Corte Costituzionale, Sentenza n. 274/2011, In tema di estradizione per l’estero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 45 del 26-10-2011

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 705 del codice
di procedura penale e dell’art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69
(Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato
d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri),
promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 14 febbraio e
del 25 marzo 2011, iscritte rispettivamente ai nn. 71 e 147 del
registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 18 e 28, prima serie speciale, dell’anno 2011;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte di cassazione, con ordinanza del 14 febbraio 2011
(R.O. n. 71 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 705 del codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevede una riserva analoga a quella
richiamata dall’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile
2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla
decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002,
relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna
tra Stati membri), «nella lettura imposta dalla pronuncia della Corte
costituzionale n. 227 del 2010», qualora la procedura sia attivata
tra Stati membri dell’Unione europea e riguardi la richiesta di
estradizione di un cittadino dello stesso territorio, «stabilmente
inserito in Italia».
1.1. – Il giudice rimettente espone che nei confronti di S.A.,
cittadino rumeno, e’ stata attivata una procedura ordinaria di
estradizione, in ragione dell’epoca del commesso reato, antecedente
al 7 agosto 2002. Tale fatto impedirebbe di applicare al caso di
specie il limite alla consegna, previsto dall’art. 18, comma 1,
lettera r), della legge n. 69 del 2005, nella lettura imposta dalla
pronuncia della Corte costituzionale n. 227 del 2010, disposizione
posta a presidio della garanzia del cittadino italiano e comunitario
di poter scontare in Italia la sanzione divenuta definitiva nello
Stato comunitario richiedente, ove l’interessato sia stabilmente
residente in Italia e sia provata la sua integrazione nel territorio.
A giudizio della Corte di cassazione, per effetto di tale
«limitazione», dovuta alla vigenza della normativa sul mandato di
arresto europeo, si sarebbe venuta a creare, nella situazione di
fatto descritta, una violazione dei diritti fondamentali, tra i quali
deve collocarsi il diritto di stabilimento, determinandosi una
«difformita’ di trattamento di situazioni analoghe, che appare priva
di ragionevolezza», come sarebbe reso evidente dal caso in esame, in
cui risulta preclusa la disposizione piu’ favorevole, nonostante che
«il decorso di un congruo periodo temporale dall’epoca del commesso
reato rende in fatto ancor piu’ probabile la recisione dei legami con
il proprio paese d’origine e piu’ radicata la presenza nel territorio
straniero intervenuta medio termine». Tale disparita’ di trattamento,
poi, non potrebbe essere superata in via interpretativa, essendo il
giudizio limitato alla valutazione della legittimita’ della richiesta
dello Stato estero, alla luce dell’art. 705 cod. proc. pen., che non
prevede tra i motivi di rifiuto della consegna la valutazione
dell’esigenza di reinserimento del condannato e quindi la tutela
dell’interesse di tutti gli Stati membri alla rieducazione effettiva
del reo.
Il rimettente ritiene, pertanto, che la norma violi sia l’art.
27, terzo comma, Cost., sia i «principi comunitari», ed in
particolare quello di non discriminazione di cui all’art. 12 (ora 18
TFUE) del Trattato, di uniformita’ di trattamento dei cittadini
europei di cui all’art. 17 del Trattato e del diritto di stabilimento
riconosciuto dall’art. 18 (rectius: 21 TFUE), con conseguente
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
1.2. – Precisato, in punto di rilevanza, che dalle informazioni
assunte sarebbe confermata la piena integrazione di S.A. e del suo
nucleo familiare nel territorio italiano, la Corte conclude chiedendo
di dichiarare l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 705 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna e
la conseguente possibilita’ di scontare la pena in Italia, del
condannato, cittadino di un Paese membro dell’Unione europea,
residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente
inserito, del quale sia stata richiesta l’estradizione.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte e’ intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata.
In primo luogo si osserva come il diverso regime fra le procedure
di estradizione e di consegna, a seguito di mandato di arresto,
giustificherebbe la diversita’ delle ipotesi di rifiuto della
consegna. In secondo luogo, sarebbe insussistente una diversita’ di
trattamento fra cittadino e straniero, non essendo prevista una
simile ipotesi neppure per il cittadino italiano. Inoltre, l’omessa
previsione dell’ipotesi di cui all’art. 18, comma 1, lettera r),
anche nel caso dell’estradizione, discenderebbe dalla norma
transitoria (art. 40 della legge n. 69 del 2005), – peraltro
consentita dall’art. 32 della decisione quadro 2002/584/GAI
(Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri) – piuttosto che
dall’asserita illegittimita’ della procedura di estradizione. Del
resto, afferma l’Avvocatura generale dello Stato, la diversita’ delle
discipline rifletterebbe la «filosofia» dei due differenti regimi,
basato il primo, quello previgente, sulla cooperazione
intergovernativa, il secondo sul mutuo riconoscimento, demandato a
procedure integralmente giurisdizionali.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri assume che il
petitum proposto dal rimettente mirerebbe ad ampliare i casi di
rifiuto dell’estradizione, conducendo ad una «inammissibile ortopedia
del sistema», attraverso uno stravolgimento della procedura di
esecuzione della pena in Italia, ancor prima del riconoscimento delle
sentenze di condanna straniera, la cui base legale deve rinvenirsi
nella decisione quadro 2008/909/GAI.
3. – La Corte di cassazione, con ordinanza del 25 marzo 2011
(R.O. n. 147 del 2011), ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 705 del codice di procedura penale e
dell’art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69, in riferimento agli
artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. La
Corte rimettente premette di essere investita del ricorso avverso la
sentenza della Corte di appello di Roma, resa nel procedimento per la
verifica delle condizioni per l’estradizione di B. D. alle autorita’
rumene, e che tale verifica, in quanto relativa a reati commessi
prima del 7 agosto 2002, e’ regolata, in base a quanto prevede l’art.
40 della legge n. 69 del 2005, dalle disposizioni vigenti in materia
di estradizione anteriormente alla data di entrata in vigore della
suddetta legge, e quindi dalla pertinente normativa pattizia
(Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, e succ.
mod., vigente tra le Parti dal 9 dicembre 1997) e dalla normativa
nazionale, integratrice della disciplina convenzionale. Premette,
altresi’, che l’estradando ha chiesto di poter scontare la pena in
Italia, dove ha stabilito la sua stabile residenza, come peraltro
comprovato dalla documentazione prodotta (iscrizione al registro
delle imprese sin dal 2005, certificato di residenza a far data dal
2008, acquisto di un immobile nel 2007, dichiarazioni tributarie
presentate dal 2008).
3.1. – Il rimettente, inoltre, ritiene che nella fase
giurisdizionale del procedimento di estradizione, limitata al
controllo di legalita’, ovvero alla verifica della sussistenza e
della validita’ delle condizioni affinche’ l’estradizione sia
concessa, la corte di appello non possa pronunciare sentenza
contraria all’estradizione, al fine di dare esecuzione nello Stato
alla pena inflitta all’estero, analogamente a quanto stabilisce –
nelle medesime circostanze di fatto – l’art. 18, lettera r), della
legge n. 69 del 2005 in tema di mandato di arresto europeo. Tale
lacuna non potrebbe essere superata in via interpretativa, dovendosi
il giudice attenere, nella valutazione di legittimita’ della domanda
dello Stato estero, alle disposizioni di cui agli artt. 696, 698 e
705 cod. proc. pen., che non consentirebbero, nella fase di
delibazione della domanda di estradizione, che, al rifiuto
dell’estradizione, consegua l’esecuzione nello Stato della pena per
la cui esecuzione e’ stata domandata l’estradizione.
3.2. – Cio’ posto, il giudice a quo, richiamando la precedente
ordinanza di rimessione, sezione VI, n. 5580 del 26 gennaio 2011
(r.o. n. 71 del 2011), e le argomentazioni in essa contenute, precisa
ulteriormente che l’irragionevolezza della scelta effettuata dal
legislatore nel regolare l’applicazione ratione temporis della nuova
disciplina del mandato di arresto europeo sarebbe evidente, sia alla
luce della ratio di «garanzia» della disposizione piu’ favorevole,
sia alla luce dall’esame dell’ipotesi di rifiuto, disciplinata
dall’art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005. La
disciplina transitoria di cui all’art. 40 costituirebbe, inoltre,
attuazione interna della dichiarazione presentata dal Governo
italiano al Segretariato generale dell’Unione europea, ai sensi
dell’art. 32 della decisione quadro del 13 giugno 2002, n.
2002/584/GAI del Consiglio, dichiarazione giustificata dalla
preoccupazione di conferire all’istituto della consegna natura di
diritto sostanziale, oltre che squisitamente processuale, e dunque
volta a confermare la preoccupazione del legislatore italiano di
salvaguardare anche in tale materia il principio di non
retroattivita’ delle norme penali o del trattamento penale piu’
sfavorevole, di cui all’art. 25 della Costituzione. La preoccupazione
del legislatore italiano sarebbe dunque stata quella di evitare
l’applicazione retroattiva di un regime di consegna considerato «meno
favorevole», nel mentre si sarebbe tradotta in una irragionevole
esclusione delle garanzie previste dalla legge attuativa.
Alla luce di queste premesse e dopo aver riesaminato le ragioni
sottese al regime del rifiuto di consegna, configurato come
obbligatorio dalla legge attuativa della decisione quadro sul mandato
di arresto, il rimettente ritiene evidente che la disciplina
transitoria dettata dall’art. 40 della legge attuativa, disponendo
che le domande di consegna relative a reati commessi prima del 7
agosto 2002 seguano la strada dell’estradizione, abbia riservato alla
persona richiesta dell’estradizione da uno Stato dell’Unione europea
un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a coloro che
risultano sottoposti al regime di consegna del mandato di arresto
europeo. Cio’, nonostante che la relativa sentenza di condanna sia
divenuta esecutiva dopo la entrata in vigore della decisione quadro
del 2002 e, dunque, proprio in relazione a situazioni in cui il
decorso di un congruo lasso temporale dall’epoca del commesso reato
rendeva, in fatto, ancor piu’ probabile la recisione dei legami con
il proprio paese d’origine e piu’ radicata la presenza nel territorio
straniero intervenuta medio termine.
3.3. – Tale situazione sostanzierebbe una lacuna nel regime
estradizionale che non consentirebbe all’autorita’ giudiziaria
italiana di valutare l’esigenza che «la traditio non vanifichi la
finalita’ rieducativa e di risocializzazione», dettata dalla
Costituzione e da molteplici strumenti internazionali, fra i quali:
la Raccomandazione n. R. 87/3 del Comitato dei ministri del Consiglio
d’Europa sulle regole penitenziarie europee, adottata il 12 febbraio
1987 e sostituita dalla Raccomandazione n. R. 2006/2, adottata 1’11
gennaio 2006; la Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei
diritti dell’uomo nell’Unione europea, A4-0468/98; nonche’ le
Standard Minimum Rules for the Treatment of/Prisoners, adottate dalle
Nazioni Unite il 30 agosto 1955.
Pertanto, la disciplina censurata avrebbe determinato una
disparita’ di trattamento fra situazioni analoghe, rilevante ai sensi
dell’art. 3 Cost., priva di ragionevole giustificazione, in quanto
sarebbe preclusa, nonostante la «riconoscibilita’» del titolo
esecutivo, al cittadino italiano e al cittadino di uno Stato dell’UE,
la cui consegna e’ regolata dalla normativa estradizionale,
richiamata dall’art. 40 cit., la possibilita’ di ottenere una
decisione contraria alla loro estradizione, al fine di scontare la
pena privativa della liberta’ personale nello Stato di cittadinanza o
di residenza, e di accrescere pertanto le opportunita’ del loro
reinserimento sociale. Siffatta disciplina, inoltre, impedirebbe a
colui che ha esercitato, in quanto cittadino dell’Unione europea, il
suo diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli
Stati membri, garantito dall’art. 18 TFUE (rectius: 21 TFUE), e la
cui condanna sia divenuta esecutiva in data 21 febbraio 2007, di
essere sottoposto ad una procedura di consegna che gli consenta di
soddisfare le esigenze di risocializzazione, in violazione non solo
dell’art. 27, terzo comma, Cost., ma anche degli strumenti
internazionali citati e delle liberta’ riconosciute dal Trattato
dell’Unione europea e, quindi, degli artt. 11 e 117, primo comma,
della Costituzione.
4. – Anche nel giudizio relativo all’ordinanza n. 147 del 2011 e’
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata infondata.
Nella memoria si osserva innanzitutto che l’art. 40 della legge
n. 69 del 2005 costituisce l’attuazione, nell’ordinamento interno,
della facolta’ che l’art. 32, paragrafo 1, della decisione quadro,
riconosce agli Stati membri di applicare il mandato di arresto
europeo ai reati commessi prima del 7 agosto 2002, facolta’
esercitata peraltro anche da Austria, Lussemburgo, Repubblica ceca e
Francia.
In secondo luogo, l’applicabilita’ del regime estradizionale
comporterebbe alcune conseguenze anche in favore del ricercato, se si
consideri che nel sistema del MAE i motivi di rifiuto sono tassativi
e che e’ stata soppressa la verifica della doppia incriminazione come
motivo di non esecuzione del MAE, in relazione a un elenco di 32
categorie di reato contenuto nello strumento.
4.1. – Ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri,
inoltre, le scelte del legislatore italiano (e di altri Stati membri)
in tema di disciplina transitoria non potrebbero ritenersi
«irragionevoli», laddove si consideri che l’assenza della garanzia di
poter scontare la pena nel Paese ove si e’ radicati (nel senso
chiarito dalla giurisprudenza europea – Corte giust. 17 luglio 2008,
causa C-66/08, Kozlowski) risulta assai ridimensionata dalla nuova
disciplina sul trasferimento dei condannati di cui alla decisione
quadro 2008/909/GAI del 27 novembre 2008 (Decisione quadro relativa
all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle
sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della
liberta’ personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione
europea), attuata nel nostro Paese con il decreto legislativo 7
settembre 2010, n. 161 (Disposizioni per conformare il diritto
interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione
del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che
irrogano pene detentive o misure privative della liberta’ personale,
ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea).

Considerato in diritto

1. – Vengono all’esame della Corte due ordinanze di rimessione
pronunciate dalla Corte di cassazione (R.O. nn. 71 e 147 del 2011).
1.1. – La prima ordinanza (R.O. n. 71 del 2011) censura l’art.
705 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
una riserva analoga a quella richiamata dall’art. 18, comma 1,
lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per
conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo
e alle procedure di consegna tra Stati membri), «nella lettura
imposta dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 227 del 2010»,
qualora la procedura sia attivata tra Stati membri dell’Unione
europea e riguardi la richiesta di estradizione di un cittadino dello
stesso territorio, «stabilmente inserito in Italia».
1.2. – La seconda ordinanza (R.O. n. 147 del 2011), oltre che del
citato art. 705, cod. proc. pen., dubita della legittimita’
costituzionale dell’art. 40 della legge n. 69 del 2005, nella parte
in cui non prevedono, in una situazione analoga a quella richiamata
dall’art. 18, lettera r), della medesima legge, che la Corte di
appello – in relazione ad una domanda di estradizione presentata dopo
il 14 maggio 2005 da uno Stato membro dell’Unione europea, sulla base
di una sentenza di condanna, divenuta esecutiva dopo il 1° gennaio
2004, ad una pena privativa della liberta’ personale, per un reato
commesso prima del 7 agosto 2002 – pronunci sentenza contraria alla
estradizione di un cittadino di un Stato membro dell’Unione europea,
che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o la dimora
nel territorio italiano, quando ritenga che tale pena sia eseguita in
Italia conformemente al diritto interno.
2. – In virtu’ dell’identita’ delle questioni sollevate, della
parziale identita’ dell’oggetto e degli argomenti utilizzati va
disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un’unica trattazione e
di un’unica pronuncia.
3. – Preliminarmente, in relazione al giudizio relativo
all’ordinanza iscritta al R.O. n. 71 del 2011, va rilevato che la
comunicazione, trasmessa dalla Corte di cassazione, con nota del 21
settembre 2011, relativa all’intervenuta prescrizione del reato per
il quale l’autorita’ straniera procedeva, non puo’ esplicare effetti
sul giudizio di legittimita’ costituzionale, in quanto questo, «una
volta iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice
rimettente non e’ suscettibile di essere influenzato da successive
vicende di fatto concernenti il rapporto dedotto nel processo che lo
ha occasionato», come previsto dall’art. 18 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo approvato
il 7 ottobre 2008 (sentenza n. 227 del 2010 e, in riferimento
all’identica norma contenuta in precedenza nell’art. 22: sentenza n.
244 del 2005; ordinanze n. 270 del 2003 e n. 383 del 2002).
4. – Con tale ordinanza di rimessione, iscritta al n. R.O. n. 71
del 2011, la Corte di cassazione assume che l’art. 705 del codice di
procedura penale si porrebbe in contrasto con l’art. 3, della
Costituzione, in quanto determinerebbe una «difformita’ di
trattamento di situazioni analoghe, che appare priva di
ragionevolezza», poiche’ precluderebbe, per i reati commessi prima
del 7 agosto 2002, l’applicazione della piu’ favorevole disposizione
di cui al citato art. 18, lettera r), della legge n. 69 del 2005,
nonostante che «il decorso di un congruo periodo temporale dall’epoca
del commesso reato rende in fatto ancor piu’ probabile la recisione
dei legami con il proprio paese d’origine e piu’ radicata la presenza
nel territorio straniero intervenuta medio termine». Inoltre,
impedendo per tali reati di rifiutare l’estradizione, la norma
violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in
contrasto con i principi comunitari, ed in particolare quello di non
discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato, di uniformita’ di
trattamento dei cittadini europei di cui all’art. 17 del Trattato,
del diritto di stabilimento riconosciuto dall’art. 18. Infine, la
disciplina dell’estradizione e, segnatamente l’art. 705, cod. proc.
pen., impedendo al condannato, cittadino di un Paese membro
dell’Unione europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed
ivi stabilmente inserito, la possibilita’ di scontare la pena in
Italia si porrebbe in contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost.
4.1. – La questione e’ manifestamente inammissibile.
4.2. – Il giudice rimettente, pur invocando nella sostanza
l’applicabilita’ all’estradizione dello speciale motivo di rifiuto di
cui all’art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005, che
ha dato attuazione alla decisione quadro 13 giugno 2002, n.
2002/584/GAI del Consiglio, omette del tutto sia di specificare la
data della decisione definitiva dell’autorita’ giudiziaria rumena,
che irrogava la pena per l’esecuzione della quale e’ stata proposta
domanda di estradizione, sia quella della richiesta di estradizione,
limitandosi ad indicare il tempus commissi delicti (nel corso del
1999) e la data della sentenza della Corte di appello impugnata. Tale
carenza determina la manifesta inammissibilita’ della questione,
giacche’, come piu’ volte precisato dalla giurisprudenza di questa
Corte, l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie, in
violazione del principio di autosufficienza dell’atto di rimessione,
preclude il necessario controllo in punto di rilevanza (ex plurimis:
ordinanze nn. 6 e 3 del 2011; nn. 343, 318 e 85 del 2010; nn. 211,
201 e 191 del 2009).
5. – Con l’ordinanza di rimessione, iscritta al n. R.O. n. 147
del 2011, la Corte di cassazione assume che l’art. 705, cod. proc.
pen. e l’art. 40 della legge n. 69 del 2005, violerebbero l’art. 3
Cost., riservando alla persona richiesta dell’estradizione da uno
Stato dell’Unione europea, per un reato commesso prima del 7 agosto
2002, un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a coloro
che risultano sottoposti al regime di consegna del mandato di arresto
europeo, e cio’ nonostante che la relativa sentenza di condanna sia
divenuta esecutiva dopo l’entrata in vigore della decisione quadro
del 2002. La disciplina normativa in questione si porrebbe, inoltre,
in contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., perche’
impedirebbe a colui che ha esercitato, in quanto cittadino
dell’Unione europea, il suo diritto alla libera circolazione e al
libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall’art. 18 TFUE, la
propria «risocializzazione» in violazione di molteplici strumenti
internazionali, fra i quali la Raccomandazione n. R. 87/3 del
Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulle regole
penitenziarie europee, adottata il 12 febbraio 1987 e sostituita
dalla Raccomandazione n. R. 2006/2, adottata 1’11 gennaio 2006; la
Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti dell’uomo
nell’Unione europea, A4-0468/98; le Standard Minimum Rules for the
Treatment of Prisoners, adottate dalle Nazioni Unite il 30 agosto
1955. Infine, viene denunciata la violazione dell’art. 27, terzo
comma, Cost., in quanto le norme censurate impedirebbero a colui per
il quale la condanna sia divenuta esecutiva in data 21 febbraio 2007,
di essere sottoposto ad una procedura che gli consenta di soddisfare
le esigenze di risocializzazione.
Sulla base di queste considerazioni la Corte rimettente chiede di
pronunciare l’illegittimita’ costituzionale delle norme in esame,
«nella parte in cui non prevedono, in relazione ad una domanda di
estradizione presentata da uno Stato membro dell’Unione europea, il
rifiuto di consegna del condannato, cittadino di uno Stato membro
dell’Unione europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed
ivi stabilmente inserito, quando ritenga che la pena per la quale e’
chiesta l’estradizione sia eseguita in Italia conformemente al
diritto interno».
5.1. – La questione e’ inammissibile.
5.2. – La giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato come
l’introduzione del MAE ha configurato un nuovo sistema semplificato
di consegna delle persone condannate o imputate, al fine di eliminare
la complessita’ e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina
dell’estradizione. Il nuovo regime, infatti, «a differenza
dell’estradizione non postula alcun rapporto intergovernativo, ma si
fonda sui rapporti diretti tra le varie autorita’ giurisdizionali dei
Paesi membri, con l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di
consegna delle persone condannate o sospettate» (sentenza n. 227 del
2010 e n. 143 del 2008).
5.3. – La decisione quadro 2002/584/GAI prevedeva, all’art. 32,
che le richieste di estradizione ricevute anteriormente al 1° gennaio
2004 continuassero ad essere disciplinate dagli strumenti esistenti
in materia di estradizione e che ogni Stato membro potesse, al
momento del recepimento della decisione quadro, rendere una
dichiarazione secondo cui in qualita’ di Stato dell’esecuzione esso
avrebbe continuato a trattare le richieste relative a reati commessi
prima di una data da esso precisata, data comunque non posteriore al
7 agosto 2002. Dal 1° gennaio 2004, la decisione quadro, quindi,
doveva sostituirsi ai testi anche convenzionali esistenti in materia.
La gradualita’ del passaggio al nuovo sistema, consentita dalla
citata norma, lasciava, dunque, aperta la possibilita’ per gli Stati
membri di approntare tutti gli strumenti normativi ed amministrativi
necessari per garantire la funzionalita’ del nuovo regime.
Lo Stato italiano, dopo aver deciso di sfruttare tutto il tempo
ad esso concesso dalla decisione quadro per il passaggio al sistema
del MAE, con l’art. 40 della citata legge n. 69 del 2005, oggi
impugnato, ha disposto che le nuove norme si dovessero applicare alle
richieste di esecuzione di mandati d’arresto europei emessi e
ricevuti dopo la data della sua entrata in vigore, ma che «alle
richieste di esecuzione relative a reati commessi prima del 7 agosto
2002, salvo per quanto previsto dal comma 3, restano applicabili le
disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore
della presente legge in materia di estradizione».
5.4. – E’ sulla base di tale dettato normativo che il giudice a
quo, censurando le disposizioni transitorie dell’art. 40 della legge
n. 69 del 2005 e l’art. 705 cod. proc. pen., in tema di condizioni
per la decisione sull’estradizione, ha sollevato la questione di
legittimita’ costituzionale, formulando, tuttavia, un petitum
inammissibile.
L’intervento richiesto alla Corte consisterebbe, secondo la
prospettazione del rimettente, nell’inserire nel complesso normativo
dell’estradizione un nuovo caso di rifiuto, evidentemente mutuato
dalla disciplina del MAE.
Il rimettente, infatti, subordina espressamente la possibilita’
di pronunciare anche in questo caso il rifiuto dell’estradizione,
alla possibilita’ che la pena sia eseguita in Italia, conformemente
al diritto interno. L’intervento della Corte, quindi, dovrebbe
consentire, nel procedimento di estradizione, non solo la
possibilita’ di impedire, nella fase giurisdizionale, la «traditio»
cui mira l’estradizione, ma anche di eseguire la pena nel nostro
ordinamento, conformemente al diritto interno, inserendo nel
procedimento di estradizione, un’anticipazione di quanto previsto
dalle norme sul MAE, intervenendo anche sull’art. 40 della citata
legge n. 69 del 2005.
Il risultato prefigurato dalla Corte rimettente, imposto proprio
dalla ricordata diversita’ delle discipline a confronto,
determinerebbe, non piu’ una normativa intertemporale, ma un
singolare innovativo meccanismo, diverso tanto dal precedente quanto
da quello «a regime», creando un sistema «spurio» anche rispetto alla
stessa norma transitoria.
Viene inoltre in rilievo il fatto che il procedimento di
estradizione e’ costituito da due fasi, in cui alla prima,
giurisdizionale di garanzia dei diritti, segue una fase
amministrativa, di competenza del Ministro della giustizia, fase
questa a sua volta assoggettabile a controllo del giudice
amministrativo, trattandosi di determinazione che coinvolge in modo
diretto e immediato interessi essenzialmente individuali.
Conseguentemente, alla prospettazione del giudice a quo potrebbero
seguire piu’ soluzioni, parimenti praticabili perche’ tutte non
obbligate costituzionalmente, a seconda della sorte che,
all’eventuale pronuncia di rifiuto con esecuzione della pena, debba
essere riservata alla fase amministrativa di cui si discorre.
Pertanto, alla luce della costante giurisprudenza della Corte,
alla questione che invochi un risultato di diritto transitorio
«spurio» (ordinanza n. 355 del 2003) o comunque una pronuncia
manipolativa non costituzionalmente obbligata, in materia riservata
alla discrezionalita’ del legislatore, non puo’ che conseguire la
inammissibilita’ (ex multis ordinanza n. 193 del 2009).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi:
1) dichiara manifestamente inammissibile la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 705, del codice di procedura
penale, sollevata dalla Corte di cassazione, con ordinanza del 14
febbraio 2011 (R.O. n. 71 del 2011), in riferimento agli articoli 3,
27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 705, del codice procedura penale e dell’art.
40 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle
procedure di consegna tra Stati membri), sollevata dalla Corte di
cassazione, con ordinanza del 25 marzo 2011 (R.O. n. 147 del 2011),
in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma,
della Costituzione.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

Il Presidente: Quaranta

Il redattore: Tesauro

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria il 21 ottobre 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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