Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 04-11-2013, n. 44491

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 12.12.2011 liquidava a favore di G.A. la somma di Euro 200.000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in regime di custodia giudiziale in carcere per 169 giorni in un processo per concorso in un’associazione di stampo mafioso conclusosi con l’archiviazione.

Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’Avvocatura dello Stato, nella sua attività di rappresentanza e difesa del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella persona del Ministro pro tempore, e concludeva chiedendo di volerla annullare.

Il ricorso si basa su due motivi: con il primo si lamenta vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale indicato le ragioni per cui aveva ritenuto che non integrasse la causa ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione la condotta del ricorrente, consistita nell’avere intrattenuto rapporti con altri soggetti legati alla criminalità organizzata messinese evidenziati nell’ordinanza cautelare la cui rilevanza non è stata esclusa dalla richiesta e successivo provvedimento di archiviazione. Nonostante questo dato oggettivo risultante dal materiale probatorio disponibile nel fascicolo, nell’ordinanza impugnata la Corte territoriale poneva a base della sua motivazione la tesi prospettata dall’istante nella sua richiesta, senza approfondirne i presupposti, con motivazione apodittica e contraria alla situazione di fatto, con particolare riferimento ai rapporti del G., imprenditore, con altre imprese sottoposte a misure di prevenzione patrimoniale o coinvolte in giri di corruzione, nonchè alla indiretta richiesta da parte dell’istante di protezione ad esponenti o ambienti della criminalità organizzata. Inoltre l’Avvocatura dello Stato ricorrente rilevava, a riprova della superficialità della motivazione, che nell’ordinanza impugnata si legge che la difesa erariale "non avrebbe contrastato la richiesta dell’istante" e si sarebbe "rimessa alle libere valutazioni del giudice", mentre invece l’Avvocatura ricorrente aveva richiesto il rigetto dell’istanza, con ampia motivazione a sostegno. Con il secondo motivo si lamenta la mancanza di una valida motivazione per la liquidazione di una somma – Euro 200.000 – enormemente superiore a quella risultante dall’applicazione del solo criterio aritmetico, ammontante, secondo la stessa ordinanza impugnata ad Euro 40.090,25.

La difesa di G.A. si costituiva in giudizio e sosteneva che l’ordinanza della Corte di appello non era inficiata dai vizi dedotti dall’Avvocatura ricorrente, atteso che la sua motivazione era basata su solidi riscontri probatori da cui si poteva desumere che il G. non aveva dato causa per dolo o colpa grave al provvedimento restrittivo della sua libertà personale.

In ordina al "quantum debeatur la Corte territoriale si era poi uniformata all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, procedendo nella liquidazione dell’indennizzo in via equitativa, mediante apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto.

G.A. presentava altresì tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero di rigettarlo.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Osserva la Corte che, per quanto attiene al primo motivo, sussiste in effetti il lamentato vizio di motivazione. Nel provvedimento impugnato, infatti, pur dando atto della versione difensiva dell’interessato, posta alla base del provvedimento, si tace completamente la circostanza che non è stato possibile rinvenire alcun valido elemento probatorio che possa portare a ritenere giustificati ì rapporti e i contatti indicati.

Il provvedimento impugnato è quindi carente dal punto di vista motivazionale, in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto specificare analiticamente le ragioni per le quali una situazione comunque anomala non era stata sottoposta ad alcuna valutazione (cfr, SU, Sent. N. 43 del 13.12.1995, Rv. 203637 secondo cui "in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve ritenersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, … anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’"id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo… inoltre, anche ai fini che qui interessano,… deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che ponga in essere per evidente macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso". E, nella stessa decisione: "Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione (art. 314 c.p.p.) il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa all’indennizzo, data dall’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento costitutivo del diritto (l’emissione del provvedimento coercitivo), deve valutare la condotta da questi tenuta sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà…".

Nell’ordinanza impugnata manca in effetti la spiegazione dei motivi per cui sono stati ritenuti completamente non influenti elementi di fatto, ignorati nel provvedimento, che ben avrebbero potuto integrare in astratto una ipotesi di concorso nel reato.

Il provvedimento impugnato deve essere pertanto annullato con rinvio perchè la Corte territoriale riesamini la fattispecie alla luce del principio di diritto sopra indicato.

L’accoglimento del primo motivo rende superfluo l’esame del secondo, che risulta assorbito, pur rilevando questa Corte la necessità che la Corte territoriale indichi specificatamente quali siano gli ulteriori danni patiti dal G., che l’hanno spinta a liquidare un indennizzo di 200.000 Euro, a fronte della ben più modesta somma pari ad Euro 40.090,25 quale risulta dall’applicazione del criterio matematico.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *