Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2013) 31-10-2013, n. 44341

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 18/12/2012, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del Tribunale di Palmi del 22/12/2011, rideterminava la pena inflitta a B.M., in ragione della scelta del rito, in anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, per il reato a lui ascritto di cui all’art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 con riferimento all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e art. 99 c.p..

1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine al reato allo stesso ascritto.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:

2.1. violazione ed erronea applicazione della legge penale nonchè mancanza ed illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) in relazione agli artt. 192 e 533 c.p.p. e artt. 629, 393 e 610 c.p. per non essere stato riqualificato il delitto contestato in quello di cui all’art. 393 c.p. con declaratoria di non doversi procedere per mancanza di querela ovvero come mero tentativo di violenza privata ed in subordine di tentata estorsione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per essere manifestamente infondato il motivo dedotto. Specificamente il motivo risulta proposto in modo del tutto generico, in quanto alla mera descrizione dei fatti, segue una generica critica alla qualificazione giuridica degli stessi, quale ritenuta dai giudici di merito.

Viceversa la Corte territoriale, con diffusa motivazione priva di contraddittorietà o manifeste illogicità, ha evidenziato come le risultanze processuali analiticamente esaminate, unite a considerazioni logiche, escludano il ruolo di estraneità del ricorrente ai fatti contestati, essendo invece risultato che lo stesso era pienamente consapevole delle ragioni del viaggio, avendo posto in essere la condotta incriminata in concorso con il D. e l’ O.. Ed anche in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, la motivazione, tenuto anche conto dell’estrema genericità delle censure proposte, risulta pienamente esaustiva, avendo la Corte territoriale, con argomentazioni puntuali in fatto e corrette in diritto, evidenziato come il fatto fosse stato correttamente inquadrato nell’ambito del delitto di estorsione consumata, dovendosi escludere le meno gravi ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di violenza privata. Si è, al riguardo, fatto riferimento all’esistenza di una pretesa illegittima avanzata per mezzo di una minaccia posta in essere da tre, tra le quali l’attuale ricorrente, persone che irrompono nella casa della persona offesa rimarcando la provenienza dalla Calabria ed evocando implicitamente contesti di criminalità organizzata e si è esclusa la configurabilità della violenza privata, delitto che presuppone l’assenza del danno.

Con specifico riferimento, poi, alla richiesta di derubricazione del reato nella forma del tentativo, nella sentenza impugnata viene dato atto che dalle intercettazioni era emerso che la persona offesa acconsentì ad aumentare il canone, come era stato richiesto dall’ O., corrispondendolo allo stesso e promettendo il rilascio dell’appartamento nel giro di pochi giorni.

4. Quanto ora detto comporta l’inammissibilità dell’impugnazione per manifesta infondatezza dei motivi proposti. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2013

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