Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 12-09-2012, n. 15333

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con il decreto indicato in epigrafe, in parziale accoglimento della domanda di equa riparazione avanzata da F.A. in relazione alla durata non ragionevole di un procedimento instaurato davanti al T.A.R. di Napoli in data 16 settembre 1997 e ancora pendente, ha ritenuto che il diritto alla riparazione si prescriva entro il termine decennale.

Pertanto il diritto azionato è stato riconosciuto, accogliendosi l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione, entro il decennio anteriore alla proposizione della domanda, liquidandosi – sulla base di una durata non ragionevole decorrente dal luglio 2002 al marzo 2009 – la somma di Euro 4.787,50 oltre agli interessi legali. Per la cassazione di tale decisione la F. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

L’amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 Cedu, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria, sostenendosi l’esiguità della somma, sulla base della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, a fronte di una durata complessiva del giudizio presupposto pari a circa 12 anni.

Con la seconda censura si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3 e 4 e dell’art. 6 Cedu, nonchè vizio motivazionale, rappresentandosi l’esiguità della somma liquidata anche alla luce dell’erroneità dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, in relazione alla quale si sostiene l’incompatibilità con la decadenza prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Con il terzo motivo le medesime violazioni vengono prospettate in relazione all’omessa considerazione, in contrasto con i principi affermati dalla Cedu, dell’intera durata del procedimento presupposto.

Il ricorso è fondato, nei seguenti termini.

Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate in considerazione della loro intima connessione, attengono al tema della prescrizione in relazione alla domanda di riparazione, nonchè ai criteri di determinazione del periodo di durata non ragionevole e di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale.

Quanto al primo profilo, non esistono ragioni per discostarsi dal prevalente orientamento di questa Corte, secondo cui "in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine della prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto nel medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra prescrizione e decadenza se relative al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione delle iniziative processuali, che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo" (Cass. 20 dicembre 2009 n. 27719, Cass. 11 gennaio 2011, n. 478; Cass., 4 ottobre 2010, n. 20564). Tale orientamento, del resto, è stato di recente confermato dalle Sezioni unite di questa Corte ().

Quanto alla determinazione del periodo di durata ragionevole, deve condividersi il rilievo secondo cui il periodo da valutarsi viene, in maniera del tutto ingiustificata, individuato in circa sette anni, mentre la questione relativa al criterio di calcolo dell’indennizzo, non essendo tali parametri suscettibile di cosa giudicata (cfr.

Cass., 15 novembre 2010, n. 23055, in motivazione), deve intendersi assorbita.

In considerazione dei motivi accolti il decreto deve essere cassato.

Il processo presupposto ha avuto una durata complessiva di circa dodici anni.

La Corte EDU, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le Cass., n. 14753/2010 e Cass. n. 1359 del 2011).

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, Cass. nn. 9938 e 18780 del 2010; n. 10500 del 2011).

Appare pertanto equo, per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale in esame, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo: esso va quindi determinato, in relazione alla durata come sopra determinata, in Euro 6.000,00, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo.

Le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 6.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012
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