Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-09-2012, n. 15159

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – B.A., in data (OMISSIS), contrasse matrimonio con F.E., dichiarando in pari data all’Ufficiale dello stato civile di riconoscere, come proprio figlio naturale, F.E., nato il (OMISSIS), riconosciuto dalla sola madre.

2. – Con citazione del 23 dicembre 1996, B.C. e S. – figlie legittime di A. e della sua prima moglie, defunta – convennero dinanzi al Tribunale di Forlì il minore F.E. – rappresentato dal curatore speciale Avv. P.G., F.E. ed B.A., chiedendo che il Tribunale adito dichiarasse che il riconoscimento di F.E. operato da B.A. non era veridico, con tutte le conseguenze di legge.

Si costituì, nella predetta qualità, l’Avv. P., rimettendosi alla giustizia quanto all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità e proponendo – nei confronti del B., in caso di accoglimento dell’impugnazione del riconoscimento, domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni esistenziali, biologici e morali patiti dal minore, sul rilievo che il B., al momento del riconoscimento, era pienamente consapevole della falsità della propria dichiarazione.

Costituendosi, il B. si rimise a giustizia quanto alla domanda delle figlie e chiese, invece, la reiezione della domanda di risarcimento dei danni proposta dal curatore del minore.

Con distinto atto di citazione del 24 maggio 1999, B. A. convenne dinanzi allo stesso Tribunale di Forlì F. E., come sopra rappresentato, chiedendo che il Tribunale dichiarasse che il convenuto non era suo figlio naturale.

Il Tribunale adito – interrogate liberamente le attrici, riunite le due cause, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio di natura genetica, respinte tutte le istanze istruttorie formulate dalle parti -, con la sentenza n. 208/02 del 5 marzo 2002, dichiarò che F.E. non è figlio naturale di B.A. e respinse la domanda di risarcimento dei danni proposta dal curatore speciale del minore.

3. – Avverso tale sentenza, nella sola parte in cui aveva respinto la domanda risarcitoria, propose appello dinanzi alla Corte di Bologna il predetto curatore speciale del minore, riproponendo tale domanda, al riguardo producendo documenti ed articolando istanza di interrogatorio formale di B.A.. Quest’ultimo resistette all’impugnazione.

La Corte adita – in contraddittorio anche con F.E., la quale aveva proposto appello incidentale, chiedendo si dichiarasse che il minore aveva diritto a conservare il cognome B. – con la sentenza n. 1140/08 del 10 luglio 2008, ha rigettato l’appello principale del curatore speciale del minore, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale della F. ed ha condannato il curatore speciale e la F., in solido tra loro, al rimborso delle spese anticipate dal B..

In particolare, la Corte, quanto alla prova della circostanza che il B., al momento del riconoscimento, era pienamente consapevole della falsità della propria dichiarazione, circostanza questa alla base della domanda di risarcimento del danno: a) ha innanzitutto affermato che i tre documenti sui quali il curatore speciale del minore fonda la domanda risarcitoria sono "nuovi" ed inoltre "non indispensabili" sia per la loro natura, sià perchè volti a dimostrare una circostanza che aveva formato oggetto di altre istanze istruttorie e comunque suscettibile di essere dimostrata con qualsiasi mezzo istruttorio; b) ha escluso, in ogni caso, che detti documenti siano idonei a provare la piena consapevolezza del B. circa la falsità della propria dichiarazione, osservando al riguardo che: i ricorsi del B. del 6 novembre 1996 e del 27 gennaio 1997, depositati per la separazione dalla moglie F.E., sono largamente successivi alla nascita del figlio riconosciuto E., per cui non può escludersi che detta consapevolezza sia stata acquisita successivamente al riconoscimento, in prossimità della separazione; inoltre, le medesime considerazioni portano ad escludere valenza probatoria al rapporto della Questura di Siena del 10 agosto 1996, dove si da atto che alla lite fra i coniugi era presente il "figlio della F., tale B.E., avuto da altra relazione"; c) ha, infine, nuovamente valutato alcuni elementi probatori oggetto di censura, rilevando che: 1) l’affermazione delle figlie del B., contenuta nell’atto introduttivo del presente giudizio – secondo cui il loro padre avrebbe cominciato ad avere rapporti intimi con la F. soltanto dopo la n nascita di E. – non è probante, perchè non proviene dall’interessato e non ha neppure valenza indiziaria, perchè non contiene alcun elemento a fondamento di tale affermazione; 2) la dichiarazione resa da B.S. nel corso del suo interrogatorio libero – secondo la quale la convivenza del padre con la F. era iniziata solo alcuni mesi dopo la morte della madre (avvenuta il (OMISSIS)), quindi in epoca largamente successiva al concepimento di F.E. – non esclude la possibilità di rapporti sessuali precedenti, posto che è circostanza incontestata la conoscenza e la frequentazione del B. e della F. in tempi anteriori alla nascita di E.; 3) la rinuncia del B. alla eredità della prima moglie non è indizio univoco nel senso della consapevolezza del B. di non essere padre naturale di E., in quanto può avere altre plausibili giustificazioni, quale la volontà di riservare l’intero patrimonio della moglie defunta alle figlie avute da questa.

4. – Avverso tale sentenza F.E., in persona del suo curatore speciale Avv. P.G., ha proposto ricorso per cassazione, deducendo dieci motivi di censura.

Resiste, con controricorso, B.A..

C. e B.S. ed F.E., benchè ritualmente intimate, non si sono costituite nè hanno svolto attività difensiva.

5. – B.E. – divenuto medio tempore maggiorenne, in data 7 dicembre 2010 -, con memoria ex art. 378 cod. proc. civ., si è contestualmente costituito, nominando un nuovo difensore e facendo propri tutti i motivi del ricorso.

Motivi della decisione

1. – In via preliminare, deve dichiararsi l’inammissibilità della costituzione di B.E. (divenuto maggiorenne nel corso nel presente grado del giudizio) – effettuata con la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., per nullità della procura speciale ad litem apposta a margine della stessa memoria.

Alla fattispecie, infatti – caratterizzata dalla circostanza che il presente giudizio è stato instaurato prima dell’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, cioè prima del 4 luglio 2009 -, si applica, in forza della citata L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, l’art. 83 cod. proc. civ., comma 3, nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 9, lett. a), con la conseguenza che la procura speciale conferita dal B. a margine di detta memoria – quale atto non contemplato dalla disposizione codicistica applicabile ratione temporis – non è stata validamente conferita, mentre avrebbe potuto esserlo se conferita ai sensi del comma 2 del citato art. 83, con atto pubblico ovvero con scrittura privata autenticata (cfr. nello stesso senso, ex plurimis, le sentenze nn. 18428 e 8709 del 2009).

2. – Con il primo (con cui deduce: "Error in procedendo in relazione all’art. 345 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4. Nullità della sentenza") e con il secondo motivo (con cui deduce: "Motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5") – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che la Corte bolognese ha errato nell’ affermare la "novità" dei documenti rappresentati dall’atto introduttivo del giudizio delle sorelle B. e dal verbale delle dichiarazioni dalle stesse rese in sede di interrogatorio libero.

Con il terzo motivo (con cui deduce: "Indispensabilità della prova in appello: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione al concetto di indispensabilità"), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che la Corte bolognese – in riferimento al rapporto della Questura di Siena del 18 agosto 1996 – ha travisato i principi enunciati da questa Corte in tema di mezzi di prova o di documenti "indispensabili" ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3, ed ha erroneamente ritenuto non indispensabile ai fini del fatto costitutivo della domanda risarcitoria detto documento;

Con il quarto (con cui deduce: "Motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5"), con il quinto (con cui deduce: "Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione al criterio letterale degli atti indicati nel motivo che precede"), con il sesto (con cui deduce: "Motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie del primo grado – art. 360 c.p.c., n. 5"), con il settimo (con cui deduce: "Motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5, ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie del primo grado – art. 360 c.p.c., n. 5") e con l’ottavo motivo (con cui deduce: "Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1366 c.c., per mancata interpretazione dell’atto di citazione del 5.12.96 delle sorelle B. secondo buona fede") – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di contraddittorietà e di omessa motivazione, sostenendo che la Corte bolognese ha interpretato contra litteram e contro i principi di ragionevolezza e di buona fede sia la citazione delle sorelle B. e le dichiarazioni rese dalle stesse in sede di risposte all’interrogatorio libero, sia la citazione del B. e le ammissioni dello stesso ivi contenute circa la consapevolezza di aver riconosciuto un figlio certamente da lui non generato, sia il rapporto della Questura di Siena con la quale pubblici ufficiali riferiscono la circostanza della nascita del minore E. da diversa relazione della madre.

Con il nono motivo (con cui deduce: "Motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5"), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che la Corte bolognese ha illegittimamente omesso di ammettere la prova orale (per interrogatorio formale e per testi) dallo stesso articolata in sede di appello, e ciò nonostante che tale prova fosse decisiva al fine di dimostrare la circostanza che il B. era pienamente consapevole della falsità della propria dichiarazione di riconoscimento.

Con il decimo motivo (con cui deduce: "Condanna del curatore del minore al pagamento delle spese processuali di 2^ grado"), il ricorrente critica la sentenza impugnata, nella parte in cui ha condannato anche il curatore speciale del minore al pagamento delle spese processuali, nonostante che l’ufficio svolto dallo stesso curatore fosse connotato dal dovere giuridico e morale di cura degli interessi del minore medesimo.

3. – Il ricorso è complessivamente privo di fondamento.

3.1. – I primi tre motivi sono inammissibili, per carenza di interesse a proporli.

Con essi, il ricorrente denuncia errores in procedendo e vizi della relativa motivazione, per avere la Corte bolognese ritenuto inammissibili i tre documenti prodotti in appello dal curatore speciale del B. perchè "nuovi" e "non indispensabili" ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3.

Al riguardo, deve osservarsi che i Giudici a quibus hanno in proposito adottato una duplice ratio decidendi: infatti, essi: a) hanno innanzitutto affermato che i predetti tre documenti (sui quali il curatore speciale del minore fonda la domanda risarcitoria) sono "nuovi" ed inoltre "non indispensabili" sia per la loro natura, sia perchè volti a dimostrare una circostanza che aveva formato oggetto di altre istanze istruttorie e comunque suscettibile di essere dimostrata con qualsiasi mezzo istruttorio, concludendo sul punto che "Il rilievo di inammissibilità è assorbente"; b) immediatamente dopo, hanno affermato che "Non può peraltro nascondersi che si tratta di documenti privi di reale contenuto probante in relazione al fatto da dimostrare" (cioè, la circostanza che il B., al momento del riconoscimento, era pienamente consapevole della falsità della propria dichiarazione), facendo seguire esame e valutazione specifici dei tre documenti prodotti in appello.

Orbene – posto che il ricorrente ha censurato ambedue le rationes deciderteli (processuale, con i primi tre motivi, e di merito, con i motivi dal quarto all’ottavo), onde l’ammissibilità del ricorso -, è tuttavia evidente che la seconda ratio decidendi assorbe totalmente il preliminare rilievo della Corte d’Appello di inammissibilità dei documenti per ragioni d’ordine processuale (violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3), con la conseguenza che le censure ad essa rivolte si risolvono, alla luce della seconda ratio decidendi, in critiche "astratte" e, quindi, inidonee a fondare un interesse attuale e concreto del ricorrente alla corrispondente decisione di questa Corte.

3.2. – L’esame dei motivi dal quarto all’ottavo fa immediatamente rilevare che i quesiti di diritto formulati a conclusione del quinto e dell’ottavo motivo sono assolutamente non conformi a quanto richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile (ancora) alla fattispecie, ratione temporis (L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

Detti quesiti, infatti, sono formulati in modo del tutto generico, perchè in essi non v’è alcun riferimento alle specifiche espressioni contenute negli atti processuali richiamati, espressioni che – secondo il ricorrente sarebbero state interpretate contra litteram e contra bonam fidem dai Giudici dell’appello. Di qui, l’inammissibilità dei corrispondenti motivi.

3.2. – I motivi quarto, sesto e settimo, complessivamente considerati, sono invece palesemente infondati.

Le critiche con essi mosse dal ricorrente si risolvono, a ben vedere, nella prospettazione di una valutazione diversa – meramente contrapposta a quella effettuata dai Giudici a quibus, i quali hanno ritenuto i predetti documenti non conducenti univocamente alla prova della circostanza da dimostrare (cioè, che il B., al momento del riconoscimento, era pienamente consapevole della falsità della propria dichiarazione) – dei più volte menzionati documenti:

infatti, il ricorrente si limita in sostanza ad affermare che sia la citazione delle sorelle B. e le dichiarazioni dalle stesse rese in sede di risposte all’interrogatorio libero, sia la citazione del B. e le ammissioni dello stesso ivi contenute circa la consapevolezza di aver riconosciuto un figlio certamente da lui non generato, sia il rapporto della Questura di Siena, con il quale pubblici ufficiali riferiscono il fatto della nascita del minore E. da diversa relazione della madre, non possono che condurre a ritenere dimostrata detta circostanza. Ma, dal momento che nella motivazione della Corte bolognese non sono ravvisabili i denunciati vizi logici e/o giuridici, con le censure in esame il ricorrente finisce con il chiedere un riesame del merito della causa, notoriamente non consentito in sede di legittimità.

3.3. – Il nono motivo è inammissibile, perchè il "momento di sintesi" conclusivo non è conforme a quanto richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., essendo esso formulato in modo del tutto generico, senza alcun riferimento specifico nè al fatto controverso nè al carattere decisivo delle circostanze dedotte con i capitoli di prova orale non ammessi dalla Corte bolognese, senza contare che le stesse critiche formulate con il motivo in esame omettono parimenti di evidenziare il carattere decisivo delle stesse circostanze.

3.5. – Il decimo motivo è infondato.

Con esso il ricorrente pretende in definitiva una sorta di esecuzione del curatore speciale del minore – in quanto tale ed in quanto autorizzato alla proposizione dell’impugnazione dal giudice tutelare – dal principio generale della soccombenza che regola la distribuzione del carico delle spese processuali.

Questa Corte, con riferimento all’interpretazione dell’art. 94 cod. proc. civ., ha più volte affermato che tale disposizione configura una responsabilità processuale personale dei rappresentanti e dei curatori per gravi motivi e prevede la loro condanna, eventualmente in solido con la parte rappresentata, nei confronti dell’avversario vittorioso, ciò trovando la sua ratio nella considerazione che i predetti, pur non assumendo nel processo la veste di parte, esplicano tuttavia, anche se in nome altrui, un’attività processuale in maniera autonoma, onde anche per essi resta valido ed operante il principio generale della soccombenza (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 20878 del 2010), con la conseguenza che, anche al di fuori delle ipotesi di cui al menzionato art. 94, la necessaria autorizzazione del giudice al curatore speciale – da dare di volta in volta per ciascun grado del giudizio -, essendo caratterizzata non dalla specificazione di tutte le svariate e possibili scelte processuali ma dalla indicazione del contenuto essenziale e dell’obiettivo principale del promovendo giudizio, non priva il curatore di autonomia nell’attività processuale e non lo esonera, pertanto, dalla responsabilità per le spese processuali in relazione all’esito complessivo della lite.

4. – Le spese del presente grado del giudizio seguono del pari la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.220,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alla spese generali ed agli accessori di legge.

Nel caso di diffusione omette le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012
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