Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-10-2013) 04-11-2013, n. 44483

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Svolgimento del processo

1. – Con sentenza in data 15.12.2008, il tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, ha condannato G.G. alla pena di un anno di reclusione, oltre alla condanna, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, in relazione al reato di omicidio colposo commesso, ai danni di S.D., in violazione delle norme sulla circolazione stradale, in (OMISSIS).

Con sentenza resa in data 28.6.2012, la corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha escluso il concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro stradale, confermando nel resto la decisione del primo giudice.

Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e la Toro Assicurazioni s.p.a. in qualità di responsabile civile.

2.1. – Il G. censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale confermato la responsabilità penale dell’imputato senza rilevare come, pur quando lo stesso avesse tenuto una condotta di guida integralmente rispettosa delle regole di comportamento stradale allo stesso imposte, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, in tal modo dettando una motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione alla ricostruzione della serie causale ch’ebbe a provocare il decesso della vittima, il cui comportamento colpevole, nell’occasione tenuto, avrebbe dovuto individuarsi quale causa esclusiva e determinante dell’evento.

2.2. – La Toro Assicurazioni s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione.

Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, mancata assunzione di una prova decisiva richiesta dalla parte e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di rilevare l’erroneità della decisione del giudice di primo grado di non procedere all’invocato espletamento di una perizia diretta alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’esatta individuazione dell’impatto tra i veicoli entrati in collisione e alle cause ch’ebbero a determinare il sinistro, avuto riguardo alla complessiva insufficienza degli elementi di prova acquisiti ai fini dell’esatta ricostruzione dei fatti di causa.

Del tutto erronea, inoltre, doveva ritenersi la decisione della corte d’appello di non procedere alla riapertura del dibattimento per l’espletamento della perizia nuovamente invocata in sede di gravame, destinata alla risoluzione della decisiva circostanza costituita dall’esatta individuazione del punto d’urto tra i mezzi coinvolti nel sinistro, con la conseguente esatta collocazione degli stessi nelle rispettive corsie di percorrenza: circostanza rimasta non chiarita all’esito a seguito dell’assunzione degli altri elementi di prova acquisiti.

Con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale, confermato la dinamica del sinistro così come ricostruita dal primo giudice, disattendendo tutti i motivi di appello proposti avverso la sentenza di primo grado sulla base di una motivazione illogica, contraddittoria e sostanzialmente infedele rispetto al complessivo contenuto delle risultanze istruttorie acquisite.

Motivi della decisione

3. – Entrambi i ricorsi – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono infondati.

Preliminarmente, vale evidenziare l’inconferenza della doglianza sollevata dalla Toro Assicurazioni s.p.a. con riguardo alla pretesa mancata assunzione di una prova decisiva (tale asseritamente essendo la perizia invocata nel corso del giudizio), valendo al riguardo il richiamo all’insegnamento di questa giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi "prova decisiva", ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d), quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2^, n. 16354/2006, Rv. 234752; Cass., Sez. 6^, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass., Sez. 3^, n. 27581/2010, Rv. 248105).

Con particolare riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa corte di legittimità ha ripetutamente statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva", giacchè la sua disposizione, da parte del giudice, in quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d) (v. Cass., Sez. 5^, n. 12027/1999, Rv. 214873 e successive conformi fino a Cass., Sez. 4^, n. 14130/2007, Rv. 236191).

Nel caso di specie, la corte territoriale ha adeguatamente motivato, in termini di coerenza logica e congruità argomentativa, la decisione di non disporre la perizia invocata dalle difese, avendo evidenziato come il quadro probatorio delineatosi all’esito del giudizio di primo grado esprimesse una valenza rappresentativa pienamente esauriente in ordine alle possibilità di ricostruzione della dinamica del sinistro, con particolare riguardo alla posizione dei mezzi antagonisti e alla velocità dagli stessi tenuta nell’occasione.

Quanto alle restanti censure illustrate dai ricorrenti, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità tra la condotta di guida dell’imputato e l’evento lesivo verificatosi o, più in generale, in relazione al complessivo disegno riguardante l’effettiva dinamica del sinistro, osserva la corte come, sul punto, i ricorrenti si siano limitati a prospettare unicamente una diversa lettura delle risultanze istruttorie acquisite, in difformità dalla complessiva ricostruzione dei giudici di merito, deducendo (peraltro, in modo solo ipotetico e congetturale) i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto, senza tuttavia farsi carico della complessiva riconfigurazione del teatro del sinistro sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, i giudici del merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa (sull’integrazione in un unico corpo argomentativo delle sentenze di primo e di secondo grado concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, cfr. Cass., Sez. 1^, n. 8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi).

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

Il sindacato della corte di cassazione rimane tuttavia quello di sola legittimità, si che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, una volta riscontrata la coerente e logica ricostruzione operatane dal giudice di merito (v., ex multis, Cass., Sez. 2^, n. 23419/2007, Rv. 236893).

Da ciò consegue che gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" menzionati dal testo vigente dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4^, n. 35683/2007, Rv. 237652), sempre che sia da escludere con evidenza (come nel caso di specie) la prospettazione di un ragionevole dubbio circa l’effettivo raggiungimento dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.

Nel caso di specie, la corte territoriale ha coerentemente e in modo logicamente corretto ricostruito la dinamica del sinistro evidenziata dal complesso degli elementi di prova raccolti, sottolineando come, sulla base dei rilievi tecnico-descrittivi e planimetrici eseguiti dalla polizia giudiziaria, nonchè sulla base delle consulenze tecniche di parte, fosse rimasto accertato che l’imputato viaggiasse, in occasione del sinistro, a una velocità (80/90 km/h) pari a circa il doppio del limite consentito, là dove il motociclo condotto dalla vittima percorreva la propria strada a una velocità pari a circa 20 km/h, rimanendo prudentemente all’interno della propria corsia, non potendo tenere rigorosamente la propria destra, essendone oggettivamente impossibilitato a causa della presenza di buche e avvallamenti causati da recenti lavori di scavo non ancora ripristinati.

Sulla base degli stessi obiettivi elementi di prova (idonei a confortare le coerenti dichiarazioni rese dal teste D.S., trasportato sul ciclomotore condotto dalla vittima), la stessa corte territoriale ha sottolineato come del tutto correttamente il primo giudice avesse tratto la conclusione che il sinistro fosse stato causato dall’invasione, da parte dell’imputato, della corsia percorsa dal motociclo della vittima avendo perso il controllo della propria autovettura, evidenziando l’inverosimiglianza delle alternative prospettazioni del fatto avanzate dall’imputato e dal responsabile civile, unicamente fondate sulle dichiarazioni dei testimoni trasportati sulla vettura dello stesso imputato, rivelatesi in radicale contrasto con tutte le risultanze tecniche acquisite al processo, inclini a localizzare il punto d’impatto tra i veicoli all’interno della corsia impegnata dal ciclomotore.

La sentenza d’appello impugnata, inoltre, ha correttamente considerato ogni argomento sollevato dalla difesa (con riguardo alla pretesa manovra di emergenza asseritamente tentata dall’imputato;

all’incompatibilità, con la ricostruzione del fatto operata dal primo giudice, del danno subito dall’autovettura dell’imputato nella propria parte anteriore destra; alla persistente integrità, anche dopo il sinistro, dello pneumatico anteriore destro della vettura dell’imputato), puntualmente rispondendo agli stessi attraverso il richiamo alle concrete evidenze riguardanti: 1) l’inesistenza di tracce di frenata; 2) l’angolazione con cui la vettura dell’imputato era entrata nella corsia opposta, dimostrando di intercettare il ciclomotore nel momento in cui, con la parte antero-laterale sinistra, era già ampiamente penetrata nella corsia opposta; 3) il carattere non decisivo della circostanza costituita dall’integrità dello pneumatico anteriore destro della vettura dell’imputato, essendo sufficiente un semplice minimo impatto del motociclo con lo spigolo dell’autovettura dell’imputato al fine di provocare la caduta del primo, attesa la chiara sproporzione tra i mezzi coinvolti.

Del pari pienamente congruente, in termini logico-argomentativi, deve ritenersi l’asserzione del giudice d’appello in ordine al riconoscimento dell’inesistenza di alcun profilo di colpa rimproverabile a carico della vittima, essendo risultata l’impossibilità, da parte di quest’ultima, di mantenere in modo rigoroso la destra della carreggiata percorsa, avuto riguardo alle già rilevate gravi e pericolose sconnessioni del manto stradale relativo a detta carreggiata, in nessun modo percorribile in tale tratto, senza evidenti pericoli, da un veicolo a due ruote.

Il complesso delle premesse sin qui richiamate impone pertanto di ritenere che la motivazione dettata dal giudice d’appello, circa l’esclusiva responsabilità dell’imputato nella causazione del sinistro de quo, sia da ritenere pienamente esauriente e immune da ogni vizio d’indole logica o giuridica, si da sottrarsi integralmente a tutte le censure contro la stessa in questa sede sollevate dagli odierni ricorrenti.

4. – L’accertamento dell’integrale infondatezza di tutte le doglianze avanzate dai ricorrenti, comporta il rigetto dei relativi ricorsi e la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2013
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