Corte di Cassazione – Sentenza n. 4706 del 2010 padroni che non sanno educare gli animali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 19 gennaio 2010, depositata in cancelleria il 13 aprile 2010, la Corte di Appello di Caltanissetta, confermava la sentenza 3 marzo 2009 del Tribunale di Nicosia che aveva dichiarato G.S. , C.G. , F.S. e A.P.F. , responsabili del reato di cui all’art. 659 c.p. condannandoli alla pena di mesi due di arresto ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali.
1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata G.S. , C.G. , F.S. e A.P.F. , quali proprietari di cani, non impedivano che gli strepiti dei loro animali arrecassero disturbo di notte a diverse persone.
1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni delle parti offese che avevano dichiarato di essere state disturbate nel sonno dall’abbaiare dei cani.
2. – Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. V. F., hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione tutti gli imputati chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:
a) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 546 comma primo lett. e) c.p.p., illogica e apparente motivazione, con riferimento all’art. 606 comma primo lett. b) ed e) c.p.p.; il giudice del merito non ha tenuto conto del fatto che non sia emerso dagli atti che i prevenuti abbiano direttamente provocato lo strepito ovvero non lo abbiano impedito. Non è stato precisato in altre parole quale dei cani abbaiasse per primo facendo poi abbaiare tutti gli altri; gli imputati non possono rispondere per i comportamenti tenuti da altri dovendo essere giudicati per quello che singolarmente doveva essere loro ascritto;
b) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della legge penale in relazione all’art. 533 c.p.p., con riferimento all’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p. non essendo stata valutata la colpevolezza degli imputati al di là di ogni ragionevole dubbio;
c) nullità della sentenza per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonché al trattamento sanzionatorio, con riferimento all’art. 606 comma primo lett. b) c.p.p.;
d) nullità della sentenza per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in riferimento al mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena, con riferimento all’art. 606 comma primo lett. b) c.p.p.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.1 – In relazione ai primi due motivi di ricorso deve osservarsi che il giudice di merito ha evidenziato che si trattava di strepiti, quelli dei cani, che potevano essere agevolmente attenuati o senz’altro evitati dai relativi proprietari e che avevano la caratteristica della diffusività stante il fatto che fossero emessi in tempo di notte e il numero elevato di lamentele che si erano avute. Sono state esaustivamente richiamate sul punto le prove resesi disponibili in giudizio quali le numerose dichiarazioni della parti lese.
I ricorrenti, del resto, non solo non hanno confutato quanto addotto dal giudice a fondamento della propria decisione, se non in modo generico e apodittico, ma hanno fatto riferimento a questioni irrilevanti e fattuali (improponibili in questa sede ove è stato avanzato oltretutto ricorso per saltum) quali la circostanza che non fosse certo quale dei cani iniziasse ad abbaiare per primo trascinando con sé tutti gli altri per imitazione, come se la circostanza che poi abbaiassero tutti insieme (i cani erano quanto – meno una decina) non incidesse sull’evento – disturbo e non determinasse la stessa forte intensità del rumore (ragione principale della molestia fastidiosa) e lo strepito non fosse in ogni caso comune.
È evidente che il reato è collegato alla condotta arrecante disturbo a prescindere da chi ne fosse stata la causa iniziale, posto che il comportamento illecito è comune a tutti i proprietari degli animali i quali, per vero, pur consapevoli del fatto che solo uno dei loro cani abbaiava per primo di notte (circostanza peraltro solo assunta perché sprovvista di prova) lasciavano che tutti gli altri, sollecitati dal primo, facessero altrettanto per emulazione. Il ragionamento della Corte di Appello di Caltanissetta, immune da vizi logici e giuridici, al di là di ogni ragionevole dubbio, è da ritenersi quindi esaustivo e sufficiente anche nel punto in cui ha implicitamente rigettato diverse e contrastanti risultanze.
3.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione. La Corte di merito, lungi dal negare apoditticamente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche, ha argomentato il diniego di tali attenuanti e la congruità del trattamento sanzionatorio, da un lato, rilevando l’assenza in atti di un qualsivoglia elemento suscettibile di positiva valutazione a tali fini e, dall’altro lato, la gravità del disturbo arrecato. E poiché la statuizione in ordine all’applicazione o meno delle circostanze attenuanti generiche deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare della Corte territoriale che è privo di vizi logico – giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questo Supremo Collegio e aderente alle norme di legge.
3.4 – Il quarto motivo di ricorso (negatoria del beneficio della sospensione condizionale della pena) è altresì manifestamente privo di fondatezza. Ancorché in modo succinto il diniego del beneficio si profila motivato in modo congruo posto che è stato formulato sotto il profilo prognostico in relazione alla condotta illecita commessa.
4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 500,00 (cinquecento) alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 5.00,00 (cinquecento) ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Depositata in Cancelleria il 09.02.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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