Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-10-2013) 07-11-2013, n. 45135

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’8 ottobre 2012 la Corte d’appello di Salerno, in riforma della pronunzia di primo grado, condannava C.A. alla pena ritenuta di giustizia per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, commessi dalla medesima nella sua qualità, prima, di amministratore di fatto e, successivamente, di diritto dell’xxx s.r.l., dichiarata fallita il 29 dicembre 2003.
L’imputata era stata invero assolta dal giudice di prime cure, il quale aveva ritenuto che, a seguito della modifica ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006, dei requisiti soggettivi individuati nell’art. 1 della L.Fall., la fallita dovesse oramai ritenersi piccolo imprenditore ed in quanto tale sottratta alla procedura concorsuale.
Modifica che, secondo il Tribunale, incidendo su uno degli elementi costitutivi delle fattispecie di reato configurate, avrebbe determinato la sopravvenuta irrilevanza penale dei fatti in contestazione in applicazione dei principi sull’efficacia della legge abolitrice sanciti dall’art. 2 c.p.. Interpretazione che invece la Corte d’appello ha disatteso, facendo applicazione dei principi affermati in proposito dalle Sezioni Unite, per cui il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e segg. L.Fall., non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa ed ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicchè le modifiche apportate al R.D. n. 267 del 1942, art. 1, dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p., sui procedimenti penali in corso (Sez. Un., n. 19601 del 28 febbraio 2008, xxx, Rv. 239398).
Conseguentemente i giudici d’appello procedevano all’affermazione di penale responsabilità dell’imputata ed alla determinazione della pena.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi.
Con il primo la ricorrente eccepisce la nullità delle notifiche all’imputata del decreto di citazione per il giudizio d’appello, nonchè dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, in quanto entrambe avvenute a mani del difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, senza che risulti previamente esperito alcun tentativo di notificare i suddetti atti presso il domicilio della C., come previsto dal secondo comma dell’articolo citato.
Con il secondo motivo deduce invece la carenza assoluta di motivazione in punto di responsabilità dell’imputata, atteso che la Corte territoriale avrebbe concentrato la sua attenzione esclusivamente sulla confutazione dell’interpretazione in diritto seguita dal Tribunale, limitandosi poi a ritenere incontestata la responsabilità della C. in ordine alle condotte attribuitele.
Nè secondo la ricorrente l’apoditiccità di tale affermazione potrebbe trovare rimedio guardando alla motivazione della pronunzia di primo grado, atteso che con la stessa l’imputata era stata assolta sulla base del pregiudiziale profilo giuridico di cui si è detto.
Con il terzo ed ultimo motivo, infine, analoghe doglianze vengono sollevate con riguardo alla dosimetria della pena e alla mancata concessione della sospensione condizionale della medesima.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Dagli atti, il cui accesso è consentito in forza della natura processuale della questione sollevata, risulta che la notifica dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado venne effettuata a (OMISSIS) a mani proprie dell’imputata. Non risulta invece effettuata la notifica alla stessa dell’estratto contumaciale della medesima sentenza, il che peraltro non rileva, atteso che la C. non poteva coltivare alcun interesse all’impugnazione di una pronunzia di assoluzione e che la notifica in questione è invece funzionale proprio all’esercizio del diritto di impugnazione, ove attribuito.
Risulta ancora che la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata invano tentata a due indirizzi diversi da quello in precedenza menzionato – non si comprende in che modo selezionati – e poi effettuata a mani del difensore di ufficio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, nonostante non risulti che la C. abbia mai effettuato nè una dichiarazione, nè una elezione di domicilio, tantomeno ad uno degli indirizzi ove sono stati effettuati i tentativi di notifica e di cui si è detto, ovvero che siano state disposte ricerche dell’imputata ai fini della dichiarazione della sua eventuale irreperibilità. Da ultimo deve notarsi che la notifica dell’avviso per l’odierna udienza è stata fatta a mani della figlia convivente dell’imputata presso la sua residenza di (OMISSIS), che dunque non è mai mutata.
Risulta dunque evidente che vi è un difetto radicale nella citazione della C. per il giudizio d’appello, registrandosi non mere irregolarità nella procedura di notifica del relativo decreto, bensì la radicale omissione di tale notifica, la quale comporta la nullità assoluta del suddetto giudizio e della sentenza che lo ha concluso ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p..
2. Nonostante il carattere assorbente dell’accoglimento del primo motivo, appare opportuno evidenziare come anche quelli successivi siano fondati. Infatti la Corte territoriale ha omesso di motivare sulle ragioni che fondavano la penale responsabilità dell’imputata, sulle quali l’obbligo di argomentare era invece particolarmente elevato, atteso che i giudici d’appello avevano riformato integralmente la decisione di primo grado. Decisione che peraltro nemmeno si era soffermata sul punto, avendo il Tribunale assolto la C. sulla base del pregiudiziale – ancorchè erroneo – rilievo dell’inconfigurabilità dei reati di bancarotta contestati a seguito dell’intervenuta modifica normativa dei requisiti soggettivi della declaratoria di fallimento. In proposito va infatti ribadito che, in caso di sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione e di valutare le ulteriori argomentazioni non sviluppate in tale decisione, ma comunque dedotte dall’imputato dopo la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell’imputato e da questi non dedotte per carenza di interesse, nonchè sulle richieste subordinate avanzate dall’imputato stesso in sede di discussione nel giudizio di primo grado. (Sez. 6^, n. 22120 del 29 aprile 2009, xxx e altri, Rv. 243946).
Ed analogamente deve ricordarsi come, nell’ipotesi in cui il giudice d’appello riformi la sentenza assolutoria di primo grado, deve motivare, pur in assenza di specifiche deduzioni di parte, circa l’eventuale, mancata, concessione della sospensione condizionale della pena o di altri analoghi benefici, nonchè sulle scelte operate in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio (cfr.
Sez. 6^, n. 14758 del 27 marzo 2013, V., Rv. 254690).
3. In conclusione la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli, fermo restando che il giudice del rinvio dovrà ritenersi libero di ribadire, se del caso, le medesime conclusioni in punto di responsabilità dell’imputata, purchè provveda a sostenerle con idonea motivazione nei punti indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2013
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