Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 12-09-2012, n. 15330

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con il decreto indicato in epigrafe, in parziale accoglimento della domanda di equa riparazione avanzata da A.U. in relazione alla durata non ragionevole di un procedimento instaurato davanti al T.A.R. della Campania in data 12 febbraio 1997 e ancora pendente, ha ritenuto che, essendo stata presentata istanza di prelievo, la domanda fosse proponibile e che l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione non fosse meritevole di accoglimento.

Considerato un limite triennale di durata ragionevole del giudizio presupposto, e ritenuto che la pretesa restitutoria avanzata nei confronti del predetto (non risultando che l’amministrazione da lui convenuta, non costituitasi, si fosse attivata per eseguire il provvedimento impugnato) si fosse prescritta, è stato individuato un periodo da valutarsi ai fini della liquidazione pari ad anni sei e mesi otto, in relazione al quale, attribuendo Euro 500,00 per anno, è stata attribuita la somma di Euro 3.300. Per la cassazione di tale provvedimento l’ A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui l’Amministrazione resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 Cedu, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria, sostenendosi l’esiguità della somma liquidata, sulla base della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, a fronte di una posta in gioco significativa.

Con la seconda censura si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 Cedu, nonchè vizio motivazionalc, rappresentandosi l’erronea determinazione della durata del procedimento.

Con il terzo motivo le medesime violazioni vengono prospettate in relazione all’omessa considerazione, in contrasto con i principi affermati dalla Cedu, dell’intera durata del procedimento presupposto. Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate in considerazione della loro intima connessione, attengono al tema della determinazione del periodo di durata non ragionevole e di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale.

Quanto alla determinazione del periodo di durata ragionevole, deve condividersi il rilievo secondo cui nella sentenza impugnata il periodo da valutarsi viene, in maniera del tutto ingiustificata, individuato in anni sci e mesi otto, in funzione della ritenuta prescrizione del diritto contestato in sede amministrativa.

Per il resto, deve rilevarsi che la Corte EDU, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le Cass.,n. 14753/2010 e Cass. n. 1359 del 2011).

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, Cass. nn. 9938 e 18780 del 2010; n. 10500 del 2011).

Appare pertanto congruo, per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale in esame, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo: esso andava quindi determinato, in relazione alla durata di anni dodici, in Euro 6.000,00, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo.

Il decreto impugnato, pertanto, va cassato in relazione alle considerazioni sopra esposte: ricorrono gli estremi per decidere la causa nel merito, nel senso dell’attribuzione della somma testè indicata.

Le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge; le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 6.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *