Corte Costituzionale, Sentenza n. 271 del 2011, In tema di indennità per risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a tempo determinato nella regione Calabria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 45 del 26-10-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 44, comma
2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15
(Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario –
collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi
dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8),
promosso dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento vertente tra B.
G. e la Regione Calabria con ordinanza del 14 maggio 2010, iscritta
al n. 408 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno
2011.
Visto l’atto di costituzione di B.G.;
Udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
Udito l’avvocato Rosario Chiriano per B.G.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di lavoro e
previdenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 44, comma 2, della legge della Regione
Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo
ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza
regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge
regionale 4 febbraio 2002, n. 8).
1.1. – Il rimettente premette che nel giudizio principale, con
ricorso depositato in data 19 maggio 2009, la ricorrente, gia’
dipendente della Regione Calabria presso l’Assessorato ai lavori
pubblici, ha dedotto che aveva presentato domanda per la risoluzione
consensuale del rapporto, ai sensi della legge di detta Regione 2
marzo 2005, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo
ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza
regionale per l’anno 2005, art. 3, comma 4, della legge regionale n.
8/2002); che tale normativa era finalizzata a realizzare il
contenimento della spesa pubblica e ad accelerare il processo di
riorganizzazione della amministrazione, consentendo ai dipendenti,
titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato protratto per
almeno due anni, di usufruire, quale incentivo alla risoluzione
consensuale, di «un’indennita’ supplementare pari a otto mensilita’
della retribuzione lorda spettante alla data della predetta
risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e
l’eta’ anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data
di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei
anni» (art. 7 della citata legge regionale); che, in data 26 ottobre
2005, era stato sottoscritto il contratto di risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro tra le parti, nel quale, tra gli emolumenti da
corrispondere alla ricorrente, era stata ricompresa l’indennita’
supplementare di cui al citato art. 7, da calcolare secondo la
predetta disposizione legislativa e le modalita’ applicative di cui
all’art. 11 della delibera della Giunta regionale 30 maggio 2005, n.
532, in base al quale l’indennita’ in questione «si compone di tutti
quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso,
continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli
occasionali (…)»; che la Regione Calabria aveva omesso di computare
il rateo di tredicesima mensilita’ quale componente della
retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione e quindi
come base di calcolo dell’indennita’ supplementare in questione; che,
successivamente, l’art. 44, comma 2, della legge regionale n. 15 del
2008 ha disposto che «l’art. 7, comma 6, della legge regionale 2
marzo 2005, n. 8, deve essere inteso nel senso che la retribuzione
lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, utile ai fini della definizione dell’indennita’ supplementare
prevista dalla medesima legge, e’ quella individuata, per il
personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria
del servizio, all’art. 52, lettera c) del CCNL 1999 e successive
modifiche, con esclusione nella determinazione della citata
indennita’ del rateo di tredicesima mensilita’ (…)»; che, in
applicazione di tale ultima disposizione, la regione ha negato alla
ricorrente le spettanze richieste; che, ad avviso della stessa
ricorrente, alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di
norme di interpretazione autentica, la disposizione di cui al citato
art. 44 della legge regionale n. 15 del 2008 e’ da ritenere
costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 111
Cost., nonche’ dell’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
(CEDU); che, in particolare, la disposizione si pone in contrasto con
i principi di ragionevolezza, certezza del diritto, affidamento,
nonche’ equo processo e parita’ delle parti di cui alla detta
convenzione; che la ricorrente ha chiesto, nel merito, la condanna
dell’amministrazione al pagamento della differenza tra quanto
riscosso a titolo di indennita’ supplementare e quanto spettante in
virtu’ dell’inclusione del rateo di tredicesima mensilita’ nella base
di calcolo della stessa.
Con memoria depositata in data 30 marzo 2010, si e’ costituita
nel giudizio a quo la regione rilevando la infondatezza della pretesa
della ricorrente alla luce della nuova normativa regionale, non
suscettibile di essere sospettata di illegittimita’ costituzionale,
ben potendo il legislatore attribuire efficacia retroattiva ad una
disposizione di legge, per non essere l’irretroattivita’ oggetto di
copertura costituzionale, se non in materia penale.
1.2. – Il rimettente ritiene la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 44, comma 2, della legge della Regione
Calabria n. 15 del 2008 non manifestamente infondata in riferimento
all’art. 3 Cost., con particolare riguardo ai principi di
ragionevolezza e certezza delle situazioni giuridiche, nonche’ di
tutela del legittimo affidamento.
In merito, il giudice a quo precisa che la ricorrente ha
formulato proposta di risoluzione consensuale del rapporto lavorativo
alla luce del richiamato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 e
dei relativi criteri applicativi di cui alla delibera della Giunta
regionale 30 maggio 2005, n. 532.
La citata delibera dispone che «l’indennita’ prevista dalla l.r.
in questione rappresenta un incentivo all’esodo ed ha carattere
aggiuntivo rispetto alla indennita’ di fine rapporto normalmente
spettante al pubblico dipendente (…) e si compone di tutti quegli
elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo,
costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti
a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosita’ delle
mansioni richieste (es. indennita’ di struttura)»; che, in
particolare, il punto 5) del contratto di risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro rinvia in modo espresso alle modalita’ applicative
di cui alla detta delibera della Giunta regionale; che, con la
disposizione censurata, la Regione Calabria e’ intervenuta
rideterminando le modalita’ di calcolo dell’indennita’ supplementare,
escludendo dalla base di calcolo della stessa la tredicesima
mensilita’.
Pertanto, ad avviso del rimettente, nel quadro normativo e
regolamentare previgente, la disposizione di cui al citato art. 7
della legge regionale n. 8 del 2005 sarebbe stata chiara nel senso
del calcolo della indennita’ in questione in riferimento alla
retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione, per tale
intendendosi quella formata da tutti quegli emolumenti aventi
carattere di continuita’ e generalita’, incluso, quindi, anche il
rateo della tredicesima mensilita’.
In particolare, il giudice a quo ricorda che la giurisprudenza
costituzionale ha piu’ volte affermato che il legislatore puo’
adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni
legislative, quando sussista una situazione di incertezza nella
applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali e
quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili
varianti di senso del testo originario, con cio’ vincolando un
significato ascrivibile alla norma anteriore (ex plurimis: sentenze
n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994; ordinanza n. 480 del 1992).
Inoltre, la Corte costituzionale ha affermato che non e’ decisivo
verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente
interpretativo e sia percio’ retroattiva, ovvero sia innovativa con
efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se
la retroattivita’ della legge, il cui divieto non e’ stato elevato a
dignita’ costituzionale, salvo che in materia penale, trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con
altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (da ultimo,
sentenza n. 234 del 2007).
In particolare, la Corte ha individuato una serie di limiti alla
efficacia retroattiva di una data disposizione di legge, tra i quali
i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, di tutela
dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento
giuridico nonche’ di rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (ex plurimis: le citate sentenze n.
311 del 1995 e n. 397 del 1994).
Nel caso di specie, il rimettente dubita che la lettura del
citato art. 7, fornita dal successivo art. 44 censurato, possa
ritenersi ricompresa in una delle possibili letture della
disposizione originaria. Sul punto, osserva che l’art. 7 contiene un
rinvio alla definizione contrattuale di «retribuzione lorda», per
tale dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 10 del contratto
collettivo nazionale di lavoro per il biennio 2004-2005 (che
sostituisce integralmente l’art. 52 del precedente contratto
dell’anno 2000), la «retribuzione globale di fatto mensile o annuale
che e’ costituita dall’importo della retribuzione individuale per 12
mensilita’ cui si aggiunge il rateo della 13ª mensilita’», escludendo
«le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di
indennizzo nonche’ quelle pagate per trattamento di missione fuori
sede e per trasferimento».
Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la portata precettiva
della nuova disposizione non sarebbe compatibile, come possibile
opzione interpretativa, con la disciplina previgente che deponeva, al
contrario, nel senso della inclusione delle voci retributive costanti
e continuative – e, dunque, anche del rateo di tredicesima mensilita’
– nel concetto di retribuzione lorda riscossa al momento della
risoluzione del rapporto. Anche in base ai criteri applicativi del
citato art. 7, dettati dalla stessa Giunta regionale con
deliberazione n. 532 del 2005, la indennita’ supplementare «si
compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso
fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli
occasionali od elargiti a titolo di ristoro ed indennizzo per la
particolare gravosita’ delle mansioni richieste (es. indennita’ di
struttura)».
Il rimettente ritiene, dunque, la norma censurata lesiva dei
canoni costituzionali di ragionevolezza, perche’ essa non si
limiterebbe ad assegnare alla disposizione interpretata un
significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo
originario (sentenze n. 24 del 2009, n. 74 del 2008, n. 374 del 2002,
n. 29 del 2002 e n. 525 del 2000).
Inoltre, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata,
comportando, in modo retroattivo, una sostanziale decurtazione
dell’ammontare dell’indennita’ supplementare, tradirebbe
l’affidamento che i dipendenti regionali, aderendo alla proposta di
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, hanno riposto nella
certezza della inclusione del rateo di tredicesima mensilita’ nella
base di calcolo dell’indennita’ in oggetto.
Il rimettente ricorda come la Corte costituzionale abbia piu’
volte valorizzato il principio dell’affidamento del cittadino sulla
certezza e sicurezza dell’ordinamento giuridico, quale elemento
essenziale dello Stato di diritto, che non puo’ essere leso da norme
con effetti retroattivi, incidenti irragionevolmente su situazioni
regolate da leggi precedenti.
Nel caso di specie, il giudice a quo ritiene che la disposizione
censurata interferisca sulla regolamentazione giuridica del rapporto
tra le parti, andando a modificare situazioni gia’ consolidate ed
acquisite al patrimonio giuridico dei dipendenti pubblici, indotti a
stipulare i contratti di risoluzione del rapporto confidando nella
convenienza riferita a quello specifico quadro normativo. Sul punto,
il rimettente richiama le pronunce della Corte costituzionale,
secondo cui la norma successiva non puo’ tradire l’affidamento del
privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali
(sentenze n. 156 del 2007, n. 416 del 1999), pur se dettata dalla
necessita’ di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa
pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per fare fronte a evenienze
eccezionali (sentenza n. 419 del 2000).
La disposizione censurata interverrebbe, dunque, su situazioni in
cui si e’ consolidato l’affidamento del privato riguardo alla
regolamentazione del rapporto, con sbilanciamento a favore della
parte pubblica. Peraltro, il legislatore regionale avrebbe omesso di
salvaguardare attraverso idonei strumenti normativi la posizione dei
lavoratori che, in applicazione della disposizione preesistente,
avrebbero dovuto ottenere la liquidazione di un incentivo all’esodo
secondo criteri piu’ favorevoli rispetto a quelli previsti dalla
legge di interpretazione.
Da quanto sopra, risulterebbe evidente, ad avviso del rimettente,
il contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 Cost.,
costituendo un’ipotesi di esercizio irrazionale del potere del
legislatore di emanare norme interpretative.
In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, qualora
venisse dichiarata incostituzionale la disposizione regionale sulla
base della quale si e’ determinata l’indennita’ supplementare in
favore della ricorrente, dovrebbe essere accolta la domanda
giudiziale promossa da quest’ultima di condanna dell’amministrazione
al pagamento delle differenze tra quanto percepito a titolo di
indennita’ supplementare e quanto spettante in virtu’ dell’inclusione
del rateo di tredicesima mensilita’ nella base di calcolo della
stessa.
1.3. – Il rimettente ritiene, invece, manifestamente infondata la
questione di legittimita’ costituzionale sollevata in riferimento
all’art. 111 Cost. e all’art. 6 della CEDU.
2. – Con memoria depositata il 31 gennaio 2011 si e’ costituita
in giudizio la signora B.G. chiedendo l’accoglimento della sollevata
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 44, comma 2, della
legge regionale n. 15 del 2008, in riferimento agli artt. 3, 24,
primo comma, 111 Cost. e 6 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo.
2.1. – La parte privata premette di avere presentato proposta per
la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con
l’amministrazione regionale ai sensi del richiamato art. 7 della
legge regionale n. 8 del 2005; che, con raccomandata del 16 gennaio
2006, la Giunta regionale ha notificato alla suddetta il contratto di
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro per accettazione; che,
avendo riscontrato delle inesattezze nel calcolo della indennita’
supplementare rispetto a quanto disposto dal citato art. 7, la stessa
ha indirizzato alla Regione, a far data dal 21 settembre 2009, alcune
note di richiesta di correzione delle dette discordanze; che il
calcolo da adottare, per come richiamato anche nella delibera della
Giunta regionale n. 532 del 2005 avente ad oggetto «criteri
applicativi dell’art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005», era
quello che considera il rapporto proporzionale ai dodici mesi
dell’anno comprendendo anche la tredicesima mensilita’; che, con
raccomandata del 4 settembre 2008, la Regione Calabria, pur
ammettendo gli errori di calcolo in relazione alla necessita’ di
erogare alla dipendente B.G. le somme spettanti a titolo di
differenze retributive in adeguamento al disposto del CCNL di
comparto 2004/2005, non ha riconosciuto il diritto alla tredicesima
mensilita’ sull’indennizzo all’esodo; che e’ seguito il diniego della
regione sulla base dell’intervento reso dal medesimo legislatore
regionale con il citato art. 44 della legge regionale n. 15 del 2008.
La ricorrente sottolinea che le somme corrisposte dal datore di
lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo
alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetto incentivo
all’esodo) non hanno natura ne’ liberale, ne’ eccezionale, ma
costituiscono reddito da lavoro dipendente (come tali assoggettate
anche ai fini fiscali), essendo predeterminate a remunerare, quale
controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione
anticipata del rapporto (Corte di cassazione, sezione lavoro del 27
giugno 2007, n. 14821).
2.2. – Ad avviso della parte privata, l’art. 44 della legge della
Regione Calabria n. 15 del 2008, nell’escludere la tredicesima
mensilita’ dalla base di calcolo della indennita’ supplementare,
avrebbe, in violazione dei canoni costituzionali di ragionevolezza,
arbitrariamente attribuito alla «legge esodo» un significato non
riconoscibile in una delle possibili letture del testo originario,
interferendo sulla regolamentazione giuridica del rapporto tra le
parti e andando a modificare situazioni gia’ acquisite al patrimonio
giuridico dei dipendenti.
Pertanto, la parte privata ritiene lesiva dei principi di
affidamento e di certezza del diritto una disposizione interpretativa
che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a
quella affermatasi nella prassi (in tal senso, Consiglio di Stato,
sezione IV, 26 luglio 2008, n. 3689; sezione VI, 27 dicembre 2007, n.
6664; sezione IV, 12 settembre 2006, n. 5314).
In particolare, con il citato art. 44, il legislatore regionale
sarebbe intervenuto arbitrariamente dopo tre anni dall’emanazione
della «legge esodo», mirando esclusivamente a privare la ricorrente
di quanto quest’ultima aveva confidato di ricevere, in applicazione
della detta legge, al momento dell’adesione alla proposta di
risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, in violazione dei
diritti gia’ acquisiti fin dalla firma del contratto.
L’art. 44 avrebbe inciso su situazioni in ordine alla cui
regolamentazione giuridica si era consolidato l’affidamento del
privato, dettando una disciplina contrastante con quella previgente e
sbilanciandone l’equilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e
a svantaggio dell’altra (quella privata). La parte privata richiama,
altresi’, alcune pronunce della Corte costituzionale in merito alla
definizione di norma di interpretazione autentica (sentenza n. 25 del
2000), ai limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi
(sentenza n. 397 del 1994) ed, in particolare, al principio di
affidamento dei consociati nella certezza del diritto, suscettibile
di essere leso da norme retroattive e tali da rendere privo di
effettivita’ il diritto dei cittadini di adire i giudici per ottenere
la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive (sentenza n.
209 del 2010).
Pertanto, la disposizione regionale censurata, oltre a violare il
canone generale della ragionevolezza delle norme ai sensi dell’art. 3
Cost., lederebbe anche il diritto degli ex dipendenti regionali
beneficiari della «legge esodo» di agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma,
Cost.).

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di lavoro e
previdenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della
legittimita’ costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della
Costituzione, dell’art. 44, comma 2, della legge della Regione
Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo
ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza
regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge
regionale 4 febbraio 2002, n. 8).
2. – Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciare in
un giudizio promosso da una ex dipendente della Regione Calabria nei
confronti dell’ente territoriale, al quale l’attrice aveva presentato
domanda per la risoluzione convenzionale del rapporto d’impiego, ai
sensi della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Provvedimento
generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario –
collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005, art. 3,
comma 4, della legge regionale n. 8/2002).
La legge (art. 7, comma 6) prevedeva, quale incentivo alla
risoluzione consensuale, il versamento di una indennita’, la cui
misura «sara’ determinata sulla base della retribuzione mensile lorda
spettante alla data di cessazione del rapporto di lavoro e sara’
corrisposta alle scadenze di cui ai commi 3 e 4». Il comma
successivo, poi, aggiungeva che la Giunta regionale era autorizzata
ad emanare, nel rispetto del termine di cui al comma 2, apposite
direttive per l’applicazione della citata norma. Tali direttive
furono adottate con delibera della detta Giunta regionale 30 maggio
2005, n. 532, e stabilirono, tra l’altro, «che l’indennita’ prevista
dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all’esodo
ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennita’ di fine servizio
normalmente spettante al pubblico dipendente al momento della
risoluzione del lavoro e si compone di tutti quegli elementi che
assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e
generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di
ristoro od indennizzo per la particolare gravosita’ delle mansioni
richieste (es. indennita’ di struttura)».
Successivamente, la Regione Calabria, con l’art. 44, comma 2,
della legge n. 15 del 2008 statui’ che l’art. 7, comma 6, della legge
regionale 2 marzo 2005, n. 8, dovesse «essere inteso nel senso che la
retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione della indennita’
supplementare prevista nella medesima legge» sia «quella individuata,
per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione
volontaria dal servizio, all’art. 52, lettera c, del CCNL 1999 e
successive modifiche con esclusione nella determinazione della citata
indennita’ del rateo di tredicesima mensilita’ e retribuzione di
risultato».
3. – Secondo il giudice a quo detta norma violerebbe l’art. 3
Cost., perche’ lesiva: a) dei canoni costituzionali di
ragionevolezza, in quanto non si limiterebbe ad assegnare alla
disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle
possibili letture del testo originario. Infatti, essa non sarebbe
compatibile con la disciplina previgente, la quale deponeva nel senso
di includere le voci retributive costanti e continuative – e, dunque,
anche il rateo di tredicesima mensilita’ – nel concetto di
retribuzione lorda riscossa al momento della risoluzione del
rapporto, cio’ anche in base ai criteri applicativi del citato art. 7
dettati dalla stessa Giunta regionale con la delibera n. 532 del
2005; b) dell’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di
situazioni sostanziali, poiche’ i dipendenti regionali, nell’aderire
alla proposta di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro,
avrebbero confidato, alla luce dello specifico quadro normativo
previgente, nella certezza dell’inclusione del rateo di tredicesima
mensilita’ nella base di calcolo dell’indennita’ supplementare
(cosiddetto incentivo all’esodo).
4. – In via preliminare, si deve osservare che, per costante
giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio di
legittimita’ costituzionale in via incidentale e’ limitato alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione,
onde non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in
queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalita’,
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto
delle stesse ordinanze. Pertanto, sono inammissibili le deduzioni
della parte privata, dirette ad estendere il thema decidendum
attraverso l’evocazione di ulteriori parametri costituzionali (ex
plurimis: sentenze nn. 236 e 56 del 2009, n. 86 del 2008, n. 244 del
2005).
5. – La questione e’ fondata.
Questa Corte ha piu’ volte chiarito che il legislatore puo’
adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza
di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario,
cosi’ rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma
anteriore (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010, n. 24 del 2009, n.
170 del 2008 e n. 234 del 2007).
La Corte ha anche affermato che non e’ decisivo verificare se la
norma censurata abbia carattere interpretativo, e sia percio’
retroattiva, ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Invero,
in entrambi i casi si tratta di accertare se la retroattivita’ della
norma, il cui divieto non e’ stato elevato a dignita’ costituzionale,
salvo il disposto dell’art. 25, secondo comma, Cost., trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con
altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis:
sentenze n. 93 del 2011, n. 234 del 2007 e n. 374 del 2002).
In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha individuato
una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi,
limiti attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali, tra
cui il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel
divieto d’introdurre ingiustificate disparita’ di trattamento; la
tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale
principio connaturato allo stato di diritto; la coerenza e la
certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ex plurimis:
sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994).
6. – In questo quadro, si deve osservare che l’art. 7, comma 1,
della legge della Regione Calabria n. 8 del 2005, nel dettare la
disciplina della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
(dalla citata norma prevista per i dirigenti ed estesa a tutti i
dipendenti dall’art. 7, comma 6), stabili’, in caso di
perfezionamento dell’accordo risolutivo, il versamento di una
indennita’ supplementare pari a otto mensilita’ della retribuzione
lorda spettante alla data della predetta risoluzione «per ogni anno
derivante dalla differenza fra 65 anni e l’eta’ anagrafica
individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del
rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni». L’art. 7,
comma 6, a sua volta, dispose che «La misura della indennita’ sara’
determinata sulla base della retribuzione mensile lorda spettante
alla data di cessazione del rapporto di lavoro e sara’ corrisposta
alle scadenze di cui ai commi 3 e 4».
Il riferimento alla retribuzione mensile lorda orientava senza
dubbio nel senso di ritenere che il legislatore avesse inteso fare
riferimento alla retribuzione comprensiva delle componenti fisse
dello stipendio a carattere continuativo, tra le quali si colloca la
tredicesima mensilita’. La natura retributiva di questa e’ stata
ripetutamente affermata dalla giurisprudenza (Corte di cassazione,
sezione lavoro del 19 settembre 2010, n. 22760 e sezione lavoro del 2
settembre 2010, n. 18999; sezione tributaria del 16 aprile 2007, n.
9000; Consiglio di Stato, sezione sesta del 22 giugno 1987, n. 437;
sezione sesta, del 28 luglio 1982, n. 386; Corte dei conti, sezione
terza del 3 giugno 1977, n. 38233 e sezioni riunite del 12 luglio
1977, n. 79).
Del resto, il detto orientamento risultava condiviso anche dalla
stessa Regione Calabria, dal momento che la Giunta regionale, con
delibera 30 maggio 2005, n. 532, recante «Criteri applicativi della
legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 art. 7» (emanata in base
all’autorizzazione concessa dalla legge ora citata con l’art. 7,
comma 7), aveva stabilito nel preambolo «che l’indennita’ prevista
dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all’esodo
ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennita’ di fine servizio
normalmente spettante al pubblico dipendente al momento della
risoluzione del rapporto di lavoro e si compone di tutti quegli
elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo,
costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti
a titolo di ristoro od indennizzo per la particolare gravosita’ delle
mansioni richieste (es. indennita’ di struttura)».
La delibera proseguiva precisando che «per tale motivazione, per
retribuzione lorda spettante alla data della risoluzione del rapporto
di lavoro, ai fini dell’applicazione dell’art. 7 della legge
regionale 2 marzo 2005, n. 8, si deve intendere la retribuzione
spettante al dipendente in forza delle disposizioni legislative,
regolamentari e dei contratti collettivi nazionali, ancorche’
maturata e non ancora corrisposta o derivante da rinnovi contrattuali
con efficacia retroattiva con riferimento alla data di cessazione,
ovvero nel caso operi la facolta’ della amministrazione di
scaglionare l’esodo, alla data di effettiva interruzione del servizio
in relazione alle esigenze di servizio».
Pertanto, sia il dato normativo sia i criteri elaborati dalla
regione concorrevano nel far ritenere che nella nozione di
retribuzione lorda rientrasse anche la tredicesima mensilita’, in
quanto dotata di tutti i requisiti dianzi indicati e considerati
dalla medesima regione.
Ne’ varrebbe addurre che, nel citato provvedimento regionale, al
punto 11 erano elencate le voci della retribuzione, spettanti alla
data di cessazione e concorrenti alla determinazione delle indennita’
supplementari, voci tra le quali non figura la tredicesima
mensilita’. Si deve osservare che al primo punto dell’elenco era
previsto lo stipendio tabellare e che la stretta inerenza della
tredicesima mensilita’ allo stipendio o salario, rendendola
componente necessaria di questi, ben poteva indurre a ritenerla
compresa nella nozione di stipendio tabellare, specialmente in
presenza di una espressione come «retribuzione lorda» con i caratteri
desumibili sia dalla norma, sia dai criteri elaborati dalla medesima
regione, la quale aveva disposto che, con quella espressione, si
dovesse intendere «la retribuzione spettante al dipendente in forza
delle disposizioni legislative, regolamentari e dei contratti
collettivi nazionali».
7. – In questa cornice e’ stata emanata la norma qui oggetto di
censura. Essa ha stabilito che l’art. 7, comma 6, della legge
regionale n. 8 del 2005 deve essere inteso nel senso che nel concetto
di retribuzione lorda, ai fini della determinazione della indennita’
supplementare, va escluso il rateo di tredicesima mensilita’.
Tale norma non e’ conforme a Costituzione.
Infatti, non e’ contestabile che i dipendenti regionali, nel
proporre l’accordo di risoluzione consensuale e nel sottoscrivere il
relativo contratto, abbiano riposto un legittimo affidamento nel
fatto che, per la determinazione dell’indennita’, si dovesse tenere
conto anche della tredicesima mensilita’, perche’ in tal senso
deponevano l’espressione adottata (retribuzione lorda), i connotati
attribuiti ai suoi componenti dalla stessa regione (compenso fisso,
continuativo, costante e generale), il richiamo alle disposizioni
legislative, regolamentari e dei contratti collettivi nazionali. In
questo quadro si e’ consolidata la posizione giuridica di coloro che,
come la parte privata nel giudizio a quo, hanno perfezionato
l’accordo di risoluzione del rapporto d’impiego ben prima che
sopravvenisse la norma censurata.
Al contrario, nessun elemento suggeriva che la regione intendesse
escludere proprio la componente retributiva meglio caratterizzata dai
connotati che la stessa regione aveva indicato e che e’ di generale
applicazione, salve espresse eccezioni.
Ne deriva che la norma di cui si tratta non ha imposto una scelta
rientrante tra le possibili varianti di senso del testo originario,
ne’ e’ intervenuta per risolvere contrasti che non risultano neppure
allegati, ma ha realizzato, con efficacia retroattiva, una
sostanziale modifica della normativa precedente, incidendo, in
violazione dell’art. 3 Cost., in modo irragionevole sul legittimo
affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento
fondamentale dello Stato di diritto, (ex plurimis: sentenze n. 209
del 2010 e n. 236 del 2009).
Va dichiarata, dunque, l’illegittimita’ costituzionale dell’art.
44, comma 2, della legge regionale della Calabria 13 giugno 2008, n.
15.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 44, comma
2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008 n. 15
(Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario –
collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008, ai sensi
dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8).
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 21 ottobre 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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