Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 12-09-2012, n. 15324

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con il decreto indicato in epigrafe, in parziale accoglimento della domanda proposta da C.G. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione alla richiesta di indennizzo del pregiudizio derivante dalla durata non ragionevole del giudizio instaurato davanti alla Corte dei Conti in data 12 ottobre 1984, ed ancora pendente, ritenuto ampiamente superato il limite di ragionevole durata nella misura di anni ventuno, determinava in Euro 21.000,00 la somma dovuta a titolo di equa riparazione, precisando, tuttavia, che, essendo ipotizzabile un concorso di colpa del ricorrente nella durata eccessiva del giudizio, per non aver mai sollecitatola rapida definizione del suo ricorso, tale importo dovesse essere ridotto. La somma come sopra determinata veniva pertanto dimidiata, e l’amministrazione veniva condannata al pagamento,in favore del ricorrente, dell’importo di Euro 10.500,00, oltre alla metà – compensandosi la differenza – delle spese processuali.

Per la Cassazione di tale decisione il C. propone ricorso, affidato a due motivi.

L’amministrazione non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 175 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Viene posto in evidenza come il comportamento omissivo attribuito alla patte non trovi alcun riscontro nel giudizio davanti alla Corte dei Conti, nel cui ambito non è prevista alcuna istanza sollecitatoria, ragion per cui deve applicarsi il principio secondo cui è al giudice che viene attribuito l’esercizio dei poteri intesi al più sollecito svolgimento del processo, La corte territoriale, poi, non avrebbe considerato che il ricorrente aveva presentato istanza di prosecuzione del giudizio, ai sensi del D.L. n. 54 del 1993, più volte reiterato e convertito nella L. n. 19 del 1994.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., chiedendosi, in ogni caso, la rideterminazione delle spese in caso di accoglimento del primo motivo.

La prima censura è fondata.

La Corte territoriale, dopo aver determinato la somma ritenuta congrua per la riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del principio della durata ragionevole del processo, ha ipotizzato, con conseguente riduzione a metà dell’importo ritenuto spettante, un concorso di colpa del ricorrente, per non aver sollecitato la definizione del procedimento.

Tale assunto, oltre ad essere contraddetto dalla presentazione di istanza di prosecuzione del giudizio, richiamata e trascritta nel ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza, è in contrasto con l’orientamento di questa Corte, a mente del quale è al giudice che viene attribuito l’esercizio di tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, sicchè a carico delle parti processuali vi e sì il dovere di non porre in essere comportamenti dilatori, ma non quello di dare impulso al processo, attraverso richieste di anticipazioni di udienza od altre istanze dirette a velocizzarne i tempi (Cass., sez. 1, 5 settembre 2008, n. 22404). Deve, per altro, richiamarsi la specialità del giudizio davanti alla Corte dei Conti, in relazione al quale non può ritenersi necessaria la presentazione della cosiddetta istanza di prelievo, di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, ai fini della proponibilità della domanda, ai sensi del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, trattandosi di norma processuale delimitativa dell’esercizio del diritto di azione e, dunque, di stretta interpretazione (Cass., 21 dicembre 2010, 25833). Pertanto erroneamente è stato ravvisato un concorso di colpa della parte che, avendo compiuto l’attività necessaria ai fini della valida instaurazione del giudizio, è rimasta in attesa della sua definizione, sulla base di sequenze procedurali, come la fissazione delle udienze, riservate esclusivamente al giudice.

Il secondo motivo, in materia di spese processuali, rimane assorbito.

Alla cassazione – in parte qua – del decreto impugnato, consegue la decisione nel merito – non dovendosi procedere ad alcuna acquisizione processuale – ai sensi dell’art. 384 c.p.c.: in tale senso, avendo già la corte territoriale determinato la somma ritenuta congrua per l’equa riparazione, in base a una valutazione che non risulta attinta da alcuna censura, l’amministrazione va condannata al pagamento della stessa senza – per la ragione indicata – alcuna riduzione, con gli interessi dalla data della domanda.

Le spese del giudizio di merito e di legittimità vengono determinate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 21.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012
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