Cass. civ. Sez. V, Sent., 12-09-2012, n. 15242

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza n. 147/04/06, depositata il 9.10.2006, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva il ricorso per revocazione della sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 149/04/04 che aveva accolto l’appello dell’ufficio, riformando la sentenza di primo grado, ritenendo la legittimità dell’avviso di accertamento Irpeg, Ilor e tributo straordinario di solidarietà, determinando un maggior reddito d’impresa per l’anno 1994 in L. 1.281.004.000 con l’imposizione correlata ai fini Irpeg di L. 461.161.000, Ilor di L. 207.523.000 e tributo straordinario di L. 12.810.000.

La revocazione della sentenza era stata pronunciata non avendo l’Ufficio documentato l’avvenuta notifica della rendita catastale e quindi la relativa conoscenza da parte del contribuente, ritenendo legittima la produzione di documenti con i quali l’UTE ha attribuito la rendita per i fabbricati (OMISSIS).

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, accoglieva il ricorso nella parte in cui, invece, la CTR aveva giudicato legittimo l’operato dell’ufficio in relazione al maggior valore attribuito alle rimanenze finali dei fabbricati (OMISSIS).

L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo con un unico motivo, violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 3, art. 325 e 326 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4 rilevando la tardività dell’impugnazione per revocazione, ex art. 395 c.p.c., n. 3, avvenuta oltre 30 giorni dalla data dell’avvenuta scoperta dei documenti medesimi, ritenendo che l’asserita impossibilità di produrre il documento decisivo fosse ascrivibile a mera negligenza del soccombente, potendo essere facilmente reperito.

La società intimata si è costituita nel giudizio di legittimità con controricorso, presentando anche memoria.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 12 luglio 2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

In ordine logico vanno esaminate prioritariamente le questioni processuali sollevate dalla società intimata nella memoria.

Si deduce, con la prima e la quarta eccezione, l’inammissibilità del ricorso per avere l’Amministrazione formulato, sotto un unico motivo di ricorso, quesiti multipli in violazione dell’art. 366 c.p.c. e, comunque, la generica formulazione dei quesiti di diritto. Tali rilievi vanno entrambi disattesi.

I motivi cumulativi che deducono vizi diversi sono, in linea generale, inammissibili per la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, ove facciano riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili diversi e tra loro incompatibili.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).

Deve, peraltro, ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione in cui si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi diversi , qualora lo stesso si concluda, come nel caso di specie, con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali riferito al singolo motivo dedotto. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7770 del 31/03/2009). I quesiti formulati, inoltre, disattendendo la censura di genericità, sintetizzano le ragioni illustrate nel motivo, così da consentire alla Supremo collegio di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regola iuris che sia tale da trovare applicazioni ulteriori al di là di del caso sottoposto all’esame del giudice che ha emesso la pronuncia impugnata.

Con la seconda eccezione si lamenta che sia stata dedotta sotto il profilo della violazione di legge, una questione facti che avrebbe dovuto, eventualmente, essere censurata sotto il profilo del difetto di motivazione, essendo attinente all’erronea ricognizione di un fatto (ovvero l’essere stato o meno superato il termine di trenta giorni fra la scoperta del documento e la proposizione del ricorso in revocazione).

L’eccezione è assorbita dall’errore generalizzato di entrambe le parti che hanno ritenuto applicabile al giudizio di revocazione delle sentenze tributarie il termine di gg. 30 applicabile per il giudizio ordinario trovando, invece, applicazione, al giudizio tributario, in forza del principio generale enunciato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, capoverso il termine di 60 gg. dalla asserita scoperta dei documenti, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, in relazione al quale il ricorso deve ritenersi tempestivo, avuto riguardo alla prospettazione delle parti.

Tale rilievo è assorbente anche del dedotto vizio di autosufficienza, formulato in relazione alla mancata indicazione e trasposizione dei documenti su cui l’Ufficio fonda il motivo di ricorso.

E’, invece, fondato, il secondo motivo formulato dall’Agenzia.

L’impugnazione per revocazione correlata, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 3, al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, entro sessanta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l’onere della prova dell’osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell’ammissibilità dell’impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in ricorso, a pena d’inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonchè del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2287 del 04/02/2005).

Il termine per l’impugnazione decorre dal giorno in cui la parte abbia avuto notizia dell’esistenza del documento assunto come decisivo, e non già dalla data di materiale apprensione dello stesso documento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9369 del 21/04/2006).

Nel caso di specie la società ha dato atto nel ricorso di aver acquisito il documento in data 29 marzo 2006 ed è, quindi, tempestivo il ricorso proposto il 12 maggio 2006.

Il ricorso è, tuttavia, inammissibile per la mancanza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51 che prevede "Nel caso di revocazione per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6 il termire di sessanta giorni decorre da giorno in cui….è stato recuperato il documento".

L’art. 395 c.p.c., n. 3, applicabile in forza del rinvio di cui all’art. 51 cit. anche al giudizio tributario, prevede l’impossibilità, non dovuta a colpa del soccombente, di produrre un documento decisivo (Sez. 3, Sentenza n. 9369 del 21/04/2006).

La società ricorrente ha dichiarato di aver avuto conoscenza della rendita attraverso il certificato acquisito dopo la pubblicazione della sentenza.

Non può ravvisarsi una causa di forza maggiore allorchè la parte avrebbe potuto accertare l’esistenza del documento nel caso, come quello di specie, di situazione nota al contribuente che aveva proposto, per il fabbricato in questione, una riduzione della rendita catastale, divenuta definitiva per decorrenza dei termini di cui al D.M. n. 701 del 1994, art. 1, comma 2.

Il contribuente, peraltro, non poteva ignorare la riduzione della rendita catastale, in considerazione della circostanza che la variazione di classamento è stata da lui proposta e che nei 12 mesi successivi alla data di presentazione della dichiarazione d’ufficio del territorio non ha provveduto a determinare la rendita catastale definitiva.

Deve, quindi, ritenersi inammissibile la revocazione della sentenza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 51 allorchè il tardivo recupero del documento sia ascrivibile a mera negligenza della parte ravvisabile qualora il documento poteva essere acquisito tempestivamente con l’ordinaria diligenza, come nel caso, ricorrente nella fattispecie, di certificato acquisibile a semplice richiesta presso un ufficio pubblico.

Va, conseguentemente cassata senza rinvio la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., va dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione.

Le spese del giudizio di legittimità, compensate quelle del grado di merito, vanno poste a carico della società originaria ricorrente, liquidate come dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ex art. 384 c.p.c., dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società originaria ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in Euro 6.000,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 12 luglio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *