Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-09-2012, n. 15282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 8141/06, depositata il 13 febbraio 2007, accoglieva in parte l’appello proposto da D.B.G., P.A., F.M. e D.N.F. nei confronti di xxx spa in ordine alla sentenza emessa dal Tribunale di Benevento il 6 ottobre 2004 (che aveva rigettato la domanda dei lavoratori), dichiarando nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato, ed esistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato:

per il D.B. dal 20 ottobre 2000;

per P.A. dal 20 ottobre 2000;

per F.M. dal 5 novembre 1999;

per la D.N. dal 5 novembre 1999.

Condannava xxx a corrispondere a ciascun appellante le retribuzioni spettanti in relazione alle mansioni di addetto al recapito – area operativa, con decorrenza dalla data di notifica del ricorso di primo grado, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e interessi legali dalla maturazione di ciascun credito fino al saldo.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre xxx spa, prospettando tre motivi di ricorso assistiti dai prescritti quesiti di diritto.

3. Resistono con controricorso i lavoratori.

4. Tra D.B., P., F. e xxx spa, sono intervenuti distinti verbali di conciliazione, in sede sindacale, rispettivamente in data 31 ottobre 2008, 9 febbraio 2009, 30 ottobre 2008, depositati agli atti.

Motivi della decisione

Motivazione semplificata.

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti di D.B.G., P.A. e F.M..

Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

I suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. n. 25278 del 2006, Cass. n. 16341 del 2009).

2. Devono, quindi, essere esaminati i motivi di ricorso con riguardo alla statuizione della sentenza d’appello riguardante D.N. F..

3. La Corte d’Appello riteneva non essere intervenuto mutuo consenso alla risoluzione del contratto ed illegittimo il termine apposto per esigenze eccezionali conseguenti alla fase della ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo equilibrio sul territorio delle risorse umane, congiuntamente a necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie, in quanto il contratto era stato stipulato dopo il 30 aprile 1998. Nè della necessità di sostituire i lavoratori in ferie la società aveva dato alcuna prova e non poteva farsi ricorso al fatto notorio dal momento che le assunzioni erano intervenute in periodo dell’anno (ottobre novembre) in cui il notorio porta ad escludere sostituzioni per ferie.

4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, nonchè degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001, in connessione con l’art. 1362 c.c., e segg..

4.1. I quesiti di diritto articolati in merito sono stati così specificati.

Se erroneamente il giudice di appello avrebbe individuato nel 30 aprile 1998 la data di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, in quanto lo stesso non prevedeva alcun termine finale, nè poteva applicarsi allo stesso il termine del contratto collettivo di cui costituiva integrazione.

Se detto accordo andava interpretato tenendo conto del significato letterale delle espressioni nello stesso utilizzate e del comportamento complessivo delle parti tenuto anche in epoca successivo, così assumendo rilievo gli accordi c.d. attuativi, successivi, circa il carattere meramente ricognitivo delle esigenze legittimanti i contratti a termine senza porre nuovi limiti temporali.

Se i verbali intervenuti dopo il 25 settembre 1997 e sino al 118 gennaio 2001, non avevano natura negoziale ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale e della necessità di procedere o meno a stipulare nuovi contratti a termine.

Se i termini individuati negli accordi successivi a quello del 25 settembre 1997 non si riferivano alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti ma alla durata delle assunzioni.

Se la posizione giuridica attiva affermata in giudizio meritevole di tutela possa definirsi "diritto quesito" e quindi indisponibile da parte degli agenti contrattuali anche qualora l’accertamento preliminare della sua esistenza non sia stata ancora oggetto di verifica giudiziale per il tramite di sentenza passata in giudicato.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito alla fonte di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare, alla data ultima del 30 aprile 1998, il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, atteso che dal corpo della motivazione non sarebbe dato comprendere in forza di quale ragionamento logico o di quale percorso argomentativo la Corte d’Appello sia pervenuta alla decisione in esame.

5.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.

Il D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, convertito in L. 28 novembre 1996, n. 608, prevede che le assunzioni a tempo determinato effettuate dall’ente poste nel periodo compreso dal 26 novembre 1994 al 30 giugno 1997 decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto e non possono quindi dare luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato (v. Cass., n. 13515 del 2001, n. 668 del 2002, n. 2615 del 2002).

Tale norma eccezionale (che, giustificata da esigenze peculiari nella fase di transizione tra il regime pubblicistico e il regime privatistico, ha superato il vaglio di costituzionalità, v. Corte Cost. n. 419 del 2000), esprime con chiarezza l’intento di rendere temporaneamente inoperanti, a tutti i contratti conclusi nel determinato arco di tempo, le disposizioni della L. n. 230 del 1962 e successive modifiche (v. Cass. 2615 del 2002, cit.).

Per i contratti successivi al detto periodo ed anteriori al CCNL del 11 gennaio 2001 (nonchè al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 348 del 2001) vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla scia di Cass., S.U., n. 4588 del 2006, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine (v. fra le altre Cass. n. 15981 del 2009, n. 21063 del 2008).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre, Cass. n. 18383 del 2006, n. 7745 del 2005, n. 2866 del 2004), per cui, come ripetutamente affermato da questa Corte, deve ritenersi che in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 " (v., fra le altre, Cass., n. 20608 del 2007).

Peraltro, tale limite temporale (del 30 aprile 1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 CCNL 1994 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" (per i quali v. fra le altre Cass., n. 4933 del 2007, n. 6204 del 2008, n. 8122 del 2008), mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27 aprile 1998, per i contratti in scadenza al 30 aprile 1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di ristrutturazione (v. fra le altre Cass. n. 19696 del 2007).

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di detti principi, con congrua motivazione, tenuto conto della data di stipula del contratto a termine, in questione, delle ragioni dello stesso e della mancanza di prova circa l’esigenza di sostituire dipendenti in ferie, non desumibile, in ragione dell’arco temporale interessato (ottobre novembre), dal ricorso al c.d. fatto notorio.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 c.c..

Erroneamente la Corte d’Appello avrebbe condannato la società a pagare le retribuzioni dalla data della notifica del ricorso di primo grado, mentre il diritto alle retribuzioni sussisterebbe solo dalla data di riammissione in servizio a meno che lo stesso non abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 c.c., e segg..

6.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Correttamente la Corte d’Appello ha riconosciuto il diritto alle retribuzioni dalla costituzione in mora del datore di lavoro e ha individuato tale circostanza nella notifica del ricorso di primo grado, mancando atti precedenti aventi tale significato giuridico.

Ed infatti, il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, a condizione che il datore stesso sia stato posto in una condizione di "mora accipiendi", senza, peraltro, che si configuri l’automatica equivalenza del risarcimento ai compensi retributivi perduti, poichè tale automatismo è da escludersi ove si accerti che il danno del lavoratore (derivante dalla perdita della retribuzione) si è ridotto in misura corrispondente ad altri compensi percepiti (c.d. "aliunde perceptum") per prestazioni lavorative svolte – nel periodo considerato – presso altri datori di lavoro (Cass., n. 4677 del 2006).

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti di D.B.G., P.A. e F.M., compensando tra queste parti e xxx spa le spese del giudizio. Il ricorso deve essere rigettato nei confronti di D.N.F., con la condanna della ricorrente xxx spa al pagamento delle spese di giudizio in favore della D.N., come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti di D. B.G., P.A. e F.M. compensando tra queste parti e xxx spa le spese del giudizio. Rigetta il ricorso proposto da xxx nei confronti di D.N. F. e condanna xxx spa al pagamento in favore di D.N.F. delle spese del presente giudizio che liquida in euro cinquanta per esborsi e euro tremila per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012

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