È la giurisdizione speciale esercitata dalle Commissioni tributarie, alle quali è affidato l’esame di tutte le controversie di natura fiscale.
La materia, precedentemente regolata dal D.P.R. 636/1972, è stata oggetto di profonda revisione ad opera dei D.Lgs. 545 e 546 del dicembre 1992 emanati in attuazione della legge delega 413/1991.
Tali decreti hanno disciplinato l’ordinamento interno delle Commissioni tributarie e il nuovo processo tributario.
La riforma è entrata in funzione dal 1 aprile 1996, in concomitanza con l’insediamento delle nuove commissioni.
Le parti del processo tributario sono:
— il ricorrente, cioè il cittadino che si rivolge alla P.A. per ottenere la rimozione di atti ritenuti illegittimi;
— l’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate o l’ente locale o il Concessionario della riscossione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanto l’atto richiesto.
Il ricorso tributario inizia con la proposizione del ricorso alla Commissione tributaria provinciale.
Il ricorso, da proporsi entro 60 giorni dalla data di notificazione alla controparte, può essere presentato per le controversie che riguardano tributi di ogni genere e specie, inclusi quelli regionali, provinciali e comunali.
Riguardo agli atti, è possibile presentare ricorso contro:
— l’avviso di accertamento e di liquidazione dell’imposta;
— il provvedimento che irroga le sanzioni;
— il ruolo la cartella di pagamento;
— l’avviso di mora;
— gli atti relativi alle operazioni catastali;
— il rifiuto di restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie, interessi non dovuti;
— ogni altro atto per il quale la legge ne prevede l’autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie.
Le parti in giudizio diverse dall’amministrazione finanziaria o dall’ente locale devono essere assistite da un difensore abilitato (salvo il caso di ricorsi per ammontare inferiore a 2.582,28 euro). Per evitare costi troppo elevati per i meno abbienti è assicurato nei loro confronti il patrocinio a spese dello Stato.
Contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale il soccombente può ricorrere:
— alla Commissione tributaria regionale competente;
— in Cassazione per motivi di legittimità;
— in revocazione per le sentenze non ulteriormente impugnabili o non impugnate.
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Consumatore (tutela del) (d. civ.) (Consumer (protection))
È tale il cittadino che si trovi nel ruolo di acquirente o utilizzatore finale di beni e servizi.
Le esigenze di tutela del consumatore si sono progressivamente imposte all’attenzione del legislatore in coincidenza con il delinearsi di un nuovo tipo di conflittualità, quella appunto tra il consumatore (o utente) e l’impresa, dovuto al rafforzamento di quest’ultima nell’ambito del moderno processo di industrializzazione, allo sviluppo frenetico della contrattazione di massa ed alle nuove vie aperte al commercio dalla crescente utilizzazione dei sistemi informatici.
In attuazione dei principi affermati nel Trattato CE e nella normativa comunitaria derivata, anche in Italia è stata progressivamente introdotta una legislazione per la tutela del (—): diverse norme, infatti hanno riconosciuto e garantito i diritti e gli interessi, individuali e collettivi, del (—), in specie, relativamente alla salute, qualità e sicurezza dei prodotti e dei servizi, rapporti con la pubblica amministrazione, informazione e pubblicità, ambiente, risparmio.
Un primo intervento in materia deve rinvenirsi nel D.P.R. 224/88, che ha dato attuazione alla direttiva CEE n. 85/374 sui prodotti difettosi, attraverso la predisposizione di norme volte a disciplinare la produzione e la distribuzione di sostanze alimentari e altri beni di largo consumo, imponendo a carico degli imprenditori una serie di obblighi al fine di garantire la qualità e la sicurezza del prodotto.
La tutela del (—) è stata rafforzata con l’approvazione della L. 52/96, con la quale è stata data attuazione alla normativa concernente le clausole vessatorie nei contratti stipulati tra (—) e professionisti. La L. 52/96 ha introdotto nel Titolo II del Libro IV del codice civile il Capo XIVbis intitolato proprio Dei contratti del (—), con gli artt. da 1469bis a 1469sexies. Sono poi intervenuti il D.Lgs. 427/98 (relativo alla tutela dell’acquirente in materia di acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale su beni immobili), il D.Lgs. 185/99 (in materia di contratti a distanza) ed il D.Lgs. 84/2000 (in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori). Da ultimo è intervenuto il D.Lgs. 24/2002 che ha introdotto nel libro IV del codice civile gli artt. 1519bis-1519nonies, tesi a disciplinare alcuni aspetti del contratto di vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo.
L’esigenza di un intervento organico in materia di (—), finalizzato al riordino di una normativa frammentaria stratificatasi nel tempo a seguito della crescente produzione interna, è apparsa ancora più pressante dal confronto con una politica unitaria di protezione dei consumatori affermatasi con forza in ambito comunitario.
Il Codice del consumo (D.Lgs. 6-9-2005, n. 206) costituisce il risultato ultimo cui è pervenuto il legislatore nazionale nell’opera di razionalizzazione e semplificazione della normativa esistente. Il testo, risultato in gran parte dalla trasposizione delle norme previgenti, è stato anche l’occasione per apportarvi talune modifiche ed aggiunte, e per chiarire la effettiva portata di alcune regole già esistenti, realizzando al contempo il coordinamento con i principi e gli indirizzi espressi in sede comunitaria. Il Codice, nel provvedere ad una riorganizzazione logico-sistematica della disciplina consumeristica, ripercorre tutte le fasi del rapporto di consumo, non solo quella propriamente contrattuale, ma anche quella antecedente all’istituzione del rapporto. Sono pertanto regolamentati anche gli aspetti attinenti alla educazione del consumatore, all’informazione ed alla pubblicità commerciale, oltre che quelli inerenti alla etichettatura dei prodotti, alla formazione del contratto, alle associazioni dei consumatori ed alle possibili azioni che consentono l’accesso dei consumatori alla giustizia.
Di rilievo è, nel testo del Codice, il coordinamento della disciplina dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali con quella dei contratti a distanza, attraverso l’unificazione altresì del termine per esercitare il diritto di recesso; la trasposizione nel nuovo corpo normativo delle prescrizioni relative alle clausole vessatorie, prima contenute negli artt. 1469bis ss. c.c., e di quelle di cui agli ormai abrogati artt. 1519bis ss. c.c., in tema di vendita dei beni di consumo.
Consulenza tecnica (Technical)
Strumento di raccolta delle prove che ha la finalità di offrire all’attività del giudice l’ausilio di cognizioni tecniche di un esperto.
Il consulente tecnico è uno degli ausiliari del giudice, la cui attività serve per integrare l’attività di quest’ultimo, sia in quanto può offrire elementi per valutare le risultanze di determinate prove, sia in quanto può offrire elementi diretti di giudizio.
Quando è necessario, il giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo da uno o più consulenti con particolare competenza tecnica (art. 61 c.p.c.).
Il consulente tecnico è nominato, con ordinanza, dal giudice istruttore o dal Collegio, in tutti i casi in cui lo stesso reputi opportuno farsi assistere per il compimento di singoli atti o per l’intero processo. La nomina del consulente può avvenire su richiesta delle parti ovvero d’ufficio.
La scelta del consulente tecnico deve essere fatta di regola tra le persone iscritte in albi speciali (art. 61 c.p.c.); il consulente prescelto ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne in caso di esistenza, riconosciuta dal giudice, di un valido motivo di astensione (art. 63 c.p.c.); egli può essere altresì ricusato dalle parti e sulla ricusazione provvede il giudice che l’ha nominato.
Gli esiti della (—) [Perizia] non sono vincolanti per il giudice che può discostarsene motivando opportunamente.
Figure particolari di consulente sono quelle dell’interprete (artt. 122 e 1242 c.p.c.) e del traduttore (art. 123 c.p.c.).
Quando sorgono questioni di carattere tecnico tali da indurre il giudice alla nomina di un consulente, è consentito anche alle parti nominare propri consulenti, con dichiarazione da rendere nel termine assegnato dal giudice.
I consulenti tecnici di parte hanno il compito di assistere alle indagini ed alle operazioni del consulente d’ufficio e di partecipare alle udienze e alla camera di consiglio tutte le volte che vi interviene il consulente del giudice, con la facoltà di prospettare, nell’interesse delle rispettive parti, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche (eventualmente depositando una propria relazione scritta).
(—) preventiva ai fini della composizione della lite
Può essere richiesta ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dall’inadempimento di un’obbligazione contrattuale (può trattarsi, ad esempio, di contratti di vendita, appalto, etc.) o da fatto illecito.
Il procedimento si svolge nel contraddittorio delle parti, e il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti stesse.
Se le parti si sono conciliate si forma il processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce, con decreto, efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione forzata e dell’esecuzione forzata in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.
(—) nel processo penale (d. proc. pen.)
La nozione di (—) richiama quella di accertamento tecnico, e cioè di una collaborazione che la parte (pubblica o privata) si assicura al fine di fornire al giudice una valutazione che comporta particolari competenze scientifiche. Nel corso delle indagini, infatti, può apparire necessario avere il giudizio di un esperto in ordine a circostanze specifiche che assumano rilevanza processuale. In siffatte ipotesi non è sempre inevitabile il ricorso alla perizia, ma può apparire sufficiente anche il parere tecnico espresso da un esperto che, invece che dal giudice, venga scelto dalla parte.
Tale parere non costituisce prova, ma attraverso l’esame dibattimentale dell’esperto, è suscettibile di diventare tale. Come si è detto, all’espletamento della (—) può procedere un soggetto qualificato (esperto) nominato da una delle parti. La legge si preoccupa altresì di contemperare le esigenze investigative del P.M. con quelle del contraddittorio.
Accanto a questa figura di (—), se ne può affiancare un’altra che ha caratteristiche parzialmente diverse, in quanto suppone l’espletamento di una perizia, alla quale partecipano gli eventuali tecnici di fiducia delle parti (i periti vengono infatti nominati dal giudice, e scelti da un apposito albo). L’art. 225 c.p.p. precisa che il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti.
Consuetudine (teoria gen.) (Custom)
Costituisce tipica fonte del diritto non scritto. La caratteristica peculiare della (—) consiste nel fatto che essa non è il prodotto della volontà di un determinato organo dotato di potestà normativa, ma una regola che viene a formarsi a seguito del costante ripetersi di un dato comportamento nell’ambito di una determinata collettività.
La (—) consta dei seguenti elementi:
— elemento oggettivo (diuturnitas), derivante dal ripetersi per un periodo indeterminato di un comportamento costante ed uniforme da parte della collettività;
— elemento soggettivo (opinio iuris ac necessitatis), cioè la convinzione che l’osservanza di un certo comportamento corrisponda all’osservanza del diritto.
Tradizionalmente si distingue tra (—):
— secundum legem, che è quella richiamata dalle leggi scritte;
— praeter legem, che regola materie non disciplinate da fonti scritte;
— contra legem, cioè la (—) cd. abrogativa di norme di legge, che è inammissibile in quanto è contraria all’art. 8 disp. prel.
(—) costituzionale
La (—) costituzionale deriva dal ripetersi uniforme e costante di un determinato comportamento da parte dei soggetti politici costituzionali. Rispetto alle altre (—), quelle costituzionali sono caratterizzate dal fatto che la reiterazione dei comportamenti può anche avere una dimensione temporale molto limitata. Esse sono fonti di rango costituzionale [Fonti del diritto] e, pertanto, sono superiori alla legge ordinaria e la vincolano.
Non è ammissibile una (—) contra constitutionem, e non può parlarsi nemmeno di (—) secundum constitutionem, perché la Costituzione non richiama mai la (—). Sono ammissibili solo le (—) praeter constitutionem.
La prassi costituzionale va distinta dalla (—), perché manca dell’opinio iuris ac necessitatis.
(—) internazionale (d. internaz.)
La (—) è una regola non scritta avente carattere obbligatorio per i soggetti di diritto di un determinato ordinamento giuridico.
La (—) è fonte di primo grado nella gerarchia delle norme dell’ordinamento giuridico internazionale. Essa tuttavia è caratterizzata da una certa flessibilità cosicché può essere derogata mediante accordo. Esistono però alcune (—) non derogabili in quanto tutelano valori fondamentali della comunità internazionale [Jus cogens].
La (—) internazionale, secondo la tesi prevalente (dualistica) in dottrina, consta di due elementi:
— un elemento oggettivo, la diuturnitas o usus, ovvero, la ripetizione costante ed uniforme di un dato comportamento;
— un elemento soggettivo, l’opinio juris ac necessitatis, ovvero il convincimento che tale comportamento sia giuridicamente dovuto.