Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2013) 31-10-2013, n. 44344

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 13.11.12 ex art. 444 c.p.p. il GUP del Tribunale di Torino applicava su richiesta delle parti a V. P. la pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa, a R.R. la pena di mesi uno di reclusione ed Euro 700,00 di multa quale aumento in continuazione sulla pena già inflittagli con precedente sentenza del GIP dello stesso Tribunale e a Ru.Ro. la pena di mesi sette di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa quale aumento in continuazione sulla pena già inflittagli con precedenti sentenze emesse sempre dall’autorità giudiziaria subalpina.

Tutti e tre gli imputati rispondevano di delitti di usura.

Con la medesima sentenza il GUP del Tribunale subalpino, visto l’art. 644 c.p., u.c., disponeva la confisca per equivalente di denaro, beni e utilità nei confronti di V.P. sino a concorrenza di Euro 186.278,00 (in solido con Ru.Ro.), di Ru.

R. sino a concorrenza di Euro 386.666,00 (dei quali Euro 186.278,00 in solido con il V. ed Euro 121.436,00 in solido con il fratello R.), nonchè di R.R. sino a concorrenza di Euro 121.436,00 (in solido con il fratello Ro.).

Tramite i rispettivi difensori e con separati atti, sia V. P. che R.R. e Ru.Ro. ricorrono contro detta sentenza, di cui chiedono l’annullamento.

I R. hanno altresì presentato motivi aggiunti.

Con unico motivo di impugnazione V.P. si duole di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, non essendo emersi elementi obiettivi di colpevolezza a suo carico in ordine ai reati ascrittigli.

Nei rispettivi ricorsi e motivi aggiunti entrambi i R. investono il solo capo relativo alla confisca, lamentando:

a) violazione dell’art. 644 c.p., u.c. per essere stata ordinata una confisca per equivalente senza la necessaria specifica individuazione dei beni, da sottoporre alla misura ablativa, nella disponibilità del condannato; obiettano i ricorrenti che si può omettere la specificazione dei beni vincolabili (in assenza di idonei elementi a tal fine) solo in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e non di confisca per equivalente;

diversamente, ovvero rimettendosi la successiva individuazione dei beni al PM quale organo dell’esecuzione ex art. 655 c.p.p. e ss.

(come ha fatto l’impugnata sentenza), il condannato potrebbe vedersi eventualmente privato anche di beni legittimamente acquistati dopo la condanna e si troverebbe nell’impossibilità di contestare la scelta del PM medesimo in ordine ai beni da apprendere, considerato che gli sarebbero preclusi sia i mezzi ordinali di impugnazione (visto il passaggio in giudicato della sentenza) sia lo strumento dell’incidente di esecuzione, atteso che la scelta dei beni non riguarderebbe nè l’esistenza nè l’esecutività del titolo;

b) violazione dell’art. 644 c.p. e vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha disposto la confisca di un importo pari agli interessi usurati asseritamente percepiti dall’imputato, nonostante che essi – in realtà – non fossero del tutto dimostrati alla luce delle risultanze in atti e che, anzi, la stessa memoria depositata dal PM all’udienza del 30.10.12 desse atto che non tutti gli interessi usurari promessi erano stati poi percepiti; pertanto, la confisca risultava parametrata all’ammontare degli interessi promessi e di quelli percepiti, mentre avrebbe dovuto essere limitata soltanto a questi ultimi.

Il solo Ru.Ro. denuncia:

c) vizio di motivazione sulla confisca dei vantaggi usurari per Euro 386.666,00, disposta nonostante che tali vantaggi usurari del delitto di cui al capo Z24) della rubrica – concernenti Ra.Fr.

come persona offesa – fossero stati già oggetto di calcolo e di confisca con la sopra ricordata precedente sentenza di condanna emessa il 23.2.10, inerente sempre al delitto di usura commesso ai danni della stessa persona offesa Ra.Fr.;

d) vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia non ha disposto la confisca di un immobile sito nel Comune di (OMISSIS) (del valore complessivo di Euro 813.000,00) per Euro 67.884,00 quale residuo del valore di Euro 745.116,00 (pari al totale dei vantaggi usurari discendenti dalle contestazioni elevate nel procedimento principale svoltosi a suo carico), immobile per il quale la confisca era stata già ordinata nel procedimento definito con sentenza 23.2.10; tale doglianza viene mossa, nel secondo motivo aggiunto, anche sotto forma di denunciata violazione dell’art. 644 c.p. se interpretato nel senso dell’ammissibilità d’una confisca per equivalente in mancanza di identificazione dei beni da apprendere, nonostante che nel caso di specie ve ne fossero di individuabili, come il summenzionato immobile sito nel Comune di (OMISSIS).

Motivi della decisione

Il ricorso di V.P..

1.1 – Il ricorso del V. è inammissibile perchè con esso il ricorrente – malgrado la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. – censura (per altro in maniera del tutto generica) l’omesso proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p., lamentando un difetto di motivazione a riguardo.

E’ noto, conformemente ad orientamento giurisprudenziale da cui questa Corte Suprema non ritiene di doversi discostare (v. fra le altre, Cass. n. 2076 del 28.10.2003, dep. 22.1.2004, nonchè, in motivazione da Cass. S.U. n. 18 del 25.10.95; Cass. Sez. 6, n. 8719 del 21.591, rv. 188083; Cass. 6, n. 3467 del 9.10.95 rv. 203306 e numerosissime altre), che sull’accordo delle parti ex art. 444 c.p.p. non può prevalere l’assoluzione per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, giacchè il primo rinvia solo alle cause di proscioglimento espressamente indicate dall’art. 129 c.p.p., fra le quali non può annoverarsi – appunto – quella per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova (cfr., ad es., Cass. n. 26008 del 18.5.2007, dep. 5.7.2007).

Nè varrebbe invocare l’equiparazione della mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova alla insussistenza del fatto od alla sua non attribuibilità all’imputato, poichè tale equiparazione è contenuta solo nell’art. 530 c.p.p., comma 2 e nell’art. 425 c.p.p., comma 3, a norma del quale va emessa sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa nel giudizio.

Si tratta, infatti, di situazioni processualmente non assimilabili.

Nel primo caso, la pronuncia ex art. 530 c.p.p., comma 2 indica uno dei possibili punti di approdo di uno specifico momento processuale che vede le parti soffermarsi sulle proprie e altrui prove, iter soltanto al termine del quale ha senso constatare, a seconda dei casi, la sussistenza delle condizioni per emettere sentenza di condanna, come prevede l’art. 533 c.p.p., o per pronunciare sentenza di assoluzione secondo le varie formule di rito.

L’art. 425 c.p.p., a sua volta, si innesta nel complesso delle norme che governano l’udienza preliminare, nella quale l’incompletezza delle indagini può condurre solo ad una attività di integrazione probatoria del giudice (art. 422) o ad un provvedimento che dispone ulteriori indagini (art. 421 bis c.p.p.), mai ad una sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o contraddittorietà della prova, e nella quale deve pertanto affermarsi, sulla base di una lettura dell’art. 425 c.p.p., comma 3 opportunamente coordinata con quella dei citati artt. 422 e 421 bis c.p.p., che la sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o contraddittorietà della prova è possibile solo quando l’insufficienza o la contraddittorietà della prova non possa essere sciolta con più complete ed esaurienti indagini. Anche l’art. 425 c.p.p., comma 2 indica, quindi, uno dei possibili punti di approdo di un specifico momento processuale, quello, cioè, dell’udienza preliminare, in relazione al quale, proprio perchè è stato consentito alle parti di soffermarsi, con il giudice, sulle proprie ed altrui prove con poteri diretti o indiretti di integrazione delle eventuali carenze, ha senso la previsione della sentenza di non luogo a procedere anche per insufficienza o contraddittorietà della prova.

E’, dunque, al termine dell’udienza preliminare, ove si sia attraversato questo momento, o dopo il dibattimento, ove l’udienza preliminare sia mancata, che la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova sono equiparate dal legislatore, attraverso la disposizione dell’art. 530 o quella dell’art. 425, alla prova negativa della sussistenza del fatto o della responsabilità dell’imputato. Ciò spiega perchè nell’udienza preliminare la predetta equiparazione può assumere rilevanza, ai fini della immediata applicazione dell’art. 129 e della prevalenza della formula assolutoria su quella di proscioglimento per estinzione del reato prevista dal comma 2 della medesima norma, solo se ed in quanto il GUP abbia accertato che la mancanza o insufficienza della prova non sia dipesa da incompletezza delle indagini e, nel dibattimento (ed in particolare nei procedimenti con citazione diretta a giudizio), soltanto al termine, dopo l’espletamento cioè delle attività necessarie per la formazione dialettica della prova.

In tale senso è anche la giurisprudenza della Corte cost., che nelle ordinanze 26.6.91 n. 300 e 18.7.91 n. 362 espressamente rileva come, prima del dibattimento, l’art. 129 c.p.p. non consente di attribuire valore alla mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova proprio perchè la prova non è stata ancora assunta.

Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, governato dall’art. 444 c.p.p., e ss., è, appunto, senza dibattimento, ragion per cui il giudice non può pronunciare sentenza di proscioglimento o di assoluzione per mancanza (non irreversibile), insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dagli atti del fascicolo del PM proprio perchè, altrimenti, la rinuncia all’istruzione dibattimentale manifestata dal PM con l’accordo ex art. 444 c.p.p. verrebbe strumentalizzata per un fine diverso da quello proprio della norma, il tutto con indebita elusione della regola dell’obbligatorio esercizio dell’azione penale (cfr., più di recente, Cass. Sez. 3, n. 28971 del 7.6.12, dep. 18.7.12).

1.2. – In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso del V.. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.500,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

I ricorsi di R.R. e Ru.Ro..

2.1- Il motivo che precede sub a) è infondato.

Si tenga presente che, per costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. Sez. 3, n. 10567 del 12.7.12, dep. 7.3.13; Cass. Sez. 3, n. 7675 del 10.1.12, dep. 28.2.12; Cass. Sez. 3, n. 12580 del 25.2.10, dep. 31.3.10; Cass. Sez. 2, n. 6974 del 27.1.10, dep. 19.2.10), il giudice può anche soltanto indicare l’importo complessivo fino a concorrenza del quale dispone un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, senza specificare i beni da apprendere ove non disponga in atti di elementi idonei ad individuarli; in tal caso la loro scelta e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel provvedimento di sequestro potrà essere riservata alla fase esecutiva demandata al PM. Nulla osta a che tale principio si applichi anche al momento dell’emissione del provvedimento di confisca per equivalente (sempre che il giudice non disponga di elementi idonei ad individuare specificamente i beni da apprendere), vuoi perchè nessuna norma impone il contrario, vuoi perchè – diversamente – si verrebbe a riproporre surrettiziamente quel vincolo di pertinenzialità tra il reato e il bene da apprendere che è escluso in relazione alla confisca per equivalente (cfr. da ultimo Cass. Sez. 3, n. 1261 del 25.9.12, dep. 10.1.13, e – riguardo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto in caso di delitto di usura- Cass. Sez. 1, n. 28999 del 1.4.10, dep. 23.7.10).

Le obiezioni a riguardo svolte dai ricorrenti non hanno pregio, giacchè la mancata individuazione dei beni da apprendere non significa che la loro successiva identificazione da parte del PM debba ricadere su beni legittimamente acquistati dopo la condanna.

Nè il condannato resta privo di tutela, giacchè l’art. 676 c.p.p., comma 1 prevede che in sede esecutiva possa, fra l’altro, farsi questione – sempre nel rispetto del limite invalicabile dell’intangibilità del giudicato formatosi nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione – anche in ordine alla confisca, ad esempio sulla formazione del relativo titolo esecutivo, o sull’eventuale applicazione della confisca obbligatoria non disposta in sede di merito, o sulla proprietà delle cose confiscate se non appartenenti al condannato o se rivendicate da un terzo, nonchè sull’estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa (cfr. Cass. Sez. 4, n. 2552 del 20.4.2000, dep. 10.5.2000).

2.2. – Va disatteso il motivo che precede sub b), ove si contesta l’ammontare dei vantaggi usurari accertati in sede di merito, doglianza la cui verifica presupporrebbe un accesso diretto agli atti da parte di questa S.C. ed una loro autonoma valutazione, il che non è consentito in sede di legittimità neppure quando la parte si limiti a contestare soltanto l’entità della misura di sicurezza applicata.

2.3. – Nemmeno il motivo che precede sub c) può essere accolto.

Si premetta che la gravata pronuncia, rigettando le obiezioni sollevate da Ru.Ro., ha espressamente escluso l’identità, anche soltanto parziale, fra le condotte illecite e i vantaggi usurari (pretesi ai danni di Ra.Fr.) di cui al capo Z24) e quelli oggetto della precedente sentenza di condanna emessa il 23.2.10.

Ora, il motivo in oggetto finisce con il rimettere in discussione non solo l’entità della confisca in sè, bensì – a monte – la condanna stessa per il delitto così come contestato al capo Z24), condanna che verrebbe ridimensionata per l’esistenza di precedente giudicato (quello di cui alla summenzionata sentenza di condanna emessa il 23.2.10), ossia per violazione dell’art. 649 c.p.p..

In pratica, sebbene non espressamente invocato in ricorso, in ipotesi si tratterebbe di fare luogo al principio del ne bis in idem limitatamente alle condotte illecite commesse ai danni di Ra.

F. e ai relativi vantaggi usurari e, per ricaduta, ciò si ripercuoterebbe anche sulla confisca per equivalente disposta ex art. 644 c.p., u.c..

Sull’astratta deducibilità, nel giudizio di cassazione, della preclusione da precedente giudicato si registrano due diversi orientamenti: per la soluzione affermativa v., da ultimo, Cass. Sez. 6, n. 47983 del 27.11.12, dep. 12.12.12; per quella negativa v., più di recente, Cass. Sez. 5, n. 9825 del 10.1.13, dep. 1.3.13.

Ma pur se si volesse aderire al primo indirizzo interpretativo, nel caso di specie resterebbe comunque dirimente il rilievo della mancata impugnazione, per violazione del divieto di bis in idem, della sentenza emessa il 13.11.12 dal GUP del Tribunale di Torino nella parte in cui, ex art. 444 c.p.p., ha applicato a Ru.Ro.

la pena anche per il delitto di cui al capo Z24) così come contestato nell’editto accusatorio.

Il giudicato progressivo ormai formatosi a riguardo impedisce in ogni caso di adottare – sulla sola misura di sicurezza – statuizioni che, in tutto o solo parzialmente, si pongano in contrasto con il giudicato medesimo nella parte relativa alla condanna per il delitto sub Z24).

2.4. – Il motivo che precede sub d) è per un verso esterno all’area dell’art. 606 c.p.p. perchè, in sostanza, sollecita un’operazione non consentita in sede di legittimità, ossia un nuovo approccio agli atti del processo per accertare se davvero era impossibile individuare (in tutto o in parte) i beni da confiscare.

Per altro verso il motivo è altresì infondato perchè, ai fini della scelta dei beni da sottoporre in concreto a sequestro o a confisca per equivalente, le preferenze o le indicazioni eventualmente espresse dal destinatario del provvedimento sono irrilevanti (cfr. Cass. Sez. Un. 41049 del 26.10.11, dep. 11.11.11).

La possibilità per l’interessato di optare per il sequestro o la confisca di un bene piuttosto che di un altro non esiste nell’ordinamento processualpenalistico ed ora neppure in quello processualcivilistico, come dimostra l’attuale formulazione dell’art. 517 c.p.c., come modificato dalla L. n. 52 del 2006, art. 5.

Nella sua formulazione originaria l’art. 517 c.p.c. disponeva che il pignoramento fosse eseguito, purchè ciò non pregiudicasse l’interesse del creditore, preferibilmente sulle cose indicate dal debitore.

Oggi, a seguito della predetta novella, la norma prevede invece che l’ufficiale giudiziario apprenda le cose che ritiene di più facile e pronta liquidazione, senza alcuna considerazione per indicazioni o preferenze segnalategli dal debitore esecutato.

2.4 – In conclusione, i ricorsi di R.R. e R. R. sono da rigettarsi.

Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso del V., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.

Rigetta i ricorsi di R.R. e Ru.Ro., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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