Corte di Cassazione – Sentenza n. 9690 del 2011 Disboscamento della macchia mediterranea

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza in data 25 novembre 2009, confermava la condanna inflitta a T.A. dal Tribunale di Lecce il 23 settembre 2008 per violazione degli articoli 146 e 181 D.Lv. 42/04 e 734 C.P. in relazione all’esecuzione, in assenza della prescritta autorizzazione, di un intervento di “smacchiamento e taglio di piante di pino di (…) per circa mq 3750″ su area “suscettibile di essere qualificata come boscata”.
Avverso tale decisione il T. proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione contestando, in particolare, la natura di “area boschiva” della zona oggetto dell’intervento trattandosi, ai contrario, di radura non equiparabile a bosco ai sensi dell’articolo 2 decreto_legislativo_227_2001, il quale uguaglia ai boschi le radure e tutte le superfici di estensione inferiore ai 2000 mq che interrompono la continuità del bosco, mentre l’area interessata dall’intervento per cui è processo si sviluppava su una superficie di 4000 mq, come documentato da fotografie satellitari e dal consulente della difesa.
Aggiungeva, inoltre, che i lavori eseguiti consistevano nel diserbo e nella pulizia dell’area, ove erano presenti erbe infestanti e sparsi elementi di “gariga”, estranei alla nozione legislativa di bosco e che la Corte territoriale aveva errato nel calcolare la superficie dell’area medesima.
Precisava, inoltre, che gli alberi tagliati erano in numero esiguo e che, sul punto, la contestazione era generica in quanto il numero effettivo delle piante tagliate non era indicato.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento all’articolo 149 D.Lv. 42/04 in relazione alla L. R. Puglia 12 maggio 1997 n. 15 ed al Decreto del Presidente della Giunta Regionale 4 aprile 2006, rilevando che le opere seguite erano sottratte ai regime autorizzazione ai sensi dell’articolo 149, lettera c) D.Lv. 42/04 in quanto rientranti nel novero delle opere antincendio imposte dalla richiamata normativa regionale e rese ancor più necessaria dal fatto che la zona interessata dai lavori era fortemente antropizzata.
Con un terzo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione in relazione alla contestazione della violazione di cui all’articolo 734 C.P.
Osservava, sul punto, che risultava mancante la prova in ordine alla effettività del danno, la quale non poteva risultare dalla semplice affermazione, contenuta in sentenza, che il taglio della vegetazione aveva alterato il luogo, poiché per la configurazione della contravvenzione è necessaria una lesione significativa della bellezza naturale tale da turbarne il godimento estetico.
Aggiungeva che il rilascio di un’autorizzazione per la realizzazione di alcuni manufatti, che si sarebbero sovrapposti al fronte della pineta, evidenziava l’esistenza di un intervento molto più invasivo ed implicava l’inoffensività in concreto dell’intervento in contestazione.
Con un motivo di ricorso deduceva la violazione dell’articolo 181, comma 1 ter in relazione agli articoli 142, 146 e 181 D.Lv. 42/04, in quanto l’autorizzazione rilasciata successivamente per l’esecuzione di parcheggi, un punto di ristoro ed altri manufatti nell’area dove sarebbe avvenuto il disboscamento implicherebbe, necessariamente, l’esecuzione di lavori di diradamento della vegetazione presente e comporterebbe l’estinzione del reato ai sensi del menzionato articolo 181, comma Iter.
Con un quinto motivo di ricorso denunciava la violazione di legge in riferimento agli articoli 417 C.P.P. e 181, comma 1 quinquies D.Lv. 42/2004, lamentando che la genericità dell’imputazione avrebbe impedito all’imputato di porre in essere quella condotta positiva dalla quale il menzionato articolo 181, comma 1 quinquies fa derivare l’estinzione del reato di cui al primo comma della medesima disposizione.
Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso occorre osservare che l’impugnato provvedimento indica chiaramente che l’area interessata è ricompresa nel PUTT_P, ove è classificata come “ambito territoriale esteso di valore rilevante B” e, conseguentemente soggetta a vincolo paesaggistico.
Come specificato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. III n. 42916, 11 novembre 2009; Sez. III n. 41078, 6 novembre 2007), il Piano Urbanistico Territoriale Tematico della regione Puglia (PUTT/P) è riconducibile alla categoria dei piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e, pertanto, costituisce un intervento di pianificazione a carattere generale efficace su tutto il territorio regionale, non limitato alle aree e ai beni elencati nell’art.82, quinto comma, del DPR. n. 616 del 1997 ovvero alle aree già sottoposte a uno specifico vincolo paesistico.
Nel Titolo I, articolo 2.01, comma 1.2 si individuano come aree di “”valore rilevante B” quelle ove “sussistano condizioni di compresenza di più beni costitutivi con o senza prescrizioni vincolistiche preesistenti”.
Secondo il comma 2 del medesimo articolo, i terreni e gli immobili compresi negli ambiti territoriali estesi di valore eccezionale, rilevante, distinguibile e relativo, sono sottoposti a tutela diretta dal Piano e:
1) non possono essere oggetto di lavori comportanti modificazioni del loro stato fisico o del loro aspetto esteriore che per tali lavori sia stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art.5.01;
2) non possono essere oggetto degli effetti di pianificazione di livello territoriale e di livello comunale senza che per detti piani sia stato rilasciato il parere paesaggistico di cui all’art.5.03;
3) non possono essere oggetto di interventi di rilevanti trasformazione così come definiti nell’art.4.01, senza che per gli stessi sia stata rilasciata la attestazione di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 504.
La collocazione all’interno dell’area interessata dal PUTT/P, pertanto, consentiva di qualificare l’area come sottoposta a vincolo paesaggistico ed assoggettata alla relativa disciplina e, avuto riguardo alla tipologia dell’intervento, come si dirà in seguito, questo non rientrava tra quelli per ” quali, ai sensi dell’articolo 5.2, non è richiesta la preventiva autorizzazione paesaggistica.
La sussistenza del vincolo in base al PUTT/P renderebbe pertanto superflua ogni ulteriore considerazione in ordine alla qualificazione dell’area come boscata o meno, tuttavia, le argomentazioni poste a sostegno del primo motivo di ricorso sono comunque prive di fondamento anche per quanto attiene la qualificazione della zona oggetto dell’intervento come area boscata.
Tale qualificazione è rilevante ai fini della disciplina paesaggistica in quanto rientrante tra i beni soggetti a tutela in base alla legge perché rientranti tra quelli individuati dall’articolo 142, comma primo e, segnatamente, dalla lettera g) che contempla “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227″.
L’articolo 2, commi 6 D.Lv. 227/01 fornisce, a sua volta, una definizione di bosco (terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti) ed assimila al bosco altre aree (fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell’aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d’estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco).
Ciò posto si osserva che il bosco, così come definito, è caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da un’estensione minima, mentre per le radure e le altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le “aree assimilate”, è previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno l’assimilazione.
È poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate nella definizione.
Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l’assenza di vegetazione del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree indicate, non potrebbero interromperlo.
Tale distinzione, peraltro, ha un senso evidente con riferimento alla tutela che la legge intende assicurare ad aree di particolare pregio paesistico che non sarebbe giustificata per superfici estranee, per caratteristiche, ai boschi ed alle foreste.
Date tali premesse, deve osservarsi come, dal provvedimento impugnato, emerga che l’area interessata dall’intervento e sottoposta a sequestro abbia una superficie di 3967 mq e fosse interessata dalla presenza di alberi (pino d’Aleppo) e di vegetazione a macchia.
Tali caratteristiche, oggetto di accertamento in fatto sottratto alla cognizione di questa Corte, sono astrattamente riconducibili alla “vegetazione forestale arborea associata a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo” che caratterizza il bosco così come definito dal D.Lv. 227/01 e, pertanto, anche sotto tale profilo ben poteva ritenersi sussistente il vincolo sull’area medesima che non poteva quindi ascriversi alla nozione di “radura”.
Anche la presenza di “macchia mediterranea”, che il menzionato D.Lv. ricomprende nella nozione di bosco indipendentemente, secondo il dato letterale, dalla presenza della vegetazione forestale arborea di cui si è appena detto, avrebbe caratterizzato l’area come vincolata.
Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, infatti, non spetta certo al proprietario dell’area procedere ad una soggettiva valutazione delle caratteristiche della vegetazione al fine di individuarne la riconducibilità alla definizione di “macchia mediterranea” secondo i riferimenti contenuti nella sentenza di questa Corte (Sez. III n. 1874, 23 gennaio 2007) richiamata dal ricorrente.
Peraltro la ricordata decisione si esprime chiaramente nel senso che la formulazione letterale della definizione fa rientrare nella nozione di bosco “sia la vegetazione arborea, sia la macchia mediterranea come tale, indipendentemente dal suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si dovrebbe più distinguere tra “macchia alta”, di predominanza arborea, e “macchia bassa”, di natura arbustiva aggiungendo di non condividere quella giurisprudenza (Sez. III n. 6011, 14 dicembre 2001 e n. 48118, 4 novembre 2011) che pur avendo meritoriamente distinto “secondo criteri botanici, le nozioni di macchia alta, macchia bassa e macchia rada o “ganga”" ha del tutto ignorato la definizione contenuta nel menzionato D.Lv. 227/01.
La distinzione effettuata appare, pertanto, superata dalla definizione normativa e la decisione che il ricorrente richiama si limita ad osservare, in via del tutto ipotetica, che in base alla distinzione operata dalla sentenza 6011/01 “si potrebbe plausibilmente sostenere che dei tre tipi di macchia individuati solo la gariga, cioè la scarna coltre vegetale dei suoli più poveri, resti estranea alla nozione legislativa di bosco”.
Si tratta, in definitiva, di una indicazione del tutto ipotetica e che comporterebbe, in ogni caso, una verifica della oggettiva consistenza e tipologia di vegetazione.
È appena il caso di aggiungere che anche in questo caso, pur volendo qualificare l’area come “macchia mediterranea”, la presenza di vegetazione (e di alberi di pino, circostanza non contestata dal ricorrente se non per il numero) ne escluderebbe la natura di “radura”.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La difesa richiama l’articolo 149 D.Lv. 42/2004 che espressamente esclude (lettera c)) dagli interventi soggetti ad autorizzazione “il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia “, quest’ultima individuata nella normativa regionale richiamata.
Va osservato, a tale proposito, che questa Corte ha precisato che la valutazione del combinato disposto degli articoli 146 e 149 D.Lv. 42/04 circa la necessità o meno dell’autorizzazione paesaggistica allo scopo di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi dei reato di cui all’articolo 181 del medesimo decreto è di competenza dell’autorità giudiziaria penale e non subisce condizionamenti dall’eventuale difforme opinione dell’autorità amministrativa (Sez. III n. 35401, 24 settembre 2007).
Tale principio, che il Collegio condivide, va senz’altro ribadito rilevando, con riferimento specifico alle ipotesi contemplate dall’articolo 149 D.Lv. 42/04, che, in ogni caso, la valutazione circa la non soggezione dell’intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione della normativa di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo all’autorità amministrativa.
Lo scopo della norma è infatti quello di evitare, per tale tipologia di interventi lo specifico procedimento autorizzatorio normalmente previsto ma è di tutta evidenza che vengono posti dei limiti precisi che tengono conto dell’impatto dei lavori nelle lettere a) (i lavori non devono alterare lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici) e b) (gli interventi non devono comportare l’alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili e deve trattarsi di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio) e della circostanza che i lavori siano previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia nella lettera c).
Nel caso di specie, la tipologia dell’intervento descritto nell’imputazione e consistito nell’eliminazione della vegetazione e degli alberi presenti nell’area sequestrata esclude che detti interventi possano essere qualificati come “opere antincendio” che imponevano comunque, a norma del menzionato articolo 149, una espressa previsione ed una preventiva autorizzazione.
Di tali atti amministrativi non viene fatta menzione in ricorso se non con il mero richiamo a disposizioni normative di carattere generale e ad una delibera della Giunta Regionale della Puglia che riguarda genericamente un piano di prevenzione e lotta agli incendi.
Non vi era, dunque, alcun elemento oggettivo che la Corte territoriale avrebbe potuto validamente considerare per escludere la necessità della preventiva autorizzazione.
La tipologia dell’intervento escludeva anche, come si è accennato in precedenza, che esso potesse rientrare tra le opere indicate dall’articolo 5.2 del PUTT/P che individua gli interventi esentati dall’autorizzazione paesaggistica.
Anche in questo caso, tuttavia, l’esenzione sarebbe stata soggetta ad un controllo da parte dell’autorità amministrativa e non rimessa all’arbitraria decisione del soggetto interessato all’esecuzione dei lavori.
Il comma 2 dei citato articolo stabilisce, infatti, che “il Sindaco rilascia la autorizzazione-concessione edilizia per gli interventi esentati, previa asseverazione del progettista delle opere che attesti la veridicità di quanto descritto nel progetto stesso”.
Va peraltro incidentalmente rilevato come l’assunto difensivo, che indica i lavori come imposti dalla Regione e finalizzati alla prevenzione degli incendi, si ponga in contraddizione con quanto affermato nel quarto motivo di ricorso, dove le opere di disboscamento sono indicate come finalizzate allo sgombero dell’area per la costruzione di un parcheggio ed altre opere successivamente realizzate.
Anche sotto tale profilo, dunque, la decisione impugnata appare, immune da censure.
L’infondatezza del terzo motivo di ricorso è evidente.
Va ricordato, con riferimento al vizio di motivazione, che la consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’articolo 606 C.P.P., dalla Legge 46/2006, Sez. VI n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. VI n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. VI n. 23528, Sez. III n. 12110, 19 marzo 2009).
Ciò premesso, va ricordato che la natura di reato di danno determina, per la configurabilità della contravvenzione di cui all’articolo 734 C.P., la necessità di una effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi protetti.
Tale evento può essere determinato attraverso qualsiasi condotta attiva od omissiva in considerazione della natura di reato a forma libera.
L’alterazione che tale condotta comporta non deve, tuttavia, essere necessariamente grave e irreparabile, non incidendo sulla configurabilità del reato, in tale ultimo caso, la circostanza che l’intervento eseguito consenta il successivo ripristino dello stato dei luoghi preesistente attraverso la rimozione dell’opera o in altro modo.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche precisato che la configurabilità del reato non è esclusa dalla preesistenza di altri interventi, ben potendo un’opera abusiva seguire ad altre e concorrere all’alterazione dell’originaria conformazione dei paesaggio (SS.UU. n. 72, 10 gennaio 1994) sempre che il giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Sez. Ili n.46992, 9 novembre 2004).
Alla luce delle considerazioni appena espresse, si osserva che i giudici dell’appello abbiano compiutamente adempiuto agli obblighi motivazionali loro imposti dando conto della circostanza che l’intervento, oggettivamente considerato, era idoneo a determinare una permanente alterazione dell’area soggetta a speciale protezione in quanto inserita nel PUTT/P.
Non era dunque necessario dimostrare, come preteso in ricorso, che l’alterazione dei luoghi fosse tale da suscitare “determinate percezioni sensoriali negative”, ben potendo la semplice descrizione della consistenza e delle modalità dell’intervento e la indicazione del contesto generale nel quale esso si colloca rendere esaurientemente conto della sussistenza del danno concreto che l’articolo 734 C.P. richiede, tanto più quando la valutazione degli effetti negativi dei lavori eseguiti sia stata in precedenza analizzata nel dettaglio con riferimento al concorrente reato sanzionato dall’articolo 181 D.Lv. 42/40.
Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
Come chiaramente indicato nel provvedimento impugnato, l’intervento di disboscamento è stato eseguito in assenza della preventiva autorizzazione dell’ente preposto alla tutela dei vincolo.
Detta autorizzazione precede, dunque, l’intervento e presuppone una preventiva valutazione dell’incidenza dello stesso sull’assetto paesaggistico.
Deve essere pertanto espressa, non ammette equipollenti e deve avere ad oggetto gli interventi che si intende realizzare.
Eventuali autorizzazioni successive non possono riconoscere implicitamente la compatibilità paesaggistica dell’intervento già eseguito, poiché l’accertamento di compatibilità paesaggistica presuppone uno specifico procedimento amministrativo.
Il comma 1 quater dell’articolo 181 prevede, infatti che il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 1 ter presenti apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi.
L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Si tratta, dunque, di un procedimento autonomamente disciplinato, finalizzato al rilascio dello specifico accertamento della compatibilità paesaggistica e tale accertamento non ammette equipollenti.
Infondato è, infine, anche il quinto motivo di ricorso.
Introdotto dalla “legge delega ambientale” n. 308/04, il comma 1 quinquies dell’articolo 181 prevede una forma di estinzione del reato paesaggistico conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga la condanna.
Come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. III n. 37371, 1 ottobre 2008) trattandosi di causa estintiva di un reato già perfezionato in tutti i suoi elementi essenziali, il relativo onere probatorio incombe all’imputato.
È peraltro evidente che anche lo spontaneo ripristino non può non essere preventivamente comunicato alle competenti autorità amministrative, non solo perché le effettive finalità potrebbero essere equivocate prima del completamento delle opere di ripristino, ma anche perché chi vi provvede ha sicuro interesse alla documentazione certa della spontaneità e tempestività dell’azione riparatoria, considerate le conseguenze favorevoli che, per legge, ne derivano.
Nella fattispecie, il ricorrente non ha fornito alcun elemento atto a suffragare neppure la mera intenzione di un intervento ripristinatorio la cui esecuzione non era certo impedita dalla impossibilità di conoscere il numero esatto di alberi estirpati.
Lo stesso ricorrente smentisce, peraltro, l’effettiva esistenza di tale intenzione laddove individua le opere eseguite come propedeutiche all’esecuzione di altri lavori successivamente autorizzati.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Depositata in Cancelleria il 10.03.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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