Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-10-2013) 16-12-2013, n. 50646

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14.12.2012, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava la richiesta di affidamento ai servizi sociali avanzata da R.I., in espiazione della pena di anni cinque, mesi tre e giorni quindici di reclusione , per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con scadenza il 14.2.2014, mentre gli concedeva la misura della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1, lett. c), per la durata della pena da eseguire, in ragione delle sue condizioni di salute. In particolare il tribunale ripercorreva l’iter detentivo del prevenuto, sottolineando come mentre era in corso il procedimento di sorveglianza per la prosecuzione provvisoria della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, il R. era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare, per reati commessi in epoca precedente al percorso riabilitativo già intrapreso; riferiva dell’evoluzione della malattia che seguì ad un tentativo di suicidio, del ricovero in ospedale, della dimissione e dell’ammissione al regime domiciliare.

Veniva sottolineato altresì che il medesimo era stato ritenuto partecipe di associazione diretta alla diffusione dello stupefacente, risultava aver avuto contatti con i vertici di pericolose compagini associative, con referenti esteri, il che impediva di ammettere il prevenuto all’affidamento ai servizi sociali; veniva quindi disposta la misura della detenzione domiciliare, ma con prescrizioni rigorose anche in ragione del fatto che presso la sua residenza egli ebbe a svolgere l’attività illecita di spaccio.

2. Avverso tale decisione, interponeva ricorso per cassazione la difesa del prevenuto per dedurre travisamento della prova, mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento agli artt. 125 , 273, 275, 299, 649 e 666 c.p.p. e art. 47 O.P.:

veniva fatto presente che l’ordinanza custodiale era stata annullata dalla cassazione sotto il profilo delle esigenze cautelari, non più ravvisabili, avendosi riguardo a fatti del 2009 e valutato il fatto che il R. era passato attraverso la positiva conclusione di un programma terapeutico volto a risolvere problematiche risalenti di tossicomania, circostanza questa che avrebbe dovuto portare il tribunale di sorveglianza ad adottare la misura più liberale che era stata richiesta. Si sarebbe omesso di valutare : 1) che dal 2009 il ricorrente ebbe ad uniformarsi alle prescrizioni a lui imposte, svolse attività lavorativa e curò gli interessi familiari; 2) che era già stato ammesso provvisoriamente dal magistrato di sorveglianza di Roma alla misura dell’affidamento in prova e che l’esito non fu favorevole, solo perchè era stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare; 3) che prima ancora che il tribunale di sorveglianza intervenisse, era stata annullata dalla cassazione l’ordinanza di custodia cautelare e che successivamente il tribunale in sede di rinvio aveva concluso sull’insussistenza di profili cautelari; 4) che il R. aveva portato a termine un programma riabilitativo risalente a quattro anni addietro e che già da tempo era stato sottoposto alla misura dell’affidamento in prova, senza dare adito a rilievi; 5) che i reati pei quali era stata emessa la misura cautelare erano risalenti e precedenti all’intrapresa del percorso rieducativo. Veniva rilevato infine che la valutazione negativa operata dal tribunale non venne effettuata sulla base delle attuali condizioni del soggetto, bensì in base all’osservazione investigativa risalente nel tempo.

3.Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

Le carenza motivazionali che sono state lamentate non sono apprezzabili, avendo operato il tribunale di sorveglianza in applicazione del principio della gradualità del trattamento, più volte affermato da questa Corte, dando ragione della non adeguatezza, rebus sic stantibus, della misura alternativa più ampia che era stata richiesta. Il criterio di gradualità nella concessione di benefici penitenziari, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario e vale particolarmente quando il reato commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere e della verosimile contiguità del condannato con ambienti delinquenziali di elevato livello.

La misura che è stata disposta valorizza le attuali e concrete opportunità di prosecuzione di un processo di restituzione ad un onesto stile di vita dell’interessato, salvaguardando però anche le ragioni di tutela della collettività, che sono state adeguatamente evidenziate nel provvedimento impugnato (v. da ultimo Sez. 1^, 4.2.2011, n. 20551, RV 250231). I giudici a quibus hanno infatti dato conto del complesso iter di esecuzione seguito dal prevenuto, già ammesso alla misura dell’affidamento terapeutico, non contestando affatto i profili positivi valorizzati dalla difesa, ma neppure sottovalutando la portata della misura cautelare sopraggiunta che dava conto dell’operatività del prevenuto su un fronte associativo di spessore, operante in Roma, presso la casa di via Pisana di abitazione dell’interessato, misura che disvelava un materiale investigativo da cui risultava un profilo criminogeno del R. di maggiore portata, rispetto a quello che era stato valutato dal Tribunale al momento in cui, nel 2010, lo ebbe ad ammettere alla misura dell’affidamento in prova la servizio sociale. Il percorso argomentativo dei giudici a quibus è ineccepibile, ben potendo essere valorizzato un compendio disvelatosi solo successivamente all’intervento del Tribunale di sorveglianza, che aveva ammesso l’interessato a misura alternativa di massima apertura; seppure vadano sicuramente valorizzati gli sforzi intrapresi dal ricorrente, non possono essere trascurati i riferimenti alla gravità dei reati commessi o ai precedenti giudiziari emersi in una fase successiva, soprattutto quando siano di così rilevante impatto criminogeno.

La misura adottata, risponde ad una logica di adeguato e graduale reinserimento del prevenuto nel contesto sociale e lavorativo, tenendo conto del suo passato criminale e della conseguente necessità di un trattamento rieducativo che allo stato – mutato rispetto alla precedente pronuncia- tenga conto delle esigenze di prevenzione; nessuna seria censura è avanzabile quanto alla correttezza del percorso argomentativo seguito ,-per nulla viziato da travisamento delle emergenze disponibili; se non a costo di contestare il merito delle scelte operate.

Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2013

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