Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2013) 06-11-2013, n. 44674

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Svolgimento del processo
Con sentenza 10.10.12 la Corte d’Appello dell’Aquila confermava le statuizioni penali emesse il 27.2.09 a carico di D.D. M. (legale rappresentante della società finanziaria "Finda") dal Tribunale di Teramo, che lo aveva condannato per i delitti p. e p. ex art. 640 c.p., art. 486 c.p. e art. 61 c.p., n. 2 commessi ai danni della parte civile R.A., mentre in parziale riforma di quelle civili rimetteva le parti innanzi al giudice civile per la definitiva liquidazione del risarcimento del danno, ferma restando la provvisionale già disposta in prime cure a titolo di risarcimento del danno morale.
D.D.M. ricorreva personalmente contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a) nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. perchè in primo grado all’udienza del 12.11.08 il Tribunale, pur accogliendo un’istanza di rinvio del difensore di fiducia per legittimo impedimento dovuto a ragioni di salute, aveva omesso di disporre che la data di rinvio fosse comunicata al difensore medesimo, che non ne aveva avuto altrimenti notizia anche perchè il difensore in quella occasione nominato ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4 non gli aveva comunicato alcunchè circa il rinvio;
b) ulteriore motivo di nullità della sentenza andava ravvisato nel fatto che all’udienza del 27.2.09 era stato nominato al D., sempre ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, altro difensore nella persona dell’avv. xxx, che però versava in una situazione di incompatibilità avendo espletato nello stesso processo a carico del ricorrente le funzioni di v.p.o. all’udienza del 12.11.08 e non potendo costei, per altro, svolgere le funzioni di avvocato presso lo stesso ufficio giudiziario (Tribunale di Teramo) ove espletava quelle di v.p.o.;
c) vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata aveva omesso di argomentare in ordine al motivo di gravame con cui il D. aveva lamentato l’inattendibilità del teste R., che aveva mentito circa il fatto di essere cliente F. sin dal 1999; nè era vero che il R. avesse concordato telefonicamente una richiesta di finanziamento pari ad Euro 11.000,00 da restituire in 120 rate da Euro 148,00 e che fosse all’oscuro dell’esistenza di costi aggiuntivi previsti dal finanziamento; si trattava, ad ogni modo, di una questione meramente civilistica e di un contratto che il R. aveva stipulato mediante regolare sottoscrizione; nè poteva tenersi conto della teste D.F., che aveva riferito di aver chiesto telefonicamente alla F., quasi come una sorta di "agente provocatore", un finanziamento di cui – però – non ricordava l’entità, le spese di gestione della pratica nè altri rilevanti particolari; da ultimo, oltre a non essere ravvisabili gli artifici e i raggiri di cui al delitto p. e p. ex art. 640 c.p., non sussistevano nemmeno gli estremi di quello di cui all’art. 486 c.p. perchè, essendo la F. un semplice mediatore creditizio, gli effetti giuridici richiesti da tale ultima norma si erano verificati solo con la sottoscrizione del documento di sintesi della società finanziaria Futuro (con la quale si era effettivamente concluso il contratto di finanziamento) e non con la sottoscrizione dei moduli asseritamente firmati in bianco ed inviati alla F., sicchè tale sottoscrizione di fogli in bianco, ove mai avesse avuto luogo, non avrebbe prodotto per il R. alcun vincolo giuridico od economico se non quello di incaricare il mediatore creditizio, ossia la F., di reperire una società finanziaria disponibile a concedere il finanziamento; d) omessa motivazione sul capo relativo alla conferma della provvisionale di Euro 3.000,00 concessa in prime cure a titolo di danno morale.
Motivi della decisione
1- Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.
Il motivo che precede sub a) va disatteso perchè, per consolidato insegnamento di questa Corte Suprema (cfr. Cass. S.U. n. 8285 del 28.2.06, dep. 9.3.06, e successive conformi), correttamente applicato dalla sentenza impugnata, il difensore che – come nel caso di specie – abbia ottenuto la sospensione o il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nell’ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione (ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4), il quale esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito, sostituto cui non è dovuta ulteriore comunicazione, essendo già presente in aula.
Nè può risolversi in un’ipotesi di nullità la mancata od insufficiente comunicazione del sostituto al sostituito, questione che riguarda soltanto i rapporti professionali tra costoro e non può certo addebitarsi all’ufficio giudiziario.
Nè, ancora, nel caso di specie ricorre la diversa ipotesi in cui sia stato lo stesso giudice ad ordinare alla cancelleria di comunicare la nuova data d’udienza al difensore impedito (per altro, mentre in siffatta evenienza Cass. n. 28523/10 e Cass. n. 25173/07 affermano l’esistenza di una nullità a regime intermedio per mancato avviso della nuova data dell’udienza da parte della cancelleria, altri precedenti di questa S.C. escludono qualsivoglia ipotesi di nullità:
cfr. Cass. n. 20863/11 e Cass. n. 36643/08).
2 – Il motivo che precede sub b) va respinto.
Compulsando gli atti al solo fine della verifica del fatto processuale, si rileva che nel verbale d’udienza del 27.2.09 non risulta riportato il nominativo del sostituto, nominato ex art. 97 c.p.p., comma 4, del difensore di fiducia del D. (avv. Belli di Milano).
Ma ad ogni modo, pur a voler ipotizzare che effettivamente in quella occasione sia stata nominata in via di sostituzione ex art. 97 c.p.p., comma 4 l’avv. xxx, resta il rilievo che l’eventuale mancato rispetto delle incompatibilità previste dall’art. 34 c.p.p. non genera nullità alcuna, così come eventuali incompatibilità tra l’ufficio di v.p.o. e quello di avvocato presso uno stesso Tribunale danno luogo soltanto a responsabilità disciplinari e non certo a nullità processuali.
Nè può farsi questione, nel caso in esame, di mancata effettività del diritto di difesa (per altro, come sopra evidenziato, era onere del difensore di fiducia del D. comparire di persona all’udienza del 27.2.09, per la quale non aveva comunicato alcun legittimo impedimento, al fine di superare ogni necessità di nomina d’un sostituto ex art. 97 c.p.p., comma 4), anche perchè – come segnalato in sede di discussione dal PG – il ricorso non chiarisce neppure quali attività difensive sarebbero state in concreto omesse o malamente esercitate.
3- Il motivo che precede sub c) si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno rilevato che il mutamento delle condizioni finanziarie di riferimento a cagione del lungo tempo trascorso fra il primo prestito contratto dal R. con la "Finda" e i fatti per cui oggi è processo rende improponibile la correlazione (suggerita dal ricorrente) fra le due operazioni di finanziamento, specie per quanto concerne la pretesa omogeneità fra i costi e le caratteristiche operative dei contratti.
Ancora con motivazione immune da vizi logico-giuridici la Corte territoriale ha dato credito alla deposizione della persona offesa (nella parte in cui ha riferito di aver concordato telefonicamente una richiesta di finanziamento pari ad Euro 11.000,00 da restituire in 120 rate da Euro 148,00 e di essere all’oscuro dell’esistenza di costi aggiuntivi previsti dal finanziamento), in quanto conforme al contenuto del volantino pubblicitario e riscontrata anche dalla deposizione della teste D.F..
Le obiezioni rivolte in ricorso contro la valutazione delle risultanze testimoniali scivolano sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione in punto di fatto incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema, cui spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2, nonchè la verifica sulla correttezza logico- giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario come grave, preciso e concordante, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti (cfr., ad es., Cass. Sez. 6 n. 20474 del 15.11.02, dep. 8.5.03).
A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.
Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari di cui alle regole di valutazione della prova sancite dall’art. 192 c.p.p., comma 2.
Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata l’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità (cfr. Cass. Sez. 6, n. 15897 del 15 aprile 2009;
Cass. Sez. 6 n. 16532 del 13.2.07, dep. 24.4.07, rv. 237145).
Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di inesistenti massime di esperienza nè violazioni di regole inferenziali, ma si limita a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità, che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità argomentativa la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza (anche a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr. Cass. Sez. 1 n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. 1 n. 1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98;
Cass. Sez. 1 n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass. Sez. 1 n. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. 1 n. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96; Cass. Sez. 1 n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre).
E’, poi, appena il caso di ricordare che gli artifici e i raggiri necessari affinchè si ravvisi il delitto p. e p. ex art. 640 c.p. non necessariamente devono dare luogo ad atti di disposizione patrimoniale immediatamente produttivi di vincoli giuridici od economici, essendo sufficiente che essi si inseriscano nella serie causale al cui termine, poi, tali vincoli risultino generati.
Da ultimo, l’abuso di foglio firmato in bianco integra il delitto p. e p. ex art. 486 c.p. non appena il soggetto attivo ne faccia uso o consenta ad altri di farlo, anche qui a prescindere dai relativi effetti giuridici e/o economici che possano conseguirne.
4- Il motivo che precede sub d) è estraneo all’area di quelli deducibili ex art. 606 c.p.p., noto essendo – per costante insegnamento di questa S.C. – che non possono essere oggetto di ricorso per cassazione le statuizioni relative alla provvisionale in quanto aventi natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, statuizioni non suscettibili di passare in giudicato e destinate ad essere assorbite o travolte dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 5 n. 32899 del 25.5.11, dep. 26.8.11; Cass. Sez. 6 n. 48977 dell’11.11.09, dep. 30.12.09; Cass. Sez. 5 n. 5001 del 17.1.07, dep. 7.2.07).
5- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2013

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