T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 01-02-2011, n. 77

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione
I ricorrenti, in qualità, il primo (I.A.B.) di imprenditore individuale ed il secondo (D.B.) di institore della suddetta impresa, espongono di aver assunto l’esecuzione dei lavori di " adeguamento e rifacimento della rete idrica del capoluogo" per il corrispettivo di Euro. 419.478,10 oltre oneri di sicurezza pari a Euro. 15.493,71, in forza di contratto del 21.7.05, stipulato con il Comune di xxx in esito ad apposita gara per pubblico incanto con il criterio del prezzo più basso, conclusasi il 12.3.04.
Nel corso dei lavori, la cui consegna è avvenuta il 6.6.2006 (come da verbale redatto ai sensi dell’art. 130 DPR 554/99), il Responsabile Comunale dell’A.T.M., con determina n.199 del 18.8.2008 ha proceduto alla risoluzione del contratto d’appalto (con la ripresa del procedimento di scelta ex art.140 D.lgs. 163/06), sulla base della deliberazione n.80 del 13.8.08, assunta dalla Commissione Straordinaria con i poteri di G.M. che, quale atto di indirizzo, ha invitato il Responsabile ad agire in tal senso.
La deliberazione n.80 del 13.8.08, aveva come presupposto la nota della Prefettura di Reggio Calabria prot. n. 46579 /08/Area I del 15.7.08, contenente informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell’art.10 DPR 252/98, nei confronti della impresa individuale B.I. e del suo institore.
Nella predetta informativa la Prefettura esponeva che la complessiva valutazione di tutti gli elementi acquisiti mediante gli accertamenti disposti per il tramite delle Forze di Polizia, induceva a ritenere sussistente il pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose nell’ambito dell’impresa.
Ciò in quanto era emerso un articolato quadro di significative relazioni dei nominati in oggetto, (B.I. e B.D.) con soggetti gravati da molteplici precedenti penali e appartenenti alla criminalità organizzata.
Il RUP, peraltro, con telegramma dell’1.8.08, ordinava, nelle more, la sospensione immediata dei lavori.
Contro tutti gli atti del procedimento (l’informativa, la delibera della Commissione straordinaria, la determina di risoluzione del contratto e l’ordine di sospensione dei lavori) insorgono i ricorrenti denunciandone vizi propri e derivati.
In particolare dell’informativa prefettizia n. 46579/08 del 15.7.2008 censurano l’insufficienza della motivazione (perché non sarebbe indicato puntualmente l’esito degli accertamenti) e contestano, in ogni caso, che i ricorrenti possano vantare un quadro di relazioni quale quello indicato dalla Prefettura, potendosi, al più riscontrare qualche occasionale incontro.
Le doglianze sono infondate.
In particolare dal sintetico contenuto della parte motiva dell’informativa impugnata è chiaramente individuabile il nucleo essenziale delle ragioni che ne hanno determinato l’adozione, rappresentato dall’esistenza di plurime e reiterate frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata.
Tanto soddisfa l’onere di sufficienza motivazionale.
La specificazione in dettaglio degli incontri che hanno fondato tale giudizio non è, infatti, necessaria per integrare il requisito della indicazione dei presupposti di fatto, in primo luogo perché l’ordinamento implicitamente (v. art. 3 c.p.a., rubricato "dovere di motivazione e sinteticità degli atti" e art.133 c.p.c. che, nel disciplinare il contenuto della sentenza, richiede la "concisa" esposizione dei motivi in fatto ed in diritto della decisione) consente -ed anzi induce- alla sinteticità di tale indicazione, imponendo per ciò un procedimento inferenziale di reductio ad unum dei singoli dati di dettaglio.
A ciò si deve aggiungere che l’indicazione specifica (a cui chiaramente l’impianto motivazionale dell’informativa rinvia, laddove richiama gli accertamenti disposti per il tramite delle Forze di Polizia) è sicuramente conoscibile dal destinatario sia a seguito degli incombenti istruttori – disposti anche nella presente controversia- sia a seguito di autonoma istanza di accesso (v. in tal senso T.A.R. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 22 aprile 2009, n. 253), sicchè sotto tale profilo si supera ogni questione inerente la assunta eccessiva sinteticità della motivazione, trattandosi di atti che la integrano per relationem.
In tal senso va ricordata anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui "è legittima l’informativa prefettizia antimafia che omette di citare testualmente i singoli atti dell’istruttoria, essendone sufficiente il mero richiamo per integrare la motivazione "per relationem" ex art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241." (Consiglio Stato, sez. VI, 11 settembre 2001, n. 4724).
Diversa ed ulteriore questione è quella della lamentata erroneità e irragionevolezza e del desunto quadro relazionale con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.
Sotto tale profilo, dirimenti sono stati gli incombenti istruttori disposti con ord. cautelare n. 124/08 con cui si è chiesto di depositare l’esito degli accertamenti svolti.
Orbene, dalla nota della Regione Carabinieri "Calabria" – Comando provinciale di Reggio Calabria- emerge che B.I. è stato notato in varie circostanze (esattamente 7 decorrenti dal 1994 al 2007) con diversi soggetti (tali: R.V.; Z.D.; M.M.; R.R.; M.D. e R.M.), tutti ritenuti esponenti della criminalità organizzata, molti dei quali gravati da condanne (anche se non definitive) o raggiunti da ordinanze custodiali nell’ambito di procedimenti per associazione di stampo mafioso.
A carico di B.D. risultano, invece 5 controlli con B.A., ritenuto elemento collegato alla cosca B. (il numero dei controlli con il medesimo soggetto esclude di per sé l’occasionalità); un controllo con tale R.A., nipote di un capomafia locale ed un altro con il fratello di questo; altri due controlli, in epoca successiva, con altri due soggetti di calibro criminale analogo.
La consistenza numerica delle volte in cui i due soggetti titolari di potestà decisionali nell’ambito dell’impresa sono stati notati in compagnia di persone collegate o contigue ad organizzazioni criminali, già fornisce un elemento difficilmente superabile in merito alla occasionalità degli incontri.
Ma il dato particolarmente dirimente è rappresentato dal fatto, che i soggetti con cui è stato controllato B.I. (cioè il titolare dell’impresa, ovverosia colui che è dotato della potestà decisionale massima, influenzando e determinando le scelte d’impresa, a nulla rilevando la preposizione institoria del figlio che non esclude affatto tali poteri) sono tutti (senza esclusione alcuna) gravitanti nell’ambito della c.d. cosca Belcastro.
Ritenere questo un dato occasionale e non determinante, significherebbe svalutare un elemento, invece, dotato di straordinaria pregnanza, in quanto indicativo della contiguità ad un ben determinato ambiente criminale (non a caso il B.I. non è stato controllato in compagnia di esponenti di alcun altro clan mafioso).
Dunque, la natura degli incontri perde i connotati di equivocità e occasionalità in favore, invece, di un forte elemento indiziario di segno contrario, in ragione della "omogeneità" dell’appartenenza dei soggetti gravati.
Si può ora passare all’esame delle doglianze mosse contro la deliberazione commissariale nr. 80 del 13.08.08 che, quale atto di indirizzo, ha invitato il Responsabile dell’area Tecnico- Manutentiva a risolvere il contratto di appalto.
In primo luogo, priva di fondamento è l’eccezione del Comune di difetto di giurisdizione, motivata con l’asserita natura privatistica e negoziale degli atti comunali impugnati.
Essi, pur avendo ad oggetto formalmente l’esercizio del potere di recesso dal contratto, sono espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto dal D.P.R. n. 252 del 1998, art. 11, comma 2, e che attiene alla scelta del contraente stesso. Tale potere è estraneo alla sfera del diritto privato, a differenza del recesso previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 345, all. F, (in relazione al quale spetta al Giudice ordinario verificarne la sussistenza dei presupposti: Cass. n. 10160/2003).
Il recesso di cui si tratta, in altri termini, non trova fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione del contratto, ma è consequenziale all’informativa del Prefetto ai sensi del D.P.R. n. 252 del 1998, art. 10 e, quindi, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali fra i soggetti indicati nel cit. D.P.R. art. 1, e imprese nei cui confronti emergono sospetti di collegamenti con la criminalità organizzata. Ne consegue la giurisdizione del giudice amministrativo (così testualmente Cassazione civile, sez. un., 29 agosto 2008, n. 21928).
Della delibera n.80/2008 della commissione straordinaria si denuncia in primo luogo l’illegittimità derivata dalla informativa prefettizia, ma evidentemente tale profilo può dirsi superato, essendo state respinte le doglianze contro l’atto presupposto.
Se ne censura, inoltre, la violazione dell’art.11 co.23 del DPR 252/98 e dell’art.7 e segg. L.241/90 nonchè l’incompetenza, essendo competente il dirigente comunale.
Quest’ultima eccezione può essere agevolmente superata in considerazione della natura esplicitamente menzionata della delibera in esame, laddove essa viene qualificata, nel suo oggetto, come "atto di indirizzo", come conferma la circostanza che essa non dispone la risoluzione del contratto, ma demanda ad altro organo l’adozione del recesso.
La censura è, comunque, inammissibile per carenza di interesse in quanto l’atto di risoluzione del contratto è stato posto in essere dal Responsabile dell’area Tecnico- manutentiva, cioè dall’organo pacificamente competente a tal fine, sicché l’annullamento della delibera in questione, per difetto di competenza non sarebbe di alcuna utilità, risultando già in atti l’adozione del provvedimento da parte dell’organo competente.
Più complessa e articolata è la censura con cui si deduce la violazione della normativa di settore e delle garanzie partecipative.
In particolare i ricorrenti evidenziano che l’informativa in questione è intervenuta a contratto di appalto già stipulato con esecuzione quasi totale dei lavori commissionati (e la circostanza non è stata smentita dal comune resistente).
Contestano che, in tale ipotesi, la risoluzione del contratto possa considerarsi una conseguenza "automatica" dell’informativa, in quanto l’art. 11 cit. prevede non un obbligo, bensì una facoltà di risoluzione (v. testualmente il disposto normativo del citato art.. 11, co 1,2,3 che così recita:
"1. Quando le verifiche disposte siano di particolare complessità, il prefetto ne dà comunicazione senza ritardo all’amministrazione interessata e fornisce le informazioni acquisite entro i successivi trenta giorni.
2. Decorso il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione della richiesta, ovvero, nei casi d’urgenza, anche immediatamente dopo la richiesta, le amministrazioni procedono anche in assenza delle informazioni del prefetto. In tale caso, i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma 1 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
3. Le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto.").
Deducono, pertanto, la necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto al recesso, considerato lo stato dei lavori – decisamente avanzato- e, data la natura non vincolata dell’atto, anche dell’avviso di avvio del procedimento, trattandosi di un atto di II grado.
In particolare, i ricorrenti, pur premettendo che, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia, la valutazione e la conseguente decisione circa la sussistenza di tentativi di condizionamenti mafiosi dell’impresa, tali da imporre la cessazione di rapporti giuridicoeconomici con la p.a., non può che spettare ex lege in via esclusiva al Prefetto, con esclusione di qualsivoglia ambito di discrezionalità dell’ente locale in ordine a tale aspetto, deducono che l’art.11 del DPR 252/98, co. 2 e 3, in caso di sopravvenienza dell’informativa prefettizia interdittiva dopo la stipula del contratto, consente alla stazione appaltante di recedere dallo stesso, fatto salvo il pagamento del valore venale delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per il rimanente nei limiti delle utilità conseguite (co.2).
Tale facoltà di revoca e/o di recesso è connotata dalla discrezionalità con riferimento alla convenienza di una decisione di recesso a lavori ultimati o in fase di ultimazione, come nella fattispecie.
Il che imporrebbe una adeguata specificazione delle ragioni che, a lavori tanto avanzati, non hanno determinato il mantenimento del rapporto contrattuale.
Anche tale doglianza è infondata.
La giurisprudenza ha chiarito che l’unico spazio di un possibile margine di discrezionalità della stazione appaltante destinataria dell’informazione può rinvenirsi nella valutazione della convenienza per l’amministrazione e nell’opportunità per l’interesse pubblico della prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento. Tale valutazione può tuttavia rinvenire un suo spazio possibile solo allorchè il rapporto contrattuale sia in corso di esecuzione già da un cospicuo lasso di tempo e sussistano concrete ragioni che rendano del tutto sconveniente per l’amministrazione l’interruzione della fornitura, del servizio o dei lavori che formano l’oggetto del contratto revocando.
Solo stringenti ragioni di interesse pubblico a non interrompere un servizio essenziale, difficilmente rimpiazzabile in temi rapidi, o a completare un’opera in corso di ultimazione, et similia, potrebbero invero giustificare il sacrificio del prevalente (di regola) interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica che presiede ai poteri interdittivi antimafia.
E ciò comporta che la motivazione dovrà essere ampia a supporto della determinazione di proseguire il rapporto in funzione dell’esistenza di dette circostanze, ma non per l’opposto caso in cui, in assenza di queste ultime, non vi siano ragioni per vanificare la portata dell’informazione interdittiva. In quest’ultimo caso, invero, a giustificare l’adozione del provvedimento è sufficiente il rinvio alla stessa (v. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2005, n. 574 e T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 08 luglio 2010, n. 16618).
In altri termini, posto che è evidente il profilo negativo per l’interesse pubblico nell’avere rapporti contrattuali con imprese esposte a rischi di condizionamenti mafiosi (principio che si pone come regola dell’agire amministrativo), la previsione della facoltà di recesso (che rappresenta, pertanto, un’eccezione) è giustificata dalla necessità di consentire all’amministrazione di non recedere se l’interesse a mantenere il contratto sia prevalente. E’ su ciò, quindi, che si appunta l’onere motivazionale, dovendo la p.a., a fronte dell’interesse primario a non avere rapporti negoziali con imprese potenzialmente influenzabili dalle organizzazioni criminali, spiegare se vi siano prevalenti ragioni per mantenerli.
Ma a ben guardare, il rinvio alla nota prefettizia interdittiva quale unica ragione del recesso, senza valutazione alcuna di ragioni di segno contrario è solo apparente, poiché la delibera impugnata dà conto, per relationem, delle ragioni per cui non vi fosse spazio alcuno per la prosecuzione del rapporto contrattuale.
Deve, a tal fine ricordarsi, come ribadito dalla difesa dell’ente locale, che il Comune di xxx era (ed è) amministrato, al momento dell’adozione degli atti censurati, da una Commissione straordinaria, a seguito di scioglimento del Consiglio comunale in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
Tale Commissione, all’atto dell’insediamento, ha adottato una delibera programmatica – recante n. 13 del 30.11.2006 (vedila nel fascicolo del Comune resistente, all.7)- nella quale ha stabilito i criteri e le modalità da seguire nei procedimenti di affidamento di opere pubbliche, servizi e forniture.
Nelle premesse di tale delibera, la commissione espressamente richiama la necessità di ispirarsi, nel settore degli appalti, potenzialmente particolarmente esposto a fenomeni di turbativa determinati dall’ingerenza delle organizzazioni criminali, a criteri di massima legalità e trasparenza, al fine di impedire ogni forma di condizionamento illecito.
Delibera, pertanto, di ritenere prevalente il criterio della stretta legalità, il che è quanto mai comprensibile in un comune i cui organi elettivi siano stati appena sciolti per potenziali condizionamenti mafiosi.
Tanto premesso, deve osservarsi che la delibera in questione, viene richiamata espressamente tra le premesse di quella successiva n. 80 del 13.8.2008, con cui si è deciso di ritenere doveroso lo scioglimento del contratto. Tale richiamo fornisce quell’ulteriore elemento motivazionale invocato dalla difesa dei ricorrenti, in quanto chiarisce le ragioni per cui non si è dato spazio alcuno alla possibilità alternativa al recesso, stante la già deliberata linea di condotta e gestione degli appalti pubblici di stretta legalità, al fine di evitare ogni fenomeno di possibile condizionamento.
Infine, non può trovare accoglimento, in applicazione dei principi di cui all’art. 21 octies l. 241/90, la censura con cui si contesta la violazione delle garanzie partecipative,.
Deve premettersi che, in realtà, la doglianza in questione è più appropriata all’atto con cui è stato risolto il contratto, piuttosto che alla delibera di indirizzo, stante la sua natura programmatica.
Tuttavia, la censura di invalidità derivata, proposta nei confronti della determina di risoluzione, rende la questione relativa alla riferibilità della doglianza all’ uno piuttosto che all’altro atto priva di rilevanza effettiva.
Tanto premesso, deve rilevarsi che, alla luce delle doglianze proposte in giudizio, i ricorrenti avrebbero fatto valere nel procedimento funzionale alla risoluzione del contratto solo la particolare situazione di fatto rappresentata dall’avanzato stato di esecuzione del contratto, il che non avrebbe potuto determinare comunque un esito differente, alla luce della linea gestionale scelta dalla commissione straordinaria ed esternata nella delibera n. 13/2006.
Il rigetto delle suesposte doglianze conduce alla reiezione delle censure di invalidità derivata contro determina del Responsabile dell’area Tecnico- Manutentiva del Comune di xxx n. 199- 2008 – Reg. Gen. 409/2008 di rescissione del contratto.
Infine, vanno respinte anche le doglianze contro l’ordine del RUP, del 2.8.2008 di sospensione immediata dei lavori di cui si contesta la legittimità, in quanto la delibera di indirizzo della Commissione Straordinaria, di cui l’ordine di sospensione si pone quale atto esecutivo, non risultava ancora adottata (l’atto di indirizzo è infatti, del 13.8.2008, mentre l’ordine di sospensione è del 1.8.2008), con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art.133 co.2 DPR 554/99; difetto di motivazione; illegittimità derivata dalla illegittimità della del. G.M. N.76/08 (rectius del. C.S. 80/2008); contraddittorietà e falsità procedimentale.
Sul punto deve rilevarsi che la sospensione dei lavori, data la sua natura strumentale, urgente e cautelare, rinviando genericamente all’atto di indirizzo della Commissione Straordinaria, ben si coniuga con la possibilità che il riferimento vada letto in relazione all’atto non ancora formalmente deliberato, ma già predisposto in fase istruttoria, avendo proprio la funzione di evitare che, nelle more dell’adozione, potesse protrarsi l’esecuzione del contratto da parte dell’impresa destinataria dell’informativa. Tale conclusione è rafforzata dalle date di adozione dei due provvedimenti (il 1°.8.2008, l’ordine di sospensione e il 13.8.2008, l’adozione dell’atto di indirizzo) del tutto compatibili con la pendenza della fase istruttoria.
La legittimità dell’ordine di sospensione immediata dei lavori esclude che possa accogliersi la domanda risarcitoria per gli asseriti danni patiti per la sospensione illegittimamente disposta; danni, peraltro, del tutto indimostrati.
Ugualmente è a dirsi per i danni da illegittimità degli altri atti impugnati.
Le spese possono essere integralmente compensate in ragione della particolare situazione di fatto che ha dato origine alla controversia (determinata dallo stato avanzato dei lavori oggetto di appalto).
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Rigetta, altresì, la domanda risarcitoria.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente FF
Caterina Criscenti, Consigliere
Desirèe Zonno, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *