Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-10-2013) 08-11-2013, n. 45180

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Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari con sentenza del 2.10.2012 ha confermato la pronuncia del Tribunale che aveva condannato P.N. alla pena di Euro 600,00 di ammenda in ordine al reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. h (per avere esercitato la caccia utilizzando un fucile con più di tre colpi in quanto privo di riduttore, in violazione della L.R. n. 23 del 1998, art. 41, comma 1).

Contro la decisione della Corte d’Appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato.

Motivi della decisione

1. Rileva innanzitutto il Collegio che la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l’appello, perchè come chiaramente dispone l’art. 593, comma 3 "sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda" e nel caso di specie il Tribunale di Sassari aveva deciso proprio in questi termini.

Consegue pertanto, in applicazione dell’art. 620 c.p.p., lett. i) l’annullamento senza rinvio della sentenza e, logicamente, l’assorbimento del relativo ricorso per cassazione mentre invece, per il principio del favor impugnationis e di conservazione degli atti processuali di cui all’art. 568 c.p.p., va qualificato in tal senso, ed esaminato, l’atto di appello a suo tempo erroneamente indirizzato alla Corte sarda.

2. Col primo motivo si deduce il difetto di motivazione dell’ordinanza con cui è stata rigettata dal Tribunale, per difetto di rilevanza e decisività delle circostanze dedotte, la richiesta di integrazione probatoria di prova ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5. L’istanza della difesa aveva ad oggetto l’assunzione della testimonianza del compagno di caccia dell’imputato perchè riferisse quanti colpi quest’ultimo caricasse nell’arma durante le battute di caccia e quali fossero le circostanze concrete osservate il giorno del controllo nonchè se in quel momento egli fosse impegnato nella caccia o piuttosto si trovasse, a caccia finita, nei pressi della propria auto ben lontano dai luoghi venatori.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 591 c.p.p., lett. a).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte – a cui va data oggi senz’altro continuità – è preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato "secco", la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 27183 del 05/06/2009 Ud. dep. 03/07/2009 Rv. 248477).

Dunque, in presenza di tale scelta non può più l’imputato lamentare l’illegittimo rigetto della richiesta di integrazione probatoria.

Nel caso di specie, dal verbale del 21.4.2010 risulta che il difensore aveva optato per il rito abbreviato secco rinunziando sostanzialmente alla integrazione probatoria, sicchè non aveva interesse a lamentarsi successivamente, sotto il profilo del vizio motivazionale, del rigetto di tale richiesta: un eventuale accoglimento del motivo di ricorso infatti non avrebbe potuto in ogni caso portare, in sede di rinvio, a conseguenze diverse in ordine alla questione della legittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza.

2. Col secondo motivo il ricorrente, denunziando una erronea applicazione della normativa sulla caccia, si duole della sussistenza del reato contestato e della fattispecie incriminatrice, rilevando in particolare che al momento di controllo egli non era intento all’esercizio della caccia nel senso inteso dalla L.R. n. 23 del 1998, art. 40, comma 2 trovandosi egli vicino all’autovettura in un parcheggio lontano dai luoghi di caccia.

Osserva inoltre che il giudice di merito ha erroneamente applicato la normativa regionale che non preclude la disponibilità di tre colpi, consentendo appunto di tenere due colpi nel caricatore e uno in canna, situazione questa più nociva di quella riscontrata nel caso concreto (rinvenimento di tre colpi tutti all’interno del serbatoio).

La censura è infondata sotto entrambi i profili.

Quanto alla interpretazione del concetto di caccia, anche la legge regionale richiamata dal ricorrente, così come del resto la Legge Statale n. 157 del 1992, stabilisce che "è’ considerato, altresì, esercizio di caccia il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla o catturarla" (cfr. L. n. 157 del 1992, art. 12 e L.R. Sardegna n. 23 del 1998, art. 40, comma 2).

Ebbene, come già affermato da questa Corte, nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l’uccisione della selvaggina, ma anche l’attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all’abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 16207 del 14/03/2013 Ud. dep. 09/04/2013 Rv. 255486; Sez. 3, Sentenza n. 18088 del 06/03/2003 Cc. dep. 16/04/2003 Rv. 224732; Sez. 3, Sentenza n. 452 del 26/11/1998 Ud. dep. 15/01/1999 Rv. 212842).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che il P. venne fermato mentre, di rientro da caccia, si dirigeva verso la propria autovettura con addosso un fucile semiautomatico cal. 12 marca Benelli e quindi, sulla base della accertata disponibilità di mezzi diretti all’uccisione della selvaggina, ha ritenuto provata l’attività di caccia secondo l’ampia accezione accolta in giurisprudenza: trattasi di accertamento in fatto basato sul puntuale rilievo di circostanze di tempo e di luogo, motivato succintamente, ma senza alcun vizio logico e come tale insindacabile in questa sede.

Sotto l’altro profilo, l’infondatezza discende dal rilievo che, secondo l’art. 41, comma 1 della L.R. invocata dal ricorrente, "l’attività venatoria è consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, oltre a quella in canna, di calibro non superiore al 12".

Il Tribunale ha accertato che il caricatore dell’arma in possesso del P. conteneva invece non due, bensì tre cartucce (in palese contrasto quindi con la norma) e quindi ha correttamente ravvisato la contravvenzione.

Il mancato rinvenimento del colpo in canna, contrariamente alla tesi dell’imputato (fondata su una mera quadratura di conti, nel senso che detenere tre cartucce nel caricatore e nessuna in canna equivale a tenere due cartucce nel caricatore più una in canna), non esclude che esso vi fosse e poi sia stato precedentemente esploso durante la battuta di caccia. Del resto il giudice di merito ha rilevato un altro dato significativo e cioè la mancanza del riduttore di colpi, e quindi proprio la possibilità di caricare nel serbatoio dell’arma più proiettili rispetto al numero legale consentito, che – lo si ripete – è di due.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello e, qualificato l’appello come ricorso per cassazione, lo rigetta e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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