Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-10-2013) 07-11-2013, n. 45134

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 maggio 2012 la Corte d’appello di Milano confermava la condanna alla pena di giustizia di S.G. per i reati di lesioni gravi, minacce e ingiuria, commessi ai danni di R.G. all’esito di una lite insorta tra i due nei locali dell’istituto universitario frequentato da entrambi.
2. Avverso la sentenza ricorre personalmente l’imputato articolando tre motivi.
2.1 Con il primo deduce la nullità della sentenza per l’assenza del dispositivo, rilevando come quello redatto in realtà riguardi tutt’altra pronunzia emessa all’esito del procedimento d’appello nei confronti di tale F.E..
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla qualificazione delle lesioni gravi come dolose, versandosi nella fattispecie di aberratio delicti di cui all’art. 83 c.p., giacchè l’imputato nel colpire la persona offesa avrebbe voluto cagionargli solo una lesione lieve – come evincibile dallo stesso contesto in cui sarebbe maturata l’azione delittuosa – la cui entità si sarebbe aggravata "probabilmente" solo a seguito della caduta del R..
Conseguentemente l’imputato doveva essere ritenuto responsabile solo a titolo di colpa dell’evento più grave non voluto.
2.3 Con il terzo motivo, infine, viene censurato il mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, nonchè l’esito del giudizio di comparazione tra la contestata aggravante di cui all’art. 583 c.p. e le concesse attenuanti generiche e la dosimetria del trattamento sanzionatorio, affermandosi che proprio in ragione dello stato di provocazione le attenuanti dovevano essere giudicate prevalenti e non solo equivalenti alla suddetta aggravante e la pena contenuta nei minimi edittali, anche tenuto conto della giovane età dell’imputato e della scarsa entità dei precedenti da cui lo stesso risulta gravato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo fondatamente il ricorrente lamenta l’eccentricità del dispositivo della sentenza impugnata, che all’evidenza è quello relativo ad altra sentenza. Peraltro in atti – cui il collegio ha accesso in virtù della natura processuale dell’eccezione – è presente il dispositivo letto in udienza, il quale riporta correttamente l’esito della decisione assunta nei confronti del S. ed a cui si riferisce la motivazione del provvedimento impugnato.
Conseguentemente quello che all’evidenza è un mero errore materiale in cui è caduta la Corte territoriale non può determinare le conseguenze invocate con il ricorso.
Deve infatti essere ribadito che la difformità tra dispositivo letto in udienza e quello presente in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo, ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell’errore materiale (Sez. 3^, n. 125/09 del 19 novembre 2008, xxx, Rv. 242258; Sez. 5^, n. 17696 del 18 febbraio 2009, xxx, Rv. 243615; Sez. 5^, n. 13094 del 9 marzo 2011, P.G. in proc. xxx, Rv. 249849). Il giudice di legittimità, una volta investito dal ricorso per cassazione, può quindi procedere ad emendare l’errore suindicato ai sensi dell’art. 130 c.p.p., proprio in quanto non determinante l’annullamento della sentenza (ex multis Sez. 6^, n. 23983 del 11 marzo 2008, xxx, Rv. 241240).
Conseguentemente deve disporsi la sostituzione del dispositivo della sentenza – documento con quello letto dalla Corte territoriale all’udienza del 3 maggio 2012.
2. Il secondo motivo di ricorso è invece inammissibile in quanto denuncia una violazione di legge non già dedotta con i motivi d’appello.
Non di meno le doglianze sollevate sono manifestamente infondate. In proposito deve rammentarsi come, per consolidata giurisprudenza, l’evento non voluto sia valutabile ai sensi dell’art. 83 c.p. e sia, quindi, addebitabile all’agente a solo titolo di colpa, soltanto quando esso sia materialmente ed essenzialmente diverso da quello voluto (Sez. 1^, n. 21955 del 2 febbraio 2010, Agosta e altri, Rv.
247401), mentre qualora, come nel caso di specie, l’evento che si asserisce non voluto integra una circostanza aggravante del reato, le regole di imputazione a cui deve guardarsi sono quelle generali dettate nell’art. 59 c.p., per cui l’agente risponde della stessa sulla base della sua mera prevedibilità.
Una volta accertato, come ha fatto la Corte territoriale, che l’imputato ha volontariamente colpito al volto la vittima e che dunque il reato di lesioni risulta effettivamente supportato dal necessario dolo, è di tutta evidenza come la specifica entità della lesione causata (perforazione del timpano) non può ritenersi evento imprevedibile al momento della consumazione della condotta e dunque correttamente il fatto è stato qualificato ai sensi dell’art. 583 c.p. e ciò a prescindere dal fatto che proprio le modalità di consumazione del reato consentono di rilevare, contrariamente a quanto sostenuto (peraltro apoditticamente) nel ricorso, anche l’intenzione del S. di infliggere danni rilevanti alla persona offesa.
3. Inammissibile risulta infine anche il terzo motivo.
3.1 Quanto all’attenuante della provocazione, non risulta innanzi tutto che la stessa fosse stata invocata con i motivi d’appello. Ma anche qualora volesse ritenersi irrilevante la circostanza (in virtù del fatto che con i medesimi motivi era stata invece prospettata, seppure in riferimento al solo reato di ingiuria, la configurabilità dell’esimente di cui all’art. 599 c.p.), il motivo si rivela generico sul punto, in quanto omette di confrontarsi compiutamente con la invece specifica motivazione resa in proposito dai giudici d’appello, limitandosi invece ad affermare, in maniera ancora una volta apodittica, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’attenuante.
3.2 Con riguardo invece alle critiche mosse alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale in tema di bilanciamento tra le contestate aggravanti e le riconosciute attenuanti generiche, nonchè con riguardo alla commisurazione della pena, deve rilevarsi che sostanzialmente vengono dedotte questioni attinenti al merito della decisione assunta, la quale risulta sorretta da motivazione congrua e non manifestamente illogica, idonea ad evidenziare i criteri seguiti nell’esercizio dei poteri discrezionali riservati in proposito al giudice.
In particolare il riferimento all’intrinseca gravità del fatto, dedotta anche dall’intensità del dolo, nonchè ai precedenti penali dell’imputato costituiscono in tal senso elementi più che idonei a giustificare le valutazioni compiute.
P.Q.M.
Dispone ai sensi dell’art. 130 c.p.p., che il dispositivo della sentenza-documento sia sostituito da quello letto all’udienza del 3 maggio 2012.
Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese della parte civile che liquida in complessive Euro 1.700, oltre ad accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2013

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