Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-09-2012, n. 15167

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Oggetto del presente giudizio di legittimità è l’impugnazione, proposta dai ricorrenti indicati in epigrafe, della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma il 16 gennaio 2006, n. 7321, a seguito dell’appello proposto da xxxspa e xxx Cxxx – società regionale spa, nei confronti di M. G. e altri, in ordine alla sentenza del Tribunale di Roma n. 619/02 del 15 novembre 2002.
2. La suddetta sentenza di primo grado aveva accolto la domanda proposta dai ricorrenti M.G. e altri, diretta alla costituzione del rapporto di lavoro con il xxx, con la qualifica di segretari, 5 livello, dal 31 marzo 1991, ed alla condanna alle retribuzioni dovute, maggiorate di accessori e spese.
3. La Corte d’Appello dichiarava cessata la materia del contendere in ordine ad alcuni dei ricorrenti originari, e in riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda proposta in primo grado dagli altri ricorrenti 4. Impugnano la suddetta pronuncia emessa in grado di appello per la cassazione della stessa, B.S., B.L., C. A., C.A., C.P., D.A., F.D., F.E., L.E., M. D., P.G., R.A., nei confronti di xxx – xxx di Roma spa e xxx – Cxxx spa, prospettando tre motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso xxx Cxxx – società regionale spa (già xxx spa).
6. Anche xxx, xxx di Roma spa (già xxx spa, già xxx) si è costituita con controricorso.
7. B.S. ed altri hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. In prossimità dell’udienza dell’8 maggio. Le altre parti avevano già depositata memoria in riferimento alla precedente udienza pubblica, come fissata, nella quale la trattazione della causa era stata rinviata.
Motivi della decisione
1. In via preliminare è necessario ripercorrere l’articolata vicenda oggetto del presente giudizio introdotto, in primo grado, con ricorso depositato il 25 giugno 1997.
Con delibera della Commissione amministratrice A.xxx – xxx Lazio n. 1268 del 28 novembre 1990, veniva disposta l’assunzione di un certo numero di segretari, livello 5, da prelevare dalla graduatoria del concorso pubblico indetto con Delib.
26 aprile 1985, n. 440 (16 posti di assistente di 5 livello).
L’assemblea consortile del CTL Consorzio Trasporti Laziali – ente di controllo dell’A.xxx, con Delib. n. 284 del 1990, nulla osservava su detto atto.
Il xxx della Regione Lazio con verbale del 7 gennaio 1991, n. 2055 annullava la suddetta delibera del CTL. A seguito di tale annullamento l’A.xxx, con Delib. 21 febbraio 1991, n. 231, sulla quale s’incentra la controversia in esame, adottava un nuovo provvedimento di contenuto analogo, che superava, anch’esso, il vaglio dell’assemblea consortile C.T.L., la cui delibera, tuttavia, 15 marzo 1991, n. 81 veniva annullata dal xxx, con verbale n. 2204 del 17 giugno 1991.
I ricorrenti impugnavano dinanzi al TAR Lazio la decisione del xxx..
Il TAR con la pronuncia n. 2068 del 26 ottobre 1992, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. Pertanto, i ricorrenti adivano il Pretore del lavoro, chiedendo, previa disapplicazione, dichiararsi costituito il rapporto di lavoro o il diritto all’assunzione. Anche il Pretore di Roma, tuttavia, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.
Adita la Corte di Cassazione, in sede di regolamento di giurisdizione, con sentenza n. 8399 del 1995, a Sezioni Unite, veniva dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il TAR, dinanzi al quale era riassunto il giudizio annullava l’atto del xxx del 17 giugno 1991 con la sentenza n. 748 del 22 aprile 1997, poi confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 6853/00.
I ricorrenti, con il ricorso del 25 giugno 1997, adivano il giudice del lavoro di Roma affinchè, nei confronti del xxx, dichiarasse costituito il rapporto di lavoro o il diritto all’assunzione dal 31 marzo 1991, in ragione della Delib. n. 231 del 1991, che richiamava la graduatoria del concorso indetto nel 1985.
Nel corso del giudizio veniva proposto regolamento preventivo di giurisdizione, deciso con la sentenza Cass., Sezioni Unite, n. 3658/03.
Dopo la sentenza del TAR n. 748/97, il xxx con delibera n. 230/97 annullava la Delib. n. 231 del 1991.
Il TAR annullava tale revoca con la sentenza n. 1082 del 1999 confermata dal C.d.S..
2. Sempre in via preliminare, occorre richiamare, in sintesi, le ragioni poste dalla Corte d’Appello a fondamento del rigetto della domanda proposta dagli odierni ricorrenti in primo grado:
1) la Delib. n. 231 del 1991, deve ritenersi esistente a seguito delle sentenze G.A. e, pertanto, occorre verificare se, in base alla stessa, sussista il diritto all’assunzione degli appellati;
2) diversamente da come ritenuto giudice di primo grado, detta delibera non ha riaperto i termini della precedente procedura concorsuale del 1985;
2) mancando continuità giuridica tra il bando di concorso del 1985 e la Delib. n. 231 del 1991, dunque non vi è offerta al pubblico vincolante riferibile a quest’ultima;
3) con riguardo alla qualificazione di detta delibera quale atto amministrativo endoprocedimentale o privatistico, la Corte d’Appello afferma che le aziende di trasporto operano iure privatorum e la stessa costituisce atto di manifestazione di volontà prenegoziale, valutabile come proposta di contratto idonea a fondare un diritto all’assunzione, ma che non risulta comunicata agli interessati;
comunque l’assunzione sarebbe stata subordinata alla verifica dei requisiti per l’immissione in servizio, e alle prescritte visite mediche;
5) anche qualora si ritenesse trattarsi di atto amministrativo le conclusioni sarebbero le stesse non essendo stato comunicato.
6) conclusivamente, statuisce il giudice dell’appello, si tratta di atto interno-strumentale, avente lo scopo di dare avvio a procedura di assunzione collettiva che doveva necessariamente prevedere l’individuazione dei destinatari, la verifica dei requisiti per l’immissione in servizio, tra cui la visita psico-attitudinale, la conclusione del contratto di lavoro.
3. Tanto premesso, può passarsi all’esame dei motivi di ricorso, che superano il vaglio di ammissibilità, in quanto in ordine agli stessi non trova applicazione, ratione temporis (la sentenza d’appello veniva depositata il 16 gennaio 2006), l’art. 366-bis c.p.c., come invece eccepito dalla xxx, nè è conferente la dedotta inammissibilità del ricorso ex art. 372 c.p.c..
3.1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge, art. 1336 c.c.. Omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).
Ad avviso dei ricorrenti poichè la graduatoria del concorso indetto nel 1985 veniva pubblicata sulla G.U. del 21 aprile 1989, nel febbraio 1991, il triennio di validità della stessa, previsto nel bando, non era scaduto. Sussisteva, pertanto, continuità tra la suddetta procedura concorsuale e la Delib. n. 231 del 1991 che veniva ad integrare, anch’essa, una forma di offerta al pubblico.
In ogni caso, la procedura di scorrimento della graduatoria, anche oltre i termini, comunque risponde a finalità di interesse pubblico di procedere alle assunzioni che rientrava nella legittima discrezionalità dell’Azienda.
3.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione di legge – D.P.R. n. 902 del 1986, art. 72 ed art. 2909 c.c.. Omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).
Errata e contraddittoria sarebbe l’affermazione, contenuta nella sentenza d’appello, che la Delib. n. 231 del 1991 costituirebbe atto interno, in quanto la stessa è stata sottoposta ad un articolata procedura di controllo, anche ai fini dell’esecutività, incompatibile con una valenza meramente interna.
La stessa Azienda revocava tale delibera dopo la sentenza TAR n. 748/97 per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, circostanza incompatibile con la ritenuta natura di atto interno. Detta delibera, richiama, altresì il D.P.R. n. 902 del 1986, art. 72, che prevede l’affissione nell’albo comunale, consortile, (l’allora CTL) ai sensi dell’art. 88, e segg., del medesimo D.P.R., per cui la stessa veniva pubblicata e/o comunicata. Peraltro l’Azienda comunicava a ciascun interessato l’assunzione, quale segretario, con telegramma.
6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).
I ricorrenti censurano la sentenza per non avere ritenuto che la procedura di assunzione era stata completata sottoponendo a visita medica gli attuali ricorrenti entro il 31 marzo 1991. In tal senso assumeva rilievo la sentenza del TAR Lazio n. 2068/92, la mancanza di contestazioni, in merito, da parte del xxx in primo grado, nonchè la Delib. del 1997, n. 230 di revoca della Delib. n. 231 del 1991, che faceva espresso riferimento all’intervenuta effettuazione delle visite mediche.
7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c., vizio motivazione.
Deducono i ricorrenti che la Corte d’Appello, con la sentenza in esame, avrebbe violato il giudicato di cui all’ordinanza della Cassazione a Sezioni Unite, n. 3658 del 2003, che avrebbe affermato il diritto all’assunzione degli stessi.
8. L’esame del quarto motivo d’impugnazione deve essere trattato con precedenza, avendo lo stesso priorità logica e giuridica.
Lo stesso non è fondato e deve essere rigettato.
Ed infatti con l’ordinanza delle Sezioni Unite n. 3658 del 2003, che decideva su regolamento preventivo di giurisdizione, veniva dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Affermavano le Sezioni Unite che, con la decisione del Consiglio di Stato n. 6853 del 2000, diventata definitiva, con la quale era stato rigettato l’appello del xxx, si era consolidato, in ragione dell’annullamento dell’atto negativo di controllo, la deliberazione dell’A.xxx La posizione giuridica dei candidati che avevano conseguito l’idoneità in precedenti concorsi non poteva qualificarsi come interesse legittimo, essendo stata la potestà discrezionale dell’amministrazione già esercitata, col risultato di conferire a determinati soggetti il diritto all’assunzione, senza che residuino altri spazi di discrezionalità. Spetta, dunque, al giudice ordinario l’individuazione del tipo di pronuncia da emettere per la tutela della pretesa degli originar ricorrenti, e cioè la costituzione del rapporto di lavoro, ovvero la dichiarazione del diritto all’assunzione.
Ritiene questa Corte che tale statuizione non vincola, quale giudicato interno, l’esito della pronuncia di accertamento in ordine al prospettato diritto all’assunzione e alla conseguente condanna rimessa dalle Sezioni Unite alla cognizione del giudice ordinario.
Ed infatti i fatti sopra richiamati, assunti come determinanti il presupposto della giurisdizione ordinaria, acclarati nell’ambito dell’esercizio dei poteri di indagine diretta di cui la Cassazione è titolare ai fini della decisione sulla questione processuale della giurisdizione (vedi Cass. S.U. 2 aprile 2007, n. 8095), non integrano il suddetto accertamento cognitorio.
Occorre ricordare in proposito che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto "petitum sostanziale", il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata.
L’applicazione, ai fini del riparto della giurisdizione, del suddetto criterio implica senza dubbio l’apprezzamento di elementi che attengono anche al merito (con la conseguenza che la Corte di cassazione è in materia anche giudice del fatto) ma non comporta che la statuizione sulla giurisdizione possa confondersi con la decisione sul merito nè, in particolare, che la decisione possa essere determinata "secundum eventum litis" (Cass., n. 17461 del 2006).
9. I motivi primo, secondo e terzo, devono essere trattati congiuntamente in quanto gli stessi sono strettamente connessi.
Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
Innanzitutto occorre chiarire che il rapporto di lavoro dei dipendenti addetti ad un servizio pubblico di trasporto ha natura pubblicistica solo qualora il servizio stesso sia espletato dal Comune non già mediante la costituzione di un’azienda speciale, autonoma e distinta rispetto alla propria organizzazione pubblicistica, come nel caso di specie (Aziende di pubblici servizi di trasporto, dotate di una propria autonomia organizzativa distinta da quella del Comune o di altro ente territoriale), ma mediante gestione diretta in economia, sicchè quei dipendenti vengano ad essere stabilmente inseriti nell’ambito di detta organizzazione (Cass., n. 14852 del 2006; Cass., S.U., n. 1240 del 2004, n. 12097 del 2003).
Pertanto il caso in esame esula dall’ambito del pubblico impiego, tenuto conto, altresì, che tra i poteri degli enti pubblici economici e, quindi, delle Aziende di trasporto, non rientra però la gestione dei rapporti di lavoro dei propri dipendenti che, presupponendo una struttura organizzativa già delineata, resta interamente disciplinata, sin dal momento della costituzione del rapporto stesso, dal diritto privato, ancorchè i dipendenti vengano assunti a seguito di concorso, rappresentando lo svolgimento delle prove selettive solo un sistema di reclutamento del personale, utilizzato anche dagli imprenditori privati.
Ed invero, le imprese gestite da enti pubblici economici esprimono la loro natura pubblica attraverso provvedimenti discrezionali, di portata necessariamente generale ed astratta, volti a predisporre la propria struttura, il proprio organico ed a disciplinarne per il futuro la funzionalità. In tali provvedimenti non sono, pertanto, annoverabili quelli concernenti il rapporto lavorativo dei dipendenti (anche nella fase di assunzione a seguito di prove selettive), che vengono emessi nell’esercizio di una attività privatistica propria di ciascun imprenditore privato (Cass., S.U., n. 14672 del 2003).
In secondo luogo, va ricordato che il bando di concorso indetto, nell’ambito dei rapporti di lavoro regolati dal diritto privato, per l’assunzione, la promozione o il riconoscimento di determinati trattamenti o benefici a favore del personale all’esito di determinate procedure selettive, costituisce un’offerta contrattuale al pubblico (ovvero ad una determinata cerchia di destinatari potenzialmente interessati), caratterizzata dal fatto che l’individuazione del soggetto o dei soggetti, tra quelli che con l’iscrizione ai concorso hanno manifestato la loro adesione e che devono ritenersi concretamente destinatari e beneficiari della proposta, avverrà per mezzo della stessa procedura concorsuale e secondo le regole per la medesima stabilite. Pertanto, il datore di lavoro è tenuto a comportarsi con correttezza e secondo buona fede, nell’attuazione del concorso, così come nell’adempimento di ogni obbligazione contrattuale, con individuazione della portata dei relativi obblighi correlata, in via principale, alle norme di legge sui contratti e sulle inerenti obbligazioni contrattuali e agli impegni assunti con l’indizione del concorso, con la conseguenza che, in caso di loro violazione, incorre in responsabilità contrattuale per inadempimento esponendosi al relativo risarcimento del danno in favore del lavoratore che abbia subito la lesione del suo diritto conseguente all’espletamento della procedura concorsuale (Cass., n. 9049 del 2006, n. 13273 del 2007, n. 5295 del 2007).
Rientra nella discrezionalità dell’Ente, stabilire nel bando di concorso, una sorta di "scorrimento nella graduatoria", in modo analogo a quanto previsto nel pubblico impiego, divenendo, dunque, il bando stesso fonte "normativa" della suddetta ultrattività che può operare nei soli limiti di validità previsti, in modo da poter conferire agli idonei i posti non coperti dopo la chiamata dei vincitori, ovvero "medio tempore" resisi disponibili, nei limiti della pianta organica (cfr., CdS., 5^, 25 giugno 2010 n. 4072).
Un termine triennale, come previsto nel bando, è attualmente stabilito, per il pubblico impiego contrattualizzato, al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 5-ter.
In precedenza il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 35, comma 5-ter, stabiliva l’ambito oggettivo di operatività della graduatoria, anche nel biennio successivo, con riguardo alle sole ipotesi della disponibilità dei posti al momento dell’approvazione della graduatoria stessa o, soltanto per i casi di rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori.
Ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 22, si è poi previsto che "la graduatoria concorsuale viene approvata dall’autorità competente. Tale graduatoria rimane efficace per un termine di diciotto mesi dalla data della pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito, e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili" .
Successivamente il D.P.R. n. 487 del 1994, art. 15, comma 7, ha stabilito che le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci per un termine di diciotto mesi dalla data della pubblicazione per eventuali coperture di posti per i quali il concorso è stato bandito e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili.
Analoga disposizione si rinviene nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 91, comma 4, per i concorsi degli enti locali.
Nella specie, come eccepito dal controricorrente xxx (pag. 10 controricorso), e non contestato nella memoria ex art. 387 c.p.c., dai ricorrenti, la Delib. n. 440 del 1985 prevedeva la perdurante validità della graduatoria triennale (35 mesi) per l’assunzione di sole ulteriori 18 unità per sopperire a vacanze di organico che si verificassero nel frattempo, mentre la Delib. n. 231 del 1991 riguardava 118 posizioni.
Pertanto, a prescindere dal dies a quo di decorrenza del termine triennale, come congruamente e correttamente affermato dalla Corte d’Appello, così integrata la motivazione ex art. 384 c.p.c., in ragione della divergenza da quanto statuito nel bando, veniva meno il presupposto per ritenere sussistente, in ragione della Delib. n. 231 del 1991, un’offerta al pubblico vincolante in continuità con il bando di concorso del 1985 e la relativa graduatoria, e il diritto all’assunzione non si concretizzava in mancanza di una comunicazione formale della proposta contrattuale e della positiva verifica dei requisiti per l’immissione in servizio e segnatamente delle prescritte visite mediche.
La procedura seguita da A. xxx con la delibera del 1991 costituisce una procedura anomala non assimilabile al concorso pubblico e non riconducibile allo schema del concorso/offerta al pubblico, sussistendo nella specie una statuizione interna, prenegoziale, di programma, che per radicare il diritto all’assunzione, in quanto fuori dallo schema concorso/offerta al pubblico della Delib. n. 440 del 1985, avrebbe dovuto tradursi in singole proposte contrattuali comunicate individualmente (non assumendo rilievo la prospettata pubblicazione, come dedotto dai ricorrenti) e nella verifica della sussistenza dei requisiti richiesti.
Nella specie, la Corte d’Appello, con congrua motivazione, ha rilevato che negli atti del processo, peraltro solo per alcuni appellanti, si erano rinvenuti dei semplici telegrammi si convocazione per generiche "comunicazioni in merito all’assunzione come segretario", datati gennaio 1991 (in epoca anteriore alla delibera del febbraio 1991). Tali circostanze di fatto non sono contraddette dai ricorrenti che prospettano assertivamente una diversa qualificazione giuridica da attribuire a detti telegrammi, affermando che dagli stessi si desumeva l’oggetto come assunzione e qualifica di inquadramento. Circa la data di invio anteriore alla Delib. n. 231 del 1991, i ricorrenti affermano che ciò non avrebbe rilievo in quanto quest’ultima delibera era riproduttiva della Delib.
n. 1268 del 1990.
Tale prospettazione non può trovare accoglimento in quanto, come ritenuto dal giudice di appello, la genericità dei telegrammi esclude che gli stessi costituiscano proposta contrattuale di assunzione e la Delib. n. 231 del 1991, costituisce, con le peculiarità sopra poste in evidenza, il primo atto, sia pure a rilevanza interna, della successione negoziale in questione, che non giungeva a conclusione.
10. Il ricorso deve essere rigettato.
11. Le spese di giudizio sono integralmente compensate tra le parti in ragione della complessità delle questioni trattate, come si evince, altresì, dalle diverse pronunce, sia del giudice amministrativo che del giudice ordinario, intervenute in merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *