spazi pubblici, deve osservarsi che tale norma riguarda esclusivamente le recinzioni delle aree coperte, dei parchi o giardini privati, o delle zone interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche, e non anche recinzioni prospettanti su un’area a standard, quale è quella realizzata dalla ricorrente lungo il lato ovest della sua proprietà, che non può essere in alcun modo equiparata ad una strada o ad una piazza pubblica.
Riguardo, poi, all’assunto contrasto della recinzione con la destinazione a strada dell’area sulla quale la stessa dovrebbe sorgere, è sufficiente far richiamo a quell’orientamento giurisprudenziale per il quale il diritto del proprietario di chiudere il proprio fondo non può essere impedito dall’esistenza di una previsione vincolistica interessante l’area in questione, atteso che il legittimo esercizio dello ius escludendi alios non contrasta, di per sé, con detta previsione, non avendo per fine quello di imprimere all’area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme urbanistiche (TAR Puglia, sez. III, 22 febbraio 2006, n. 572; TAR Lombardia, sez. II, 11 febbraio 2005, n. 367).
In ordine, infine, alla assunta necessità di apposito titolo abilitativo per la realizzazione della cabina ENEL, si osserva che tale manufatto, costituendo un impianto tecnologico a servizio del preesistente edificio di proprietà della ricorrente ed essendo, dunque, in rapporto di necessaria strumentalità rispetto allo stesso, era realizzabile, secondo la normativa vigente all’epoca dell’emissione del provvedimento impugnato, mediante la mera presentazione di una D.I.A.
L’art. 4 comma 7, d.l. n. 398 del 1993, convertito, con modificazioni, nella l. n. 493 del 1993, prescrive, infatti, la denuncia di inizio attività per recinzioni, mura di cinta e cancellate e per l’installazione di impianti tecnologici (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 6 maggio 2010, n. 609).
Per le suesposte considerazioni il ricorso va accolto, assorbendosi ogni ulteriore motivo di doglianza e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.
L’istanza di risarcimento del danno va, invece, respinta, atteso che la tempestiva sospensione del provvedimento impugnato e la conseguente realizzazione dei manufatti di cui si discute ha evitato l’insorgere di qualsiasi pregiudizio per la ricorrente, del quale, infatti, la stessa non ha fornito alcuna prova.
Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della controversia, per disporre la compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’annullamento dell’atto impugnato.
Respinge la domanda di risarcimento del danno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Elena Quadri, Primo Referendario, Estensore
Ugo De Carlo, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *