Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-10-2013) 31-10-2013, n. 44335

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza 27.2.12 la Corte d’Appello di Ancona, in accoglimento degli appelli proposti dal PG presso la stessa Corte territoriale e dalla parte civile C.G., in riforma della pronuncia assolutoria emessa in prime cure il 24.2.10 dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di D.M.G., Ca.Lu. e P.M. (il primo e il secondo imputati di estorsioni continuate consumate e d’una estorsione tentata, il primo e il terzo imputati di usura continuata), dichiarava non doversi procedere a carico di costoro in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perchè, esclusa l’aggravante contestata al capo b), estinti per prescrizione.

Il C. ricorre contro la sentenza, di cui chiede l’annullamento per omessa pronuncia sulle pur richieste e dovute statuizioni civili, visto che la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti (ancorchè coperti da prescrizione) i fatti oggetto di imputazione.

La difesa del D.M. ha depositato memoria con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

In caso di appello della parte civile trova applicazione non già l’art. 578 c.p.p., bensì l’art. 576 c.p.p., che in virtù del principio stabilito dal noto arret costituito da Cass. S.U. n. 25083 dell’11.7.2006, dep. 19.7.2006, rv. 233918, Negri (seguito da conforme giurisprudenza di questa S.C.: v. Cass. Sez. 3, n. 17846 del 19.3.2009, dep. 28.4.2009, rv. 243761, Carli; cfr., più di recente, Cass. Sez. 6, n. 9081 del 21.2.13, dep. 25.2.13, rv. 255054, Colucci e altro), consente che il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, su impugnazione proposta dalla parte civile contro la sentenza di assoluzione pronunciata in prime cure, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto, contrariamente a quanto avviene, invece, nell’ottica dell’art. 578 c.p.p..

In altre parole, gli artt. 576 e 578 c.p.p. disciplinano situazioni processuali diversificate, mirando l’art. 578 c.p.p., nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capi della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l’art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento e/o restituzione, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto.

L’art. 578 c.p.p. costituisce una deroga al principio della devoluzione, stabilendo che la pronunzia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, intervenuta dopo una prima condanna, non comporta effetti automatici sui capi civili della decisione impugnata (salvo stabilire se questi effetti debbano poi essere di caducazione o di conferma). Simile pronunzia di estinzione non esenta, invece, il giudice dell’impugnazione dal prendere in esame a questi fini il gravame.

La disposizione non rappresenta l’unica eccezione al principio per cui il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga ad una dichiarazione di penale responsabilità: mentre il vigente codice di rito esclude che possa essere rivisto l’accertamento penale in mancanza di una impugnazione da parte del PM, lo stesso codice sottolinea all’art. 576 come, per effetto dell’impugnazione della sola parte civile, si possa rinnovare l’accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per illecito aquiliano e, così, ottenere una diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per gli interessi civili. In sintesi, la normativa processuale penale vigente ha scelto l’autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che l’impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice penale dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell’autore dell’illecito civile, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, addebitandolo alla responsabilità del soggetto prosciolto.

L’art. 578 c.p.p. è, invece, inapplicabile al caso in esame, nel senso che il giudice investito dell’impugnazione proposta dalla parte civile contro una sentenza di assoluzione ripete per intero le proprie attribuzioni dall’art. 576 c.p.p..

Per la sussistenza di tali attribuzioni è irrilevante un’eventuale simultanea impugnazione ai fini penali (pur avvenuta nel caso di specie, atteso che l’assoluzione emessa in prime cure è stata appellata anche dal PG territoriale), talchè una declaratoria di sopravvenuta prescrizione, esito di questa simultanea impugnazione, non influisce sulla necessità di pronunciarsi sulla domanda civile.

Dunque, il giudice dell’impugnazione, adito ai sensi dell’art. 576 c.p.p., ha – nei limiti del devoluto – gli stessi poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare.

Se si convince che l’imputato non doveva essere assolto, ben può affermarne la responsabilità ai soli effetti civili e (come indirettamente conferma l’art. 622 c.p.p.) condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente – ora per allora – alla condanna di cui all’art. 538 c.p.p., comma 1, che non venne pronunziata per errore.

Ma ciò vale – proprio perchè il giudice dell’impugnazione esercita gli stessi poteri che avrebbe dovuto esercitare quello di prime cure – soltanto in ipotesi di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, non anche quando la prescrizione si sarebbe dovuta pronunziare fin dal primo grado in luogo della formula assolutoria:

in quest’ultima evenienza il giudice dell’impugnazione, sebbene adito ai sensi dell’art. 576 c.p.p., non può provvedere agli effetti civili a causa del disposto dell’art. 538 c.p.p., comma 1.

E’ quanto accaduto nella fattispecie: dalla sentenza impugnata emerge che la prescrizione di tutti i reati ascritti al D.M., al Ca. e al P. è maturata anteriormente alla pronuncia di prime cure.

Ciò vale anche per la tentata estorsione (risalente ad epoca compresa fra il (OMISSIS)) di cui al capo C) e per l’estorsione consumata (risalente al (OMISSIS)) rubricata sub B):

infatti, avendo la Corte territoriale escluso in entrambi i casi l’aggravante delle più persone riunite, la prescrizione di tali reati si è compiuta, ai sensi del nuovo regime introdotto dalla L. n. 251 del 2005 (che nel caso di quella consumata e non aggravata fissa il termine massimo di prescrizione in anni 12 e mesi 6) ben prima della sentenza del Tribunale, emessa il 24.2.10.

Ne discende che, nel caso in oggetto, la Corte territoriale non poteva pronunciarsi sugli interessi civili, di guisa che la sentenza impugnata non merita la censura rivoltale.

2- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Ne consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *