Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-04-2011) 11-04-2011, n. 14253 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 28.12.2006, il G.U.P. del Tribunale di Pescara dichiarò L.Z. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80 e – concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza in data 20.6.2007, confermò la decisione di primo grado.

A seguito di ricorso dell’imputato, la Corte suprema di cassazione, Sezione 6A penale, con sentenza 14.10.2009 annullò la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in quanto la sentenza d’appello non era sottoscritta dal presidente del collegio giudicante che aveva partecipato al giudizio.

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza in data 23.4.2010 confermò la sentenza di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato dal momento che l’imputato non sarebbe stato consapevole del quantitativo di droga occultato sul veicolo del quale era detentore; la Corte territoriale avrebbe trascurato gli elementi a favore della tesi difensiva; gli elementi posti a base della conferma dell’affermazione di responsabilità sarebbero evanescenti: il fatto che l’imputato all’epoca del fatto non parlasse la lingua italiana e non avesse una prenotazione relativa all’alloggio per le vacanze non è decisivo alla luce del fatto che egli parlava l’inglese e gli era stato rappresentato che avrebbe trovato cartelli con offerte di affitto; inoltre gli operatori turistici non sarebbero chiusi nel fine settimana a Pescara; sarebbe incompatibile con la qualità di accademico, diplomatico e funzionario di un’organizzazione internazionale il gelido comportamento relativo al trasporto di 20 Kg di droga; non avrebbe lasciato il veicolo incustodito per cercare posto in ogni hotel; non oppose l’immunità diplomatica ma seguì la Guardia di finanza; sarebbe anomala la scelta di bloccare il corriere anzichè attendere la consegna della merce; il teste M.llo P. non ha saputo fornire giustificazioni al riguardo; su tali deduzioni la Corte d’appello ha omesso di motivare; non si può invertire l’onere della prova anche perchè l’imputato ha riferito di essere vittima di un complotto internazionale e sarebbero state necessarie indagini in Kosovo; l’auto era noleggiata e la droga potrebbe essere stata caricata a sua insaputa; il principio attivo contenuto nei 20 Kg di droga era ridicolmente basso;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche alla quali ha fatto riferimento il teste M.llo P.; la Corte territoriale ha affermato che le stesse non erano state utilizzate dal giudice di primo grado quanto al contenuto; in realtà le intercettazioni, insieme al sequestro della droga, sarebbero state l’elemento cardine per l’affermazione di responsabilità; sulla scorta delle stesse è stata valutata l’attendibilità del M.llo P.; inoltre è stata negata la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti in ragione dell’essere il reato per cui si procede episodio di traffico internazionale, ma ciò risulterebbe solo dalle intercettazioni di cui non vi è traccia in atti;

3. violazione di legge in ordine alla circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 nonostante il principio attivo fosse al 2,8%, sicchè sarebbero oscure le ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto che la droga sequestrata avrebbe consentito di confezionare 34.000 dosi;

4. vizio di motivazione in relazione al giudizio di comparazione fra circostanze attenuanti ed aggravante, in quanto la gravità del fatto è insita nell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80;

sarebbero state trascurate la vita pregressa il trauma dell’arresto, la perdita del lavoro e l’isolamento linguistico in carcere.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata ed inoltre è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha specificamente motivato, anche richiamando la sentenza di primo grado sulle ragioni della ritenuta inverosimiglianza della versione difensiva. In particolare ha ritenuto che le ragioni del viaggio allegate (trovare un alloggio per trascorrere due settimane di vacanza a Pescara nel successivo mese di luglio) erano incredibili, a fronte della durata del viaggio e della necessità di rientrare (p. 7 sentenza impugnata). Ad avviso della Corte d’appello la tesi del complotto è poi stata prospettata dall’imputato con argomenti generici.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

E’ manifestamente infondato il motivo nella parte in cui sostiene l’omessa motivazione in ordine agli elementi rassegnati.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, (in questo senso v. Cass. Sez. 4 sent. n. 1149 del 24.10.2005 dep. 13.1.2006 rv 233187).

Del resto questa Corte ha chiarito che "In sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, si da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione". (Cass. Sez. 2 sent. n. 29434 del 19.5.2004 dep. 6.7.2004 rv 229220. Nella specie la Corte ha ritenuto che la semplice circostanza che alcuno dei collaboranti avesse taciuto in ordine alla presenza di uno dei coimputati in seno all’associazione per delinquere, non incrinava la logicità della motivazione della Corte di merito che aveva confermato la responsabilità dell’imputato).

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha dato atto che le intercettazioni (non acquisite al procedimento), sono state richiamate solo per dar conto del perchè la Guardia di Finanza attendeva l’imputato.

Non è vero che la decisione si fonda su tali intercettazioni, ma la responsabilità è stata ritenuta a seguito del rinvenimento dell’eroina.

Quanto al riferimento ad un episodio di traffico internazionale, lo stesso appare pacifico per la provenienza dell’imputato dal Kosovo e prescinde dalle intercettazioni.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

Dalla sentenza risulta che il quantitativo di eroina sequestrato era di quasi 19 Kg e che il principio attivo ammontava a 848,43 grammi che avrebbero consentito il confezionamento di quasi 34.000 dosi medie singole (p. 7 sentenza impugnata).

Si tratta di valutazione di merito non censurabile in questa sede se non sotto il profilo del travisamento del contenuto di atti che avrebbero dovuto essere specificamente indicati.

Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 c.p.. E gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 3163 del 28.11.1988 dep. 25.2.1989 rv 180654).

A ciò la Corte territoriale si è attenuta, valutando non solo l’ingente quantità, ma la complessiva gravità del fatto, inserito in contesto internazionale.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-07-2011, n. 16318 Onorari

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orbimento del ricorso incidentale condizionato.
Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza pubblicata il 5 maggio 2005, il Tribunale di Cosenza, adito ai sensi della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, (Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile), ha liquidato in favore dell’Avv. C. D., in parziale accoglimento del suo ricorso, la somma di Euro 80.173, di cui Euro 58.173 già versati, a titolo di compenso per l’attività professionale svolta in favore della Banca Popolare di Crotone in un giudizio civile svoltosi dinanzi allo stesso Tribunale, condannando la Banca al relativo pagamento.

Per quanto qui ancora rileva, il Tribunale ha ritenuto la causa presupposta, ai fini della liquidazione del compenso sulla base della tariffa professionale, di valore indeterminabile: sia perchè l’attore Co.Vi., nelle conclusioni dell’atto di citazione, aveva formulato diverse domande di valore indeterminabile, come la nullità delle operazioni bancarie che lo riguardavano, la condanna alla restituzione dei titoli in portafoglio e l’accertamento della violazione degli obblighi di diligenza, con condanna al risarcimento dei danni per la somma di lire 150 miliardi; sia perchè la somma di danaro a titolo risarcitorio non era indicata in una misura determinata o determinabile, ma in maniera generica.

Per la cassazione di questa ordinanza l’Avv. C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 24 maggio 2005, sulla base di un motivo.

La Banca Popolare di Crotone ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo entrambe le impugnazioni proposte contro la stessa ordinanza.

2. – Con l’unico motivo (violazione dell’art. 6 della tariffa professionale approvata con D.L. 5 ottobre 1994, n. 585, e degli artt. 10 e 14 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, oltre che omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente in via principale si duole che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto la causa di valore indeterminabile (anzichè di valore pari a lire 150 miliardi), applicando di conseguenza le corrispondenti tariffe professionali. Ad avviso dell’esponente, il primo giudice avrebbe errato: (a) a valutare le domande in senso atomistico, senza considerare che l’azione introdotta era un’azione di danni, nella quale gli accertamenti richiesti avevano una valenza solo strumentale rispetto al conseguimento del risarcimento; (b) a non tenere conto che l’attore aveva richiesto il risarcimento del danno nella somma di lire 150 miliardi, laddove l’indicazione della diversa somma "maggiore o minore che risulterà in corso di causa" sarebbe inidonea ad influire sulla determinazione della competenza per valore e a far rientrare la causa tra quelle di valore indeterminabile.

3. – Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato (violazione e falsa applicazione del D.L. 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 5 e 6, e allegate tabelle, nonchè dell’art. 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), la Banca si duole che il Tribunale abbia deciso secondo equità, liquidando una somma complessiva (a titolo di onorari e diritti) prima facie largamente superiore ai massimi tabellari previsti per le cause di valore indeterminabile e di particolare importanza, perfino al quadruplo dei massimi tabellari, astrattamente attribuibile ma solo in presenza di un preventivo parere, nella specie mancante, del Consiglio dell’ordine.

Il secondo motivo del medesimo ricorso incidentale condizionato denuncia "violazione e falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28, 29 e 30; violazione e falsa applicazione degli artt. 360, 112 e 113 c.p.c., e art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5". Poichè la Banca, in sede di costituzione in giudizio dinanzi al Tribunale, oltre a contestare il quantum della pretesa del professionista, aveva lamentato diverse inadempienze agli obblighi scaturenti dal mandato difensivo ed aveva preteso, svolgendo apposita domanda riconvenzionale, la restituzione della differenza tra la somma già corrisposta e quella minore che dovesse essere liquidata a titolo di compenso, il primo giudice avrebbe dovuto trasformare il rito in quello ordinario di cognizione. Inoltre, l’assenza di ogni, sia pur minimo, apparato motivazionale sulle allegate inadempienze del professionista e l’omessa pronuncia sulla riconvenzionale proposta determinerebbero un vizio insanabile della decisione impugnata.

Con il terzo mezzo (violazione e falsa applicazione del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 5 e 6, e allegate tabelle, nonchè dell’art. 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), la Banca si duole che il Tribunale – pur esattamente individuato il criterio astrattamente applicabile – abbia omesso di procedere alla verifica analitica delle prestazioni eseguite e ad una loro liquidazione secondo le voci tariffarie.

4. – L’unico motivo del ricorso principale è infondato, anche se la motivazione dell’ordinanza impugnata deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., perchè in parte erroneamente motivata in diritto.

4.1. – Dall’atto di citazione notificato nei confronti della Banca si ricava per tabulas che l’attore aveva proposto le seguenti domande:

"Voglia l’On. Tribunale… nel merito accertare la responsabilità solidale delle aziende di credito citate, la loro antigiuridicità ed illiceità, l’inadempimento contrattuale, la nullità delle operazioni bancarie compiute in dispregio delle norme, l’obbligo alla restituzione dei titoli in portafoglio e la statuizione che nulla è dovuto, la violazione degli obblighi di diligenza del banchiere e la conseguente responsabilità delle stesse nel collasso finanziario dell’azienda e per l’effetto condannarle in solido al risarcimento dei danni, per le motivazioni di cui in narrativa, per la somma di lire 150 miliardi o quell’altra maggiore o minore che risulterà in corso di causa". 4.2. – Ai fini della determinazione dello scaglione per la liquidazione degli onorari di avvocato, il parametro di riferimento è costituito dal valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile e, quindi, in tema di obbligazioni pecuniarie, dalla somma pretesa con la domanda di pagamento (art. 10 c.p.c.); ne consegue che in una causa nella quale l’attore indica con precisione l’ammontare del suo credito risarei torio e chiede che quell’ammontare gli sia attribuito dal giudice, la formula di gergo forense "o quell’altra maggiore o minore che risulterà in corso di causa" ha natura di clausola di stile ed è inidonea a trasformare il valore della causa, il quale resta delimitato dalla somma specificata, non potendo la causa essere considerata di valore indeterminabile (cfr. Cass., Sez. 3^, 15 giugno 1973, n. 1744; Cass., Sez. 3^, 5 febbraio 197 6, n. 401).

4.3. – E’ pertanto errata la motivazione dell’ordinanza impugnata là dove ha ritenuto che la somma di danaro richiesta a titolo risarcitorio era di valore indeterminabile, attesa la presenza – accanto all’indicazione dell’importo di lire 150 miliardi – della formula "o quell’altra maggiore o minore che risulterà in corso di causa". 4.4. – Sennonchè, il dispositivo del provvedimento del Tribunale di Cosenza è conforme a diritto, perchè la ratio concorrente su cui si fonda – l’avere l’attore proposto una pluralità di domande, la somma delle quali rende comunque la controversia di valore indeterminabile (e di particolare importanza) – sfugge alle censure articolate con il motivo.

4.4.1. – Invero, nel giudizio presupposto l’attore non si è limitato a chiedere la condanna della Banca al risarcimento dei danni per la somma di lire 150 miliardi, ma ha anche formulato altre domande, tutte di valore indeterminabile: l’accertamento della nullità delle operazioni bancarie compiute in violazione delle norme di legge e di comportamento; la condanna della banca alla restituzione dei titoli in portafoglio; l’accertamento, ancora, che nulla era dovuto dall’attore alla Banca in relazione ai rapporti intercorsi.

4.4.2. – Ora, ai fini della determinazione dello scaglione per la liquidazione degli onorari di avvocato, ove siano proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed una, di risarcimento del danno, di valore determinato, esse si cumulano tra loro, e la causa va ritenuta di valore indeterminabile (cfr. Cass., Sez. Lav., 1 aprile 2003, n. 4937).

5. – Il ricorso principale è rigettato.

Il ricorso incidentale – espressamente condizionato (si veda pag. 14 del controricorso che lo veicola, ove è scritto che "lo scrupolo di difesa sollecita a proporre la seguente impugnativa condizionata per il caso in. cui fosse accolto il ricorso avversario"; e si vedano le conclusioni, a pag. 20, con le quali si chiede "il rigetto del ricorso per cassazione spiegato dall’Avv. C.D., siccome inammissibile e/o infondato ovvero l’accoglimento dello spiegato ricorso incidentale condizionato, con tutte le conseguenti e connesse statuizioni, anche in ordine alle spese di giudizio") – resa assorbito.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese processuali sostenute dalla Banca controricorrente, che liquida, in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 2817 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ha partecipato alla procedura aperta, indetta dall’AORN Caserta, per l’affidamento del servizio di manutenzione, conduzione e gestione degli impianti elettrici, classificandosi al sesto posto in graduatoria dopo l’aggiudicataria C. N. P. S.r.l.

La medesima ha impugnato dinanzi al TAR Campania, con ricorso introduttivo e con tre gravami per motivi aggiuntivi, tutti gli atti relativi a tale procedura, chiedendo la rinnovazione della gara perché afflitta da vizi inerenti alla violazione del diritto comunitario, dei principi di trasparenza, pubblicità e par condicio, del codice degli appalti pubblici, del disciplinare di gara, nonché all’eccesso di potere sotto svariati profili ed all’illegittimità derivata.

Con un quarto gravame per motivi aggiunti, la ricorrente ha poi esteso l’impugnativa anche agli atti mediante i quali l’AORN Caserta ha affidato in via temporanea il servizio in questione con procedura negoziata.

Con sentenza n. 16615/2010, depositata l’otto luglio 2010, i primi giudici hanno respinto il ricorso, così come integrato dai successivi atti di motivi aggiuntivi.

Avverso la predetta sentenza l’impresa S. ha interposto l’odierno appello, contestando gli argomenti posti a fondamento della stessa.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame.

Si è altresì costituita in giudizio la controinteressata C. N. P. S.r.l. la quale, con memoria nei termini, ha eccepito l’inammissibilità del gravame e ne ha contestato la fondatezza nel merito, chiedendone parimenti la reiezione.

All’udienza del 1° febbraio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello è fondato, nei sensi e con gli effetti di seguito precisati.

Osserva in via preliminare il Collegio che:

– nel verbale n. 2 del 04.05.09, viene precisato che " la commissione provvede all’apertura di alcuni plichi relativa all’offerta tecnica senza approfondire i dettagli tecnici ", e che " alla fine dei lavori, tutta la documentazione viene affidata in custodia al segretario della commissione di gara";

– nel verbale n. 3 del 19 maggio, uno dei rappresentanti della ricorrente ha formalmente denunciato e verbalizzato che: " (…) in data 5 maggio 2009, essendo presente con la collega Scognamiglio nella sala dove erano custoditi i plichi delle varie offerte tecniche, per l’accesso agli atti di altra procedura di gara, intorno alle 11.15 ed alla presenza della sig.ra Lucchini e ad altra dipendente, vedeva che il Commissario ing. Quarto chiedeva di prelevare i plichi n. 4 e 5 delle offerte tecniche della presente procedura, tanto è vero che la sig.ra Lucchini, scherzosamente, chiedeva al sottoscritto di prelevare lo scatolone dell’offerta n. 4. Dopo che il Commissario era uscito dalla stanza con i plichi delle offerte tecniche, il dichiarante chiedeva alla sig.ra Lucchini spiegazioni su quanto visto perché ritenuto anomalo in base alla procedura di gara ma non riceveva risposta esaustiva.

Pertanto il dichiarante ritiene che i plichi delle offerte tecniche n. 1, 2, 3 siano stati già aperti, avendo anche visto il plico n. 2 dell’offerta tecnica aperto ".

Dal medesimo verbale risulta che il Presidente, di riscontro a tale rilievo, ha precisato che:

" Ritenendo ancora che la comunicazione alle ditte rappresenta una semplice enunciazione formale, dal momento che già si era antecedentemente esaurita la parte valutativa di ammissibilità alla gara, la Commissione ha avviato le procedure valutative "

Sempre nel verbale, viene infine dichiarato che " alla fine dei lavori, tutta la documentazione viene affidata in custodia al segretario della Commissione di gara ",senza ulteriori precisazioni;

– in tutti i successivi verbali di gara nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 la Commissione, terminati i lavori di valutazione delle singole offerte tecniche presentate dai concorrenti, non fornisce indicazione alcuna circa l’integrità, l’affidamento e le modalità di custodia dei relativi plichi.

1.1 Tanto premesso, erroneamente il giudice di prime cure ha disatteso le censure dedotte dalla ricorrente in ordine alla mancanza delle doverose cautele da adottare a salvaguardia dell’integrità dei plichi contenenti le offerte, ritenendole in parte inammissibili ed in parte infondate.

In primo luogo, infatti, le stesse sono state esplicitate negli atti di motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, e non " introdotte attraverso una memoria difensiva non notificata alle controparti " come viceversa ritenuto nella sentenza appellata, e quindi sono all’evidenza pienamente ammissibili.

In secondo luogo, le stesse risultano ampiamente corroborate dal contenuto dei verbali della commissione di gara, riguardato nel suo complesso, da cui si evince come sopra rappresentato che:

– nella seduta del 4 maggio la commissione ha aperto alcuni plichi relativi all’offerta tecnica, affidando al termine dei lavori tutta la documentazione in custodia al segretario, senza la minima specificazione in ordine alle concrete cautele poste in essere per salvaguardare l’integrità della documentazione stessa;

– nella successiva seduta del 19 maggio, la Commissione non ha effettuato alcuna preliminare constatazione in ordine alla integrità della documentazione di gara e, tanto meno, precisato alcunché circa le concrete modalità di custodia poste in essere per la sua salvaguardia;

– nella medesima seduta del 19 maggio, il Presidente " in nome della Commissione unanime ", non ha smentito il fatto che in data 5 maggio un singolo commissario abbia chiesto e prelevato direttamente taluni plichi contenenti le offerte tecniche in parte già aperti (come contestato dal rappresentante dell’odierna ricorrente), limitandosi sul punto a precisare che erano già state avviate le procedure valutative delle offerte tecniche;

– in tutte le ulteriori sedute effettuate prima della aggiudicazione provvisoria avvenuta il 29 giugno, non è stata fornita la benché minima indicazione in ordine sia al soggetto affidatario dei plichi sia alle modalità di custodia dei plichi stessi e di tutta la restante documentazione di gara.

In altri termini, i verbali di gara in contestazione non solo non forniscono utili indicazioni in ordine alle cautele adottate dalla Commissione per assicurare la doverosa integrità della documentazione nelle varie fasi della gara, ma attestano al contrario l’assoluta carenza di idonee misure di custodia dei plichi contenenti le offerte e finanche la gestione diretta degli stessi al di fuori di una formale seduta, in assenza di qualsivoglia garanzia di pubblicità.

Ne consegue, pertanto, la fondatezza dell’appello attesa la violazione del principio di trasparenza e dell’ordinato svolgimento delle operazioni di gara, secondo i canoni fissati dall’art. 97 della Costituzione.

2. Tanto acclarato, si pone il problema della pronuncia da rendere, avuto riguardo alla normativa contenuta nel codice del processo amministrativo.

Al riguardo, va osservato in via preliminare che:

– la ricorrente si è classificata sesta nella graduatoria della gara in questione;

– sia il ricorso in primo grado che l’odierno appello sono stati proposti in ragione dell’esclusivo interesse strumentale di poter ottenere, tramite l’annullamento degli atti impugnati, l’indizione di una nuova gara a cui poter partecipare vittoriosamente;

– nell’atto introduttivo del giudizio e nel successivo atto di motivi aggiunti non viene avanzata alcuna contestuale istanza di risarcimento danni, né tale richiesta è stata successivamente proposta in qualsiasi forma;

– a seguito dell’aggiudicazione dell’appalto e della stipula del relativo contratto, non è stata richiesta alcuna declaratoria di inefficacia del contratto stesso (e tanto meno, attesa la posizione della ricorrente, il subentro in quest’ultimo);

– ad oggi l’interesse pubblico volge oggettivamente verso il mantenimento del contratto stipulato con l’aggiudicataria, atteso il suo stato di avanzata esecuzione;

2.1 Ciò posto, nel nuovo sistema delineato dal codice del processo amministrativo l’odierno ricorso, diretto all’annullamento dell’aggiudicazione impugnata in primo grado in vista della riedizione della gara, non può dar luogo ad una pronuncia conforme al petitum.

Ed invero, nella specie non soccorre nessuno dei parametri cui l’art. 122 c.p.a. subordina la pronuncia di inefficacia del contratto, condizione necessaria perché la stazione appaltante possa procedere alla rinnovazione della gara.

Ed infatti, l’appellante, classificatasi sesta, non ha effettiva possibilità di conseguire in via diretta l’aggiudicazione alla luce dei vizi riconosciuti, di natura esclusivamente strumentale, e tanto meno, la possibilità di subentrare nel contratto.

Inoltre, essendo il contratto in stato d’avanzata esecuzione, non è possibile la stessa rinnovazione della gara

In questa situazione processuale non soltanto il giudice non ha ragioni per pronunciare l’inefficacia del contratto, ma lo stesso annullamento non recherebbe alcuna utilità all’appellante, non potendo avere alcun contenuto conformativo idoneo a soddisfare l’interesse della stessa.

Orbene, ai sensi dell’art. 34, comma 3 c.p.a., " quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori ".

Tale articolo, infatti, introduce un principio di carattere generale volto da un lato ad inibire l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e, dall’altro, a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento.

In questa ipotesi l’azione costitutiva si depotenzia di quel "quid pluris" – la modificazione di una situazione giuridica – che la caratterizza rispetto al contenuto di accertamento proprio di ogni azione per ridursi a mero accertamento, per il quale il presupposto dell’interesse è costituito dall’interesse risarcitorio.

I termini del quale interesse sono segnati dal quinto comma dell’art. 30 c.p.a., secondo cui, quando sia stata proposta azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata anche sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza: il che rende ragione del fatto che l’enunciato normativo si riferisce all’interesse risarcitorio e non ad una domanda risarcitoria già proposta.

3. Resta da chiarire se l’applicazione della norma presupponga una specifica istanza dell’interessato e se, nella specie, " sussiste l’interesse ai fini risarcitori " come prescritto dalla norma stessa.

Al primo quesito va data risposta negativa.

In tal senso milita, anzitutto, l’argomento testuale. Infatti, la norma dispone che in presenza dei presupposti dalla stessa predefiniti " il giudice accerta l’illegittimità dell’atto ", impiegando una locuzione vincolante.

In secondo luogo, l’accertamento dell’ illegittimità dell’atto impugnato è contenuto nel petitum di annullamento come un presupposto necessario. Siccome il più contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell’interesse a ricorrere, quindi da compiere d’ufficio: in quanto manca l’interesse all’annullamento ma sussiste l’interesse all’accertamento ai fini risarcitori,

In relazione poi al secondo profilo (l’interesse ai fini risarcitori), esso è desumibile dal tipo di controversia e dagli atti di causa.

Ora, è noto come il danno ipoteticamente risarcibile si sostanzi essenzialmente nelle seguenti voci:

a) danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura;

b) lucro cessante, generalmente determinato nel 10% del valore dell’appalto;

c) un’ulteriore percentuale del valore dell’appalto a titolo di perdita di chance, legata all’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito..

Ciò posto, è di tutta evidenza come nella specie sussista oggettivamente uno specifico interesse che, in ipotesi,ben potrebbe essere coltivato a fini risarcitori, in relazione ad eventuali spese di partecipazione alla gara e all’eventuale perdita di chances che l’impresa possa allegare.

Ne consegue che, nella specie, sussistono tutti i presupposti per una pronuncia ai sensi del richiamato comma terzo dell’art. 34 del codice del processo.

4. L’appello, pertanto, va accolto nei sensi e con gli effetti sopra specificati.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi specificati in motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e accerta l’illegittimità degli atti in tale sede gravati.

Condanna l’amministrazione resistente e la società controinteressata al pagamento in solido in favore della ricorrente delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in euro 6.000,00 (seimila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-04-2011) 26-05-2011, n. 21209 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

hiesto l’accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2.2.2010 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del GUP di Milano in data 9.3.2009 con la quale erano state inflitte (anche) le seguenti condanne:

– E.R., anni 16 di reclusione per i delitti di cui ai capi 3, 7, 9 e 14;

– O.N., anni 16 di reclusione per i delitti di cui ai capi 3, 7, 9 e 14;

– K.S., anni 6 di reclusione per i delitti di cui ai capi 3 e 14;

– KR.HA., anni 4 di reclusione ed euro 12.000,00 di multa per il delitto di cui al capo 3;

– S.G., anni 10 di reclusione per i delitti di cui ai capi 5, 7, 11, 12 e 14;

– H.J., anni 7 e mesi 4 di reclusione per il delitto di cui al capo 13, ritenuto il vincolo della continuazione tra il reato associativo giudicato (più grave) e il reato giudicato con sentenza del GUP di Milano in data 27.10.2007.

E’ opportuno esaminare i ricorsi con riferimento a ciascun capo di imputazione.

Capo 3 dell’imputazione per il quale hanno proposto ricorso E. R., O.N., K.S. e Kr.Ha..

Il fatto contestato riguarda la detenzione di un imprecisato quantitativo di eroina in un box, sito in (OMISSIS), di cui K.S. era il conduttore. E.R. e O. N. (insieme a O.X.), i quali detenevano l’eroina nel suddetto box, avevano dato disposizioni a K.S. e alla di lui moglie Kr.Ha. per la consegna a terzi di eroina; i predetti coniugi avevano prelevato dal box una borsa frigo contenente detta sostanza per poi depositarla di nuovo nello stesso box;

successivamente E. e i fratelli O. avevano dato disposizioni a K. di trasferire altrove la sostanza stupefacente e il predetto, insieme a O.H., aveva prelevato detta sostanza dal box, trasportandola in altro nascondiglio non identificato. Fatto commesso tra il (OMISSIS).

La responsabilità dei ricorrenti E. e O., secondo la sentenza impugnata, è risultata in modo evidente dalle modalità di frequentazione di entrambi del suddetto box; dagli spostamenti nello stesso box, in entrata e in uscita, di borse e involucri ad opera dei suddetti imputati; dal contenuto non equivoco di telefonate intercettate, in tempi pienamente compatibili con gli spostamenti posti in essere dagli imputati; il (OMISSIS) gli stessi erano stati visti dagli operanti introdurre nel box una borsa frigo e una borsa di plastica bianca visibilmente piena e, il giorno dopo, E. e O. erano stati notati entrare nello stesso box a bordo di un’auto Seat Ibiza intestata ad A.A., persona coinvolta nei medesimi traffici di droga, essendo stata arrestata successivamente in possesso di oltre otto chili di eroina.

Non poteva essere accolto il motivo dedotto da O.N., secondo il quale i suoi fratelli X. e H. avrebbero agito in questo episodio in piena autonomia, sia per la precisa e compiuta attività dallo stesso svolta, sia per il ruolo di organizzatore e di responsabile dell’attività del sodalizio criminoso.

La responsabilità di K.S. era risultata in modo evidente, in quanto aveva messo a disposizione dei coimputati il box a lui intestato; inoltre il suo coinvolgimento nei traffici di droga si poteva desumere dal contenuto delle telefonate intercettate, con riguardo soprattutto al tentativo di consegna di eroina; l’imputato, inoltre, aveva trasferito la droga in altro nascondiglio non identificato, come chiaramente risultava dalla telefonata n. 576 del 21.2.2005.

La responsabilità di Kr.Ha. derivava dalla sua diretta partecipazione al recupero, insieme al marito, del quantitativo di eroina in questione per ricollocarlo nel box di (OMISSIS).

Nei motivi di ricorso di E.R. si è criticata l’illogicità della valenza accusatoria attribuita al fatto che il predetto imputato si fosse recato il giorno (OMISSIS) nel box con l’auto di A.A., il quale solo quattro mesi dopo era stato tratto in arresto per detenzione di eroina.

La Corte di appello non aveva risposto ad uno specifico motivo di impugnazione, con il quale si era messo in evidenza che, dopo il (OMISSIS), giorno in cui era stata prelevata la borsa che secondo l’impianto accusatorio conteneva l’eroina, E. non aveva avuto alcun contatto telefonico con i coimputati.

Nel ricorso presentato da O.N. si è messo in evidenza che la responsabilità del predetto era stata ricollegata al solo fatto che, insieme ad E., avrebbe introdotto la sostanza nel box, senza però considerare – come si era fatto osservare nei motivi d’appello – che l’imputato pochi giorni dopo non era più in Italia, e quindi non poteva aver impartito alcuna istruzione a K. con riguardo alla consegna dell’eroina.

Non vi era poi la certezza che la borsa frigo portata nel box il (OMISSIS) fosse la stessa che K. aveva poi prelevato dallo stesso box il (OMISSIS), e comunque non vi era prova certa che detta borsa contenesse sostanza stupefacente.

Nel ricorso presentato in favore di K.S. e K. H. si denuncia l’illogicità della motivazione, poichè non risultava il motivo per il quale i predetti dovessero essere a conoscenza del contenuto della borsa contenuta nel cofano dell’autovettura nella quale avevano viaggiato.

Dalle conversazioni intercettate si poteva arguire che gli imputati avessero intuito che il contenuto della borsa fosse approssimativamente illecito, ma non che fossero consapevoli della natura di quanto contenuto nella borsa.

Capo 5 – dell’imputazione per il quale ha proposto ricorso S. G..

Il fatto – contestato anche a E.R., O.N., i quali però erano stati assolti in primo grado, nonchè ad O. X. e A.A. – riguarda l’importazione in Italia di un imprecisato quantitativo di eroina, successivamente ceduto da O.X. ad A.A. e S.G..

Fatto commesso tra il (OMISSIS).

La Corte di appello ha ritenuto che la responsabilità dello S. risultasse in modo certo dal contenuto delle telefonate intercettate, anche se gli interlocutori avevano utilizzato un linguaggio convenzionale per mascherare il reale oggetto delle conversazioni intercettate.

In particolare, da dette conversazioni era emerso che S. riforniva di eroina A. e gli dava istruzioni sui modi in cui doveva smerciare la droga senza correre rischi.

La difesa di S. ha denunciato la contraddittorietà della motivazione della sentenza, poichè aveva ritenuto che le conversazioni dalle quali si doveva desumere la responsabilità del predetto erano di univoco e chiaro significato, ma anche caratterizzate da un linguaggio convenzionale che, per le espressioni utilizzate, era necessariamente suscettibile delle più diverse interpretazioni.

Capo 7 – dell’imputazione per il quale hanno proposto ricorso E. R., O.N. e S.G..

Il fatto contestato riguarda la spedizione dal Kosovo a Milano di un quantitativo imprecisato di eroina, spedito da E. e ricevuto dai fratelli O.N. e X. a (OMISSIS); quest’ultimo aveva poi ceduto il quantitativo di eroina ad A.A. e S.G..

Fatto commesso tra il (OMISSIS).

La Corte di appello ha tratto la prova della responsabilità dei suddetti imputati dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, rinvenendo nelle conversazioni intercettate chiari riferimenti alla spedizione di un quantitativo di eroina; dalle modalità e dal numero dei contatti telefonici, che avvenivano soltanto attraverso utenze riservate agli affari di droga; dal linguaggio criptico e allusivo utilizzato, che però aveva consentito di comprendere l’utilizzazione di un corriere e che l’eroina sarebbe stata consegnata nella città di (OMISSIS).

Dall’esame dei tabulati telefonici era stato possibile accertare anche che O.N. si era spostato a (OMISSIS) in occasione della consegna dello stupefacente.

La responsabilità di S. era stata acclarata per il fatto che si era accordato per telefono con O.X. per la consegna della droga ad A..

Nei ricorsi in favore di E.R., O.N. e S. G. si sostiene che la responsabilità degli imputati è stata tratta solo da presunzioni e congetture, senza prove certe, e che arbitrariamente si era dato un significato in chiave accusatoria ad oscure espressioni criptiche ed allusive.

Capo 9 – dell’imputazione per il quale hanno proposto ricorso E. R. e O.N..

Il fatto contestato riguarda il sequestro in data (OMISSIS) nei confronti di A.B. (contro il quale si è proceduto separatamente) di kg. 10,5 di eroina (kg. 1,475 di eroina intesa come pura). Oltre ai ricorrenti e all’ A., è stato condannato per il capo 9 anche O.X..

La Corte di appello ha ritenuto che il coinvolgimento di E. R. e di O.N. fosse provato dal contenuto delle conversazioni tra gli imputati intercettate nei giorni 25, 26 e 27 maggio 2005, dalle quali emergeva chiaramente che E.R., che si trovava in (OMISSIS), aveva spedito il suddetto quantitativo di eroina ai fratelli O., che si trovavano a (OMISSIS), i quali l’avevano poi consegnato per la vendita all’ A., al quale detto quantitativo era stato poi sequestrato.

Ha ritenuto, inoltre, che il quantitativo di eroina sequestrato fosse ingente, poichè costituiva un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idoneo a soddisfare, per un notevole periodo di tempo, le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti.

I ricorrenti hanno sostenuto che dal contenuto della telefonata n. 488 del 25.5.2005 tra O.X. e persona non identificata risulterebbe che il quantitativo di dieci chili di eroina non era stato spedito da E., ma era già nella disponibilità del predetto O., il quale l’avrebbe consegnato all’ A. all’insaputa dei ricorrenti.

Hanno sostenuto, inoltre, che la telefonata del 25.5.2005 intercorsa tra i ricorrenti non avrebbe il significato accusatorio che le aveva attribuito la sentenza impugnata.

Hanno denunciato che la Corte di appello non aveva considerato lo specifico motivo che era stato dedotto con i motivi d’appello riguardante il contenuto delle suddette telefonate.

Hanno contestato che sia stata applicata per il suddetto quantitativo di eroina l’aggravante dell’ingente quantitativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non potendosi considerare eccezionale il quantitativo in questione, tenuto conto della quantità di eroina trattata in transazione del genere nell’ambito territoriale.

Capo 12 – dell’imputazione per il quale ha proposto ricorso, solo in relazione all’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, S.G..

Il fatto – commesso in concorso con O.X., G.R. e A.A. – riguarda il sequestro di undici chili di eroina, avvenuto presso l’abitazione di G.R. nel giugno (OMISSIS).

Nella sentenza impugnata, rinviando a quanto già osservato a proposito dell’aggravante in questione in relazione al capo 9, si è messo in rilievo che i suddetti concorrenti dello S. erano stati definitivamente condannati dalla Corte di appello di Brescia con sentenza in data 2.4.2007, con la quale era stata ritenuta la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantitativo.

La difesa dello S. ha sostenuto che il suddetto quantitativo di eroina, con contenuto di principio attivo pari al 15%, non poteva essere definito ingente, in quanto non in grado di saturare il mercato clandestino, sia pure in un ambito territoriale limitato.

Capo 13 dell’imputazione per il quale ha proposto ricorso H. J..

In questo capo è stato contestato al predetto imputato il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, per aver partecipato ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, in qualità di partecipe e con il compito di smistare in Italia lo stupefacente proveniente dall’Albania. Fatto commesso dall’ (OMISSIS).

La Corte di appello ha ritenuto che l’imputato fosse pienamente consapevole di essere legato da un vincolo associativo con H. E., H.A., D.R., M.A. e T. M.. Le suddette persone si erano date una organizzazione di discreto livello e altamente efficiente, anche con suddivisione di ruoli, per importare in Italia consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti. La natura degli affari trattati e i rapporti tra le persone suddette erano stati dedotti in modo inequivocabile dal contenuto delle telefonate intercettate e dai sequestri di droga eseguiti. H. era risultato particolarmente attivo nel dare un sostegno ad H.A.. Era risultato coinvolto non solo nell’episodio di spaccio per il quale era stato separatamente condannato, ma anche in altri numerosi affari di droga trattati dall’associazione. Dalla telefonata n. 142 tra i fratelli H. E. e A. si poteva dedurre che H. intratteneva buoni rapporti a Milano che gli consentivano di esitare velocemente la sostanza stupefacente.

Nel ricorso presentato dal difensore dell’imputato sono state denunciate carenze nella motivazione della sentenza impugnata.

I rapporti degli imputati, ricostruiti tramite le intercettazioni telefoniche, dovevano essere inquadrati nel semplice concorso di persone nel reato, non potendosi identificare la struttura del reato associativo con quella minima attività di coordinamento che è necessaria anche nell’ipotesi di concorso di persone nel reato.

H. aveva partecipato ad un unico episodio di spaccio, per il quale era stato già condannato, e la sua inconsapevolezza di far parte di un’associazione si poteva dedurre anche dal fatto che avesse avuto rapporti solo con H.A. e, in pochissime occasioni, con H.E..

Capo 14 – dell’imputazione per il quale hanno proposto ricorso E.R., O.N. e K.S..

In questo capo è stato contestato (anche) ai predetti il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 per aver partecipato ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati concernenti le sostanze stupefacenti, con i seguenti ruoli:

– E., dirigente ed organizzatore, con il compito di inviare dal Kosovo lo stupefacente ai referenti in Italia;

– O., dirigente e organizzatore, con il compito di inviare o far pervenire dal Kosovo lo stupefacente ai referenti in Italia;

– K., partecipe, con il compito di smistare in Italia lo stupefacente proveniente dal Kosovo;

– S., partecipe, con il compito di smistare in Italia lo stupefacente proveniente dal Kosovo.

Nella sentenza impugnata si è rilevato che la struttura di cui facevano parte i suddetti imputati si basava su un rapporto stabile tra gli stessi ed appariva adeguatamente organizzata, dotata di luoghi in cui occultare la sostanza stupefacente, con disponibilità di numerose autovetture e consistenti somme di denaro, caratterizzata da una suddivisione di ruoli tra gli associati. L’associazione si era procurata all’estero canali di rifornimento della droga e poteva contare su incaricati della distribuzione della droga in Italia.

I legami di parentela tra alcuni associati (i fratelli O., dei quali E. era il cugino) costituivano un rafforzamento della solidità del vincolo tra gli associati. Risultava provato il ruolo preminente nell’associazione rivestito da E. e da O. N., in quanto gli stessi si occupavano dell’importazione dell’eroina in Italia e impartivano direttive agli altri associati;

inoltre, esercitavano un controllo su tutte le attività dell’associazione, scegliendo i corrieri, curando il trasporto e decidendo le modalità di consegna della droga. Il ruolo sovraordinato di E. e O. risultava anche dal fatto che stabilivano i prezzi ai quali doveva essere venduto lo stupefacente e che gli altri associati eseguivano le direttive dagli stessi impartite.

K., nell’ambito dell’associazione, aveva ricoperto un ruolo specifico ed essenziale per l’attuazione del programma, essendo a lui intestato il box di (OMISSIS), uno dei luoghi in cui veniva custodito ed occultato lo stupefacente; inoltre si occupava delle consegne della droga, eseguendo le disposizioni dei suddetti organizzatori.

S. aveva ricoperto un ruolo importante nell’ambito dell’associazione, in quanto aveva partecipato a numerosi episodi di cessione dello stupefacente; inoltre, aveva anche il potere di concludere le trattative con gli acquirenti.

I difensori di E.R. e di O.N. hanno denunciato vizi di motivazione nella sentenza impugnata, che non aveva dimostrato l’esistenza di una struttura destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti. In particolare, aveva confuso la stabilità dei rapporti che normalmente esiste tra persone legate da vincoli di parentela con l’esistenza di una vera e propria societas sceleris tra gli imputati.

E. era stato ritenuto un organizzatore dell’associazione, senza che ne ricorressero i presupposti. In particolare, non si era considerato che l’imputato non era stato coinvolto in diversi episodi di cessione di stupefacente; contrariamente alle risultanze la sentenza impugnata aveva affermato che il predetto seguiva le fasi successive alla consegna della droga agli acquirenti e che gli altri associati si dovevano attenere alle sue direttive.

O. era stato ritenuto un dirigente e organizzatore dell’associazione, quando lo stesso aveva invece svolto un ruolo del tutto paritetico agli altri coimputati. La Corte d’appello non aveva considerato che il predetto non era risultato coinvolto negli episodi di cui ai capi 5, 11 e 12. In contraddizione con le risultanze, aveva ritenuto che l’imputato impartisse direttive ai coimputati e che seguisse personalmente le fasi successive alla consegna della droga agli acquirenti.

La difesa di K. ha denunciato come del tutto immotivata la ritenuta partecipazione dell’imputato all’associazione. Dalle risultanze si evinceva che il predetto aveva solo occasionalmente partecipato ai fatti che gli erano stati contestati.

Con riguardo alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, ha presentato un motivo di ricorso solo il difensore di K. S. e di Kr.Ha., contestando la legittimità di intercettazioni disposte nei confronti di utenze albanesi, senza chiedere l’autorizzazione alla intercettazione, e nemmeno dandone avviso, all’autorità giudiziaria del predetto Stato.

La Corte territoriale ha ritenuto che le attenuanti generiche non potessero essere riconosciute a E.R., O.N., S.G. (il quale non ha presentato sul punto motivi di ricorso) e A.J., condividendo la motivazione del giudice di primo grado.

Per E. il diniego delle predette attenuanti si fondava sulla oggettiva gravità delle condotte. L’imputato, avvalendosi della facoltà di non rispondere, aveva certamente esercitato un legittimo diritto, ma aveva dimostrato di non volere collaborare in alcun modo con la giustizia.

Per gli stessi motivi è stata respinta la richiesta di O., aggiungendo che non appariva sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche il comportamento serbato dall’imputato prima della commissione dei fatti.

La Corte di appello ha, infine, negato le attenuanti in questione ad A., in quanto lo stesso risultava gravato da precedenti della stessa natura ed appariva inserito nel mondo del traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

La difesa di E. ha chiesto l’annullamento della sentenza perchè la richiesta delle attenuanti generiche era stata respinta solo per la gravità dei fatti, senza considerare gli altri parametri indicati dall’art. 133 c.p.. In particolare, non si era tenuto conto della condizione familiare, dello svolgimento di una regolare attività lavorativa e dell’assenza di precedenti penali.

Analogo motivo ha dedotto la difesa di O., mettendo in evidenza, in particolare, che la Corte di appello non aveva tenuto conto della breve durata dell’associazione e della regolare condotta tenuta dall’imputato non solo prima ma anche dopo i fatti di cui al presente processo.

La difesa di H. ha denunciato come manifestamente illogica la decisione di negare all’imputato le attenuanti generiche, in quanto lo stesso aveva un solo precedente, relativo tra l’altro all’episodio ampiamente riportato in sentenza, e non appariva assolutamente dotato di una qualche pericolosità sociale. Non si era considerata, inoltre, la giovane età dell’imputato e la severità della pena infintagli dal primo giudice.
Motivi della decisione

Solo il difensore di K.S. e Kr.Ha. ha contestato nei motivi di ricorso la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, sostenendo che non era legittima l’intercettazione disposta nei confronti di utenze albanesi, senza chiedere l’autorizzazione alla intercettazione all’autorità giudiziaria del predetto Stato.

Il motivo di ricorso è stato proposto senza tenere conto della corretta risposta già data sul punto dalla Corte di appello, che si è uniformata al consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il ricorso alla procedura dell’istradamento, e cioè il convogliamento delle chiamate in partenza dall’estero in un nodo situato in Italia, non comporta la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, in quanto in tal modo tutta l’attività d’intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene interamente compiuta nel territorio italiano, mentre è necessario il ricorso all’assistenza giudiziaria all’estero unicamente per gli interventi da compiersi all’estero per l’intercettazione di conversazioni captate solo da un gestore straniero (V. Sez. 1, sent. n. 13972 del 4.3.2009, Rv. 243138).

Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso presentati in favore di E., O., K. e Kr. in relazione al capo 3 dell’imputazione. Il fatto riguarda la detenzione di un imprecisato quantitativo di eroina contenuto in una borsa frigo.

Dalla sentenza impugnata risulta che gli operanti hanno notato E. e O. introdurre, il giorno (OMISSIS), detta borsa frigo nel garage di (OMISSIS) di cui era conduttore K.;

hanno poi notato i predetti imputati ritornare il giorno dopo nel suddetto garage; nei giorni successivi sono state intercettate conversazioni telefoniche dal cui contenuto – confermato dai movimenti dei coniugi K. e Kr. osservati dagli operanti appostati nei pressi del suddetto garage – si è appreso che E. e i fratelli O. avevano dato ordini ai predetti coniugi prima di consegnare la droga contenuta nella predetta borsa frigo – consegna che però non è avvenuta, poichè la borsa frigo contenente la droga era stata riportata nel garage – e poi di prelevarla dal garage e trasportarla in altro nascondiglio. I giudici di merito di primo e secondo grado hanno logicamente e congruamente motivato perchè – dal complesso delle risultanze, e in particolare sia per il genere di attività illecita a cui erano dediti gli imputati, sia per gli spostamenti dagli stessi compiuti, sia soprattutto per il tenore delle conversazioni intercettate – il contenuto della suddetta borsa frigo doveva essere identificato in un imprecisato ma non modico quantitativo di eroina.

Risultando accertato – e neppure sostanzialmente contestato nei motivi di ricorso di E. e O. – che la borsa frigo di cui trattasi è stata introdotta nel garage dai predetti ricorrenti, non assume alcun rilievo, ai fini dell’accertamento della loro responsabilità penale, nè la (contestata) valenza accusatoria dell’autovettura utilizzata dagli stessi per recarsi il giorno dopo nel predetto garage; nè il fatto che, dopo il (OMISSIS), non sono state registrate telefonate di E. ai coimputati; nè che O., nei giorni successivi, si sia allontanato dall’Italia e che quindi non poteva essere identificato tra le persone che avevano dato disposizioni ai suddetti coniugi prima di consegnare e poi di spostare in altro luogo l’eroina contenuta nella borsa frigo.

La difesa di K. e Kr. ha ribadito nel ricorso il contenuto dei motivi d’appello, mettendo in dubbio che i predetti imputati fossero pienamente consapevoli di quale fosse il contenuto della borsa frigo, ma sul punto la risposta del Giudice dell’appello risulta ineccepibile dal punto di vista logico, in quanto ha dedotto detta consapevolezza dal contenuto delle conversazioni telefoniche (non contestato nei motivi di impugnazione) e dai movimenti compiuti dai predetti coniugi in concomitanza con il ricevimento delle telefonate con le quali venivano loro impartite disposizioni in merito alla borsa frigo.

E’ manifestamente infondato il motivo di ricorso presentato in favore di S.G. in relazione al capo 5 dell’imputazione.

La sentenza impugnata fonda la responsabilità di S.G. in ordine a un quantitativo di eroina, che il predetto aveva ricevuto da O.X. e che poi aveva consegnato per venderlo ad A.A., sul contenuto delle telefonate intercettate, dalle quali, in particolare, emergeva che S. – soggetto inserito nell’associazione di cui facevano parte anche i coimputati e coinvolto in altri episodi di smercio di detta sostanza stupefacente – dopo aver ricevuto l’eroina l’aveva consegnata ad A., dandogli istruzione sui modi in cui doveva smerciare la droga senza correre rischi.

Nei motivi di impugnazione il ricorrente si limita a denunciare, in modo del tutto generico e senza fare riferimento ad alcuna conversazione intercettata, la contraddittorietà della motivazione della sentenza, che aveva definito chiaro ed univoco il contenuto delle conversazioni in questione, nonostante gli interlocutori avessero utilizzato un linguaggio convenzionale. Una siffatta critica, sganciata dalle circostanze indicate nella sentenza impugnata e dal contenuto delle conversazioni intercettate, non costituisce un valido motivo di gravame, poichè non risponde al requisito imposto a pena di inammissibilità dall’art. 581 c.p.p., lett. c).

Per la stessa ragione sono manifestamente infondati i motivi di ricorso presentati da E.R., O.N. e S. G. in relazione al capo 7 dell’imputazione, riguardante la spedizione da parte di E. di un quantitativo di eroina dal K., ricevuto a Milano dai fratelli O. e consegnato alle stesse persone di cui al capo 5 ( S. e A.) con l’incarico di venderlo.

Nelle sentenze di primo e di secondo grado l’episodio è stato ricostruito con cura attraverso un’analisi delle conversazioni telefoniche intercorse tra i predetti imputati, riscontrate anche da loro spostamenti, risultanti dai tabulati telefonici, nel luogo in cui era avvenuta la consegna dello stupefacente. Nei motivi di ricorso, senza fare alcun riferimento alle circostanze dalle quali era stata tratta la responsabilità dei predetti imputati e neppure al contenuto di specifiche conversazioni intercettate, si è rivolta una generica critica ai giudici di merito, i quali si sarebbero convinti della responsabilità degli imputati dando un significato in chiave accusatoria a oscure espressioni criptiche e allusive contenute nelle conversazioni intercettate.

Merita, invece, accoglimento il ricorso di E.R. e O. N. in relazione al capo 9.

Nei motivi di appello i predetti imputati avevano messo in evidenza che dalla conversazione intercettata n. 488 del 25.5.2005, intercorsa tra O.X. e una persona non identificata, risultava che il quantitativo di dieci chili di eroina oggetto del capo di imputazione non era stato spedito da E. ma era già nella disponibilità del predetto O.. la Corte di appello ha omesso di prendere in esame questo specifico e rilevante motivo di impugnazione, limitandosi a ribadire che dal contenuto delle telefonate intercorse tra gli imputati risultavano confermate le circostanze indicate nel capo di imputazione.

Avrebbe dovuto, per giungere come è giunta a una conferma della sentenza di primo grado, esaminare il contenuto della suddetta telefonata e spiegare le ragioni per le quali la stessa non smentirebbe la tesi sostenuta dall’accusa.

Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Dovrà anche essere riesaminato il trattamento sanzionatorio nei confronti di E.R. e O.N., alla stregua degli esiti del riesame demandato da questa Corte al giudice di appello.

E’ manifestamente infondato il motivo di ricorso presentato in favore di S.G. in relazione al capo 12.

Il ricorrente sostiene che il quantitativo di undici chilogrammi di eroina, con un contenuto di principio attivo pari al 15%, non integra l’aggravante dell’ingente quantitativo, in quanto la predetta quantità non sarebbe in grado di saturare il mercato clandestino, sia pure in un ambito territoriale limitato. La Corte di appello, seguendo i criteri più volte ribaditi da questa Corte per valutare la sussistenza dell’aggravante in questione, ha correttamente osservato che il predetto quantitativo di eroina deve essere considerato ingente poichè – tenuto conto del grado di concentrazione accertato di sostanza stupefacente – costituiva un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idoneo a soddisfare, per un notevole periodo di tempo, le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti.

Il criterio secondo il quale il quantitativo di stupefacente deve considerarsi ingente solo se è in grado di saturare un determinato mercato clandestino non appare idoneo a fornire sicuri elementi per l’accertamento dell’aggravante de qua, sia per la sua indeterminatezza sia perchè la suddetta valutazione deve essere fatta in assoluto e non in relazione alle variabili esigenze dei diversi mercati clandestini esistenti nel territorio nazionale.

Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso con i quali il difensore di H.J., in relazione all’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti di cui al capo 13, e i difensori di E., O., K., in relazione all’associazione per delinquere anch’essa finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti di cui al capo 14, hanno contestato la sussistenza del delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

La Corte distrettuale ha ritenuto che tra i soggetti indicati nei suddetti capi di imputazione si fosse formato uno stabile rapporto finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di traffici di sostanze stupefacenti ed ha correttamente dedotto l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere da elementi di fatto che attestavano l’organizzazione del gruppo e la stabilità del vincolo tra i partecipanti: la suddivisione di ruoli, con alcuni addetti a procurare la droga all’estero e altri incaricati dello smercio in Italia; la predisposizione di mezzi per compiere i suddetti traffici, tra i quali anche diversi specifici luoghi in cui la droga veniva occultata; l’esistenza di canali di rifornimento attraverso i quali si facevano pervenire regolarmente in Italia partite di eroina; i notevoli mezzi anche finanziari che consentivano gli intensi traffici di cui trattasi. Nella sentenza impugnata, oltre ad inquadrare giuridicamente in modo corretto gli elementi costitutivi del reato de quo, si riportano – richiamando anche i contenuti della sentenza di primo grado – gli elementi di fatto siccome accertati nel corso del processo.

Nei motivi di ricorso in favore di H.J. non si contestano in modo specifico i contenuti della sentenza impugnata e ci si limita a sostenere che i fatti dovevano essere inquadrati nel semplice concorso di persone nel reato. Si asserisce anche che il predetto imputato sarebbe stato coinvolto in un unico episodio di spaccio, mentre nella sentenza impugnata si afferma che dal contenuto delle telefonate intercettate risulta che lo stesso era implicato in numerosi affari di droga trattati dall’associazione, indicando, in particolare, uno specifico colloquio tra i fratelli H. – non contestato dal ricorrente – dal quale emerge che H.J. era ben introdotto nel mercato della droga a Milano. Nei motivi di ricorso in favore di E. e O. si sostiene che i Giudici dell’appello avrebbero confuso la solidarietà esistente tra gli imputati, derivante da vincoli di parentela, con il pactum sceleris esistente tra gli associati, mentre dalla motivazione della sentenza risulta che i suddetti Giudici avevano ben chiara la distinzione, avendo affermato (cfr. pag. 20) "che la presenza di parentela e di stabile coabitazione non esclude la natura del vincolo così come ritenuto a carico degli imputati condannati, ulteriore e autonomo rispetto al consorzio familiare, ma anzi appare caratteristica in grado di offrire un vantaggio, fornendo alla struttura una natura di rapporti più salda". Si sostiene anche, ma in modo del tutto generico, che i suddetti imputati – ritenuti organizzatori alla stregua dei ruoli dagli stessi ricoperti nell’ambito dell’associazione, ruoli specificati e precisati nella sentenza impugnata – avrebbero invece avuto rapporti paritari con i coimputati, senza però contestare gli elementi in base ai quali la Corte territoriale aveva ritenuto che i predetti imputati dovessero essere inquadrati nella figura di dirigente e organizzatore dell’associazione.

Logicamente non fa venire meno detti ruoli il fatto che, per alcuni episodi di spaccio, non sia risultata una loro diretta partecipazione. Anche i motivi di ricorso in favore di K. sono del tutto generici, contenendo solo un richiamo al complesso delle risultanze dalle quali si dovrebbe evincere che il predetto imputato – condannato anche per il delitto di cui all’art. 74 per essere stato un custode di partite di eroina che venivano occultate nel suo garage e un addetto alle consegne di queste partite, agli ordini di E. e O. – aveva solo occasionalmente partecipato ai fatti che gli erano stati contestati.

Con riguardo al diniego delle attenuanti generiche, essendo stato rimesso al giudice del rinvio il riesame anche su questo punto delle posizioni di E. e O., resta da esaminare solo quanto dedotto nel ricorso presentato da H.J..

La Corte d’appello ha esposto, con motivazione congrua e immune da vizi logico giuridici, le ragioni per le quali non potevano essere riconosciute al predetto imputato le attenuanti generiche.

Nel ricorso si sostiene che la sentenza non avrebbe considerato la giovane età dell’imputato e la severità della pena inflittagli dal primo giudice, ma questa Corte ha più volte ribadito che la motivazione del giudice di merito è insindacabile se ha indicato in base a quali elementi ha esercitato il suo potere discrezionale, senza che vi sia necessità di un esame esplicito di tutti gli elementi in base ai quali possono essere riconosciute o negate dette attenuanti.

Pertanto, salvo quanto già esposto circa la posizione di E. e O., tutti gli altri ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in quanto manifestamente infondati.

Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi di K., Kr., S. e H. consegue di diritto la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento da parte di ciascuno di loro della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di O.N. ed E.R. limitatamente al reato di cui al capo 9 e al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi presentati dai predetti imputati.

Dichiara inammissibili i ricorsi di K.S., Kr.

H., S.G. e H.J. e li condanna al pagamento delle spese processuali nonchè ciascuno al versamento della somma di euro mille alla Cassa delle Ammende.

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