Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-10-2013) 28-02-2014, n. 9884

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con il ministero del difensore P.A. impugna per cassazione l’indicata sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, che – in parziale riforma della decisione del Tribunale di Lanciano – ha ridotto, in concorso delle già riconosciute attenuanti generiche e dell’attenuante del fatto lieve (art. 73, comma 5, L.S.), a otto mesi di reclusione ed Euro 2.000 di multa la pena inflittagli per il reato di illecita coltivazione di sette piante di marijuana detenute per l’essiccazione in un locale in sua disponibilità.
Nel confermare in punto di responsabilità ex art. 73 L.S. la sentenza di primo grado la Corte di Appello, mutuando valutazioni già espresse dal Tribunale su profili di censura rinnovati dall’imputato con l’atto di appello, ha evidenziato – da un lato – la legittimità della perquisizione domiciliare eseguita a carico del P., siccome reso ritualmente edotto della facoltà di farsi assistere da un difensore (facoltà di cui non si è avvalso) e l’utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale di p.g. operante, limitatosi a riferire circostanze frutto della sua personale attività conoscitiva e non quanto appreso dall’imputato nel corso delle operazioni investigative. Da un altro lato la Corte aquilana ha respinto la tesi difensiva incentrata sulla inapprezzabilità penale del fatto, trattandosi di coltivazione domestica di marijuana per il personale consumo del prevenuto, osservando come le Sezioni Unite di questa S.C. abbiano chiarito che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (S.U. 24.4.2008 n. 28605, Di Salvia, rv. 239920).
2. Con l’odierno ricorso si denunciano i vizi di violazione di legge e difetto e illogicità della motivazione di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione degli artt. 178 e 191 c.p.p. e art. 114 disp. att. c.p.p. e nullità della sentenza del Tribunale e della susseguente conforme sentenza di appello.
All’atto della perquisizione domiciliare eseguita nei confronti dell’imputato la polizia giudiziaria non lo ha chiaramente informato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
L’avviso previsto dall’art. 114 disp. att. c.p.p. deve essere esplicito ed erroneamente il Tribunale prima (con ordinanza reiettiva di specifica eccezione di inutilizzabilità della difesa e con la motivazione della prima sentenza) e la Corte di Appello poi (disattendendo la rinnovata censura difensiva) hanno ritenuto sufficiente la generica notazione riportata nel verbale di perquisizione (allegato al ricorso) secondo cui il P. era stato "reso edotto della facoltà di legge cui espressamente rinunciava". E’ stato così vanificato il diritto di difesa dell’imputato e la perquisizione deve considerarsi nulla e inutilizzabile a fini probatori.
2.2. Violazione degli artt. 62, 63, 191 e 350 c.p.p. e inutilizzabilità della deposizione testimoniale del maresciallo M.M., avendo costui riferito fatti appresi direttamente dall’imputato. Non è vero che i giudici di merito abbiano tenuto conto dei soli fatti oggetto della diretta attività del sottufficiale, atteso che gli sviluppi investigativi hanno preso le mosse dalle non acquisibili dichiarazioni del P., rivestendo costui la qualità di persona indagata. Erroneamente, per tanto, la Corte di Appello non ha ritenuto applicabile il disposto dell’art. 350 c.p.p., commi 6 e 7 (inutilizzabilità di notizie e indicazioni fornite dall’indagato senza l’assistenza di un difensore).
2.3. Erronea applicazione dell’art. 73 L.S. e difetto di motivazione.
La sentenza impugnata ha omesso di dare risposta al rilievo enunciato con l’appello avverso la sentenza del Tribunale, con cui si rimarcava come non sia risultata in alcun modo provata la destinazione alla cessione ("spaccio") della sostanza stupefacente in possesso dell’imputato.
2.4. Violazione dell’art. 49 c.p. e artt. 26, 28 e 75 L.S..
La coltivazione di sostanze stupefacenti costituisce reato soltanto in caso di coltivazione tecnico-agraria o imprenditoriale e non – come nella vicenda riguardante il ricorrente – quando la coltivazione rivesta carattere domestico e sia dettata da un uso personale della sostanza. In ogni caso si è in presenza della coltivazione di sole sette piante di cannabis dotate di insufficiente principio attivo e prive di concreta offensività.
3. Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza dei dedotti motivi di doglianza.
3.1. I rilievi formulati con il primo motivo di ricorso in punto di illegittimità della perquisizione domiciliare, all’esito della quale sono state sequestrate le sette piante di canapa poste ad essiccare dall’imputato, non hanno pregio.
L’erroneità dell’assunto enunciato nel ricorso, per altro già sottolineato dalle due sentenze di merito, richiede una duplice premessa. Innanzitutto l’eventuale illegittimità di un atto di perquisizione eseguito dalla p.g. non comporta effetti invalidanti sul successivo sequestro del corpo di reato o delle cose pertinenti al reato, che costituisce atto dovuto, ai sensi dell’art. 253 c.p.p., comma 1, per l’A.G. procedente (Sez. 6, 23.6.2010 n. 37800, xxx, rv. 248685). In secondo luogo l’avvertimento del diritto all’assistenza del difensore rivolto dalla p.g. all’indagato per compiere gli atti previsti dall’art. 356 c.p.p., come puntualizzato dall’art. 114 disp. att. c.p.p., non richiede formule sacramentali, purchè esso si riveli idoneo al raggiungimento dello scopo (Sez. 3, 17.1.2012 n. 4945, Balestra, rv. 252034). Scopo che ne riguardi del P. è pienamente raggiunto, come osserva la sentenza di appello, con l’avviso al prevenuto delle facoltà riconosciutegli dalla legge (facoltà consistenti, per altro, nella sola eventuale assistenza di un difensore). Tutto ciò premesso, deve constatarsi che nel caso di specie neppure vi sarebbe stata necessità di formulare il ridetto avvertimento all’imputato, poichè la p.g. ha proceduto alla perquisizione domiciliare in via d’urgenza ai sensi dell’art. 103 L.S. (come si evince, del resto, dallo stesso verbale di perquisizione allegato al ricorso, specificamente intestato "verbale di perquisizione locale ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103"). Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, per gli atti di ispezione e perquisizione della p.g. previsti dal citato art. 103 L.S. non è applicabile il disposto dell’art. 356 c.p.p. sull’assistenza di un difensore, quando quelle attività siano state svolte, per quel che evidenzia la più analitica sentenza del Tribunale di Lanciano, nel quadro di finalità preventive prima dell’acquisizione della notitia criminis. In vero i controlli e le ispezioni disciplinati dall’art. 103 L.S. in materia di stupefacenti si differenziano, per la loro peculiare funzione preventiva (prima che repressiva), dalle perquisizioni indicate dall’art. 352 c.p.p., che presuppongono sempre la commissione di un reato o la sussistenza di una notitia criminis determinata (cfr.: Sez. 6, 23.10.1992 n. 11908, xxx, rv. 192916-192917; Sez. 4,28.9.2006 n. 2517/07, xxx, rv. 235888).
3.2. Infondato è il secondo motivo di ricorso sulla pretesa inutilizzabilità della testimonianza dell’ufficiale di p.g.
M.; motivo cui hanno già dato adeguata e corretta risposta le due conformi decisioni di merito.
La Corte di Appello, con deduzione agevolmente controllabile attraverso la lettura della prima decisione di merito, ha rilevato che il Tribunale ha valorizzato non le dichiarazioni del testimone su evenienze riferitegli (tra l’altro spontaneamente dall’imputato), ma le sole dichiarazioni sui dati di fatto divenuti oggetto dei suoi personali accertamenti, ivi inclusa la sicura disponibilità da parte dell’imputato (munito delle chiavi di ingresso) dell’appartamento e dell’annesso ripostiglio in cui sono state rivenute e sequestrate le piante di marijuana. E’ appena il caso di aggiungere, del resto, che il divieto di utilizzare in dibattimento le dichiarazioni spontanee dell’indagato non concerne i casi in cui emergano fatti storicamente rilevanti e oggettivamente descrivibili avvenuti alla presenza di ufficiali di p.g.. Fatti che ben possono essere ripercorsi dagli operanti nel contraddittorio dibattimentale con conseguente utilizzazione dei risultati e delle inferenze tratti dai fatti accertati ed esposti dall’ufficiale di p.g. assunto come testimone (v.: Sez. 4, 24.9.2008 n. 41040, xxx, rv. 241367; Sez. 5, 1.12.2011 n. 7172/12, xxx, rv. 251947). La decisione del Tribunale, richiamata sul punto dalla Corte di Appello, congruamente rileva, d’altro canto, come sia stato proprio il ricorrente a confermare di aver coltivato la pianta di canapa le cui radici erano state rinvenute nel fondo paterno e altresì a condurre il M. e i suoi colleghi presso il ripostiglio ove erano tenute ad essiccare le sette piante cadute in sequestro.
3.3. Destituiti di fondamento sono, infine, gli ultimi due connessi motivi di ricorso sulla sussistenza (configurabilità) della contestata fattispecie criminosa ex art. 73 L.S. e (in subordine) della concreta inoffensività della condotta dell’imputato.
L’accusa mossa al ricorrente è stata quella di coltivazione non autorizzata delle sette piante di canapa indiana e non già (o non solo) quella di detenzione dello stupefacente per finalità di spaccio. Finalità che sarebbe, del resto, non dirimente ai fini della sussistenza dello specifico reato di coltivazione, come ha precisato la decisione delle Sezioni Unite di questa S.C. evocata dalla sentenza di appello (S.U. 24.4.2008 n. 28605, Di Salvia, rv.
239920; decisione che, come già detto, ritiene integrata l’ipotesi di reato anche quando la destinazione del prodotto della coltivazione illecita sarebbe destinata all’esclusivo consumo personale dell’imputato). Quanto all’efficacia drogante del prodotto, la sentenza del Tribunale riporta gli esiti dell’indagine tecnica svolta nel corso delle indagini preliminari, alla cui stregua le foglie ricavate dalle piante essiccate hanno un peso di 320 grammi e sono connotate da un titolo di thc del 10,92% corrispondente a 35 grammi di principio attivo puro.
Come puntualizzato – sulla scia dell’indirizzo ermeneutico fissato dalla citata decisione delle Sezioni Unite – da recente decisione di questa S.C., la punibilità della coltivazione di sostanze droganti, conforme – merita osservare – alla normativa comunitaria (decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio U.E. 25.10.2004 in tema di norme minime sugli elementi costituitivi dei reati e sulle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti), si correla, quale attività potenzialmente diffusiva del consumo di droga, all’anticipata sanzionabilità della condotta antigiuridica, punendosi con la previsione normativa anche l’inizio della lavorazione a cominciare dalla stadio in cui si possa parlare appunto di coltivazione e di attività seriamente orientata a portarla a compimento. Di tal che l’offensività della condotta di coltivazione consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, non rilevando la quantità del principio attivo presente nel vegetale al momento del sequestro, ma la sua conformità al tipo botanico e la concreta idoneità delle piante a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente (Sez. 6, 15.3.2013 n. 22459, xxxi, rv.
255732). Evenienze ben verificatesi nel caso di specie a fronte del già avvenuto "raccolto" delle infiorescenze (foglie) delle sette piante abusivamente coltivate dal ricorrente e della loro efficacia drogante (come emerso dalle menzionate analisi chimiche).
Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2014

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