Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-09-2011, n. 18557 Farmaci e prodotti galenici U. S. L.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Credifarma S.p.a., in qualità di procuratrice speciale di R.E., titolare di una farmacia convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, convenne in giudizio le Unità Sanitarie Locali nn. (OMISSIS) della Regione Campania, chiedendo la condanna dell’una o dell’altra alla corresponsione degl’interessi ed al risarcimento dei danni per il ritardo nel pagamento del corrispettivo per la fornitura di medicinali agli assistiti, oltre agl’interessi anatocistici.

1.1. – Con sentenza del 30 marzo 2001, il Tribunale di Napoli accolse parzialmente la domanda, condannando l’Usl n. (OMISSIS) al pagamento dei soli interessi moratori e degl’interessi anatocistici.

2. – L’impugnazione proposta dalla Gestione liquidatoria dell’Usl n. (OMISSIS) è stata accolta dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 20 aprile 2004 ha rigettato la domanda proposta in primo grado e l’appello incidentale della Credifarma.

Premesso che, ai sensi dell’art. 10 dell’Accordo nazionale approvato con D.P.R. 15 settembre 1979, le somme dovute ai farmacisti dovevano essere corrisposte entro il giorno 25 del mese successivo alla trasmissione delle relative ricette, la Corte ha ritenuto che la scadenza di detto termine non assumesse alcun rilievo ai fini della decorrenza degl’interessi corrispettivi, presupponendo quest’ultima la liquidità e l’esigibilità del credito, che per i crediti pecuniari vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione si determinano soltanto a seguito dell’emissione del titolo di spesa.

Quanto agl’interessi moratori, la Corte ha escluso che la scadenza del termine comportasse l’automatica costituzione in mora dell’Usl, trattandosi di debito pagabile presso il domicilio del debitore, ai sensi delle disposizioni che disciplinano i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni, ed ha ritenuto che le lettere inviate dalla Credifarma non costituissero atti idonei a costituire in mora l’Amministrazione, in quanto, pur essendo state inviate successivamente alla scadenza del termine, facevano riferimento ad un debito non ancora scaduto.

Per quest’ultimo motivo, ha confermato anche il rigetto della domanda di risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento, aggiungendo che non era stata fornita la prova che il farmacista fosse stato costretto a ricorrere con regolarità al mercato creditizio.

3. – Avverso la predetta sentenza la Credifarma propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. La Gestione liquidatoria resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, si rileva l’inammissibilità della memoria presentata dalla Gestione liquidatoria, la quale risulta depositata in cancelleria il 23 maggio 2011, e quindi successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ., con la conseguenza che ai fini della decisione non può tenersi conto delle argomentazioni in essa contenute.

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1182, 1183, 1219, 1219 e 1224 cod. civ., della L.R. Campania 11 novembre 1980, n. 63, artt. 37, 38 e 39 e dei principi generali in tema di pagamenti della Pubblica Amministrazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento degl’interessi moratori, ha escluso che il debito fosse pagabile presso il domicilio del creditore. Osserva infatti che gli artt. 38 e 39 cit., prescrivendo l’indicazione nei mandati di pagamento degli estremi del conto corrente del creditore e del luogo in cui deve eseguirsi il pagamento, implicano da un lato che il pagamento possa essere effettuato in un luogo diverso dall’ufficio di tesoreria dell’ente, dall’altro che l’emissione del mandato non comporti l’estinzione dell’obbligazione, la quale si verifica solo con l’accreditamento della somma sul conto corrente del creditore.

2.1. – Il motivo è infondato.

Con riferimento ai debiti delle Usl nei confronti dei farmacisti per il corrispettivo delle prestazioni erogate in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, questa Corte ha ormai da tempo affermato che il sopraggiungere della scadenza fissata dall’art. 10 dell’Accordo Nazionale tra le Usl e i farmacisti del 27 giugno 1979, reso esecutivo con D.P.R. 15 settembre 1979, non implica l’automatica costituzione in mora dell’Usl (cd. mora ex re), non trovando applicazione l’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, in quanto l’assoggettamento delle Usl alla disciplina della contabilità di Stato comporta che, in deroga all’art. 1182 c.c., comma 3, le relative obbligazioni devono essere adempiute presso il domicilio del debitore, ovverosia presso la sede dell’ufficio di tesoreria dell’Usl, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 1219 cit., comma 1 la costituzione in mora presuppone una richiesta di pagamento specificamente formulata per iscritto (cd. mora ex persona) (cfr.

Cass., Sez. 3, 6 agosto 2010, n. 18377; 26 aprile 2010, n. 9918).

La sottoposizione della disciplina amministrativo-contabile delle Usl ai principi della contabilità pubblica previsti dalla legislazione vigente, espressamente sancita dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 50, n. 1 fu integrata dal D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 8, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33 (poi abrogato e sostituito dalla L. 20 marzo 1981, n. 119, art. 35), che fece obbligo alle Usl di affidare il proprio servizio di tesoreria ad una delle aziende di credito di cui al R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 5 e succ. mod. e int. aventi i requisiti stabiliti con decreto del Ministro del tesoro. Tale disciplina non ha subito modificazioni sostanziali per effetto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, il quale, pur prevedendo che le Usl si costituiscono in aziende dotate di autonomia imprenditoriale la cui organizzazione ed il cui funzionamento sono disciplinati con atti aziendali di diritto privato, ha ribadito che esse sono dotate di personalità giuridica pubblica, imponendo di conformare detta disciplina ai principi ed ai criteri previsti da disposizioni regionali (art. 3, comma 1-bis), ed ha demandato in particolare alle regioni l’emanazione di norme per la gestione economico-finanziaria e patrimoniale delle Usl e delle aziende ospedaliere, prevedendo che le stesse debbono essere informate ai principi di cui al codice civile (art. 5, comma 5), ma imponendo nel contempo l’osservanza degli adempimenti previsti dalle norme di contabilità pubblica (art. 5, comma 7).

Trovano pertanto applicazione, nei confronti delle Usl, il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 54 e 68-bis e il R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 417 e ss. che per le spese dello Stato individuano l’istituto incaricato del servizio di tesoreria quale soggetto preposto al pagamento, nonchè il R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 96 e 325 (oggi sostituiti dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 185 e 208 e ss.), che estendono la predetta disciplina ai comuni ed alle province, in tal modo imponendo al creditore di presentarsi presso il relativo ufficio per ricevere il pagamento.

Nell’ambito della Regione Campania, la contabilità delle Usl continua peraltro ad essere regolata dalla L.R. 11 novembre 1980, n. 63, la quale non detta una disciplina sostanzialmente diversa da quella statale, in quanto, nel confermare che il servizio di tesoreria è affidato ad un’azienda di credito di cui al R.D.L. n. 375 del 1936, art. 5 e succ. mod. e int. prevede che il pagamento delle spese viene disposto mediante mandati tratti sulla tesoreria (art. 37), precisando che il pagamento di qualsiasi spesa deve essere fatto esclusivamente dalla tesoreria sulla base dei predetti mandati (art. 39), e richiamando comunque, per quanto non espressamente disciplinato, le norme statali e regionali vigenti in materia (art. 93). E’ pur vero che l’art. 38, L.R., nel disciplinare il contenuto dei mandati, prevede, nei casi consentiti dalla legge, l’indicazione degli estremi del conto corrente bancario o postale sul quale deve effettuarsi il pagamento e del luogo in cui lo stesso dev’essere eseguito. Ma, indipendentemente dalla considerazione che lo stesso R.D. n. 827 del 1924, art. 409 richiede l’indicazione del luogo di pagamento, unitamente a quella della tesoreria incaricata, senza che tale disposizione abbia mai indotto a ritenere modificato il luogo di pagamento per i mandati emessi da Amministrazioni dello Stato, la norma in esame non detta una disciplina diversa da quella prevista dalle norme statali che, al fine di agevolare i creditori, consentono alle Amministrazioni statali (R.D. 7 ottobre 1926, n. 1759, sostituito dal D.P.R. 25 gennaio 1962, n. 71, art. 1 e successivamente dal D.P.R. 10 febbraio 1984, n. 21) ed agli enti territoriali (del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 421, art. 17) di estinguere il mandato, su richiesta del creditore, mediante accreditamento del relativo importo in conto corrente bancario o postale o mediante commutazione in vaglia cambiario o postale. La previsione di tali forme di pagamento come modalità meramente facoltative di estinzione del mandato conferma che il ricorso alle stesse non comporta una modificazione del luogo dell’adempimento, da individuarsi pur sempre in quello in cui ha sede l’ufficio di tesoreria, conformemente alle finalità pubblicistiche perseguite dalla disciplina in esame, consistenti nell’assicurare l’ordinato e razionale svolgimento della gestione amministrativa e contabile degli enti cui è affidata la realizzazione di interessi collettivi (cfr.

Cass., Sez. 3, 6 giugno 2006, n. 13252; 14 luglio 2004, n. 13100).

Ai fini della costituzione in mora dell’Usl, non è pertanto sufficiente che sia scaduto il termine per l’adempimento, ma è necessario che il creditore formuli una apposita richiesta scritta, rispetto alla quale non costituisce un valido equipollente la trasmissione delle distinte riepilogative delle ricette che il farmacista ha l’onere di inoltrare, ai sensi dell’Accordo nazionale di categoria, entro il quattordicesimo giorno di ciascun mese.

L’invio delle distinte risponde infatti a finalità meramente contabili e di controllo, volte a consentire all’ente di provvedere, entro il venticinquesimo giorno del mese successivo, al saldo del corrispettivo delle prestazioni relative al mese precedente e al pagamento di un acconto su quelle relative al mese in corso; fino a quando non sia decorso quest’ultimo termine, il debito non può quindi considerarsi esigibile, con la conseguenza che non sussistono neppure i presupposti per una valida costituzione in mora, la quale postula innanzitutto l’avvenuta scadenza del debito (cfr. Cass., Sez. 3, 26 aprile 2010, n. 9918, cit.; Cass., Sez. 1, 12 giugno 2008, n. 15697; 30 agosto 2007, n. 18308).

3. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1219, 1324 e 1362 cod. civ. e dell’Accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie approvato con D.P.R. 21 febbraio 1989, nonchè l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’idoneità delle lettere inviate da essa ricorrente a costituire in mora l’USL. Sostiene infatti che la Corte d’Appello ha omesso di valutare l’intero contenuto delle missive, le quali, oltre a recare una chiara manifestazione della volontà di ottenere il pagamento e a riportare tutti gli elementi necessari per individuare l’obbligazione, erano state spedite successivamente alla scadenza del debito.

3.1. – La censura è inammissibile.

Com’è noto, la costituzione in mora, in quanto dichiarazione alla quale la legge ricollega effetti tipici indipendentemente dalla volontà dell’intimante diretta a produrli, si configura come atto giuridico in senso stretto, nei confronti del quale, pur non operando il rinvio alla disciplina dei contratti disposto dall’art. 1324 cod. civ. per i negozi unilaterali, possono trovare applicazione, in via analogica e nei limiti della compatibilità, le regole di ermeneutica dettate dall’art. 1362 e ss. cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 3, 30 giugno 2005, n. 13970; Cass., Sez. lav., 16 maggio 1983, n. 3380). Pertanto, l’interpretazione dell’atto di costituzione in mora, al pari di quella degli atti negoziali, si configura come un’indagine di fatto riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni ermeneutici o per inadeguatezza della motivazione (cfr. Cass., Sez. 2, 22 febbraio 2001, n. 2600).

La deduzione di tali vizi postula peraltro che il ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, provveda a trascrivere nel ricorso il testo dell’atto di cui contesta l’interpretazione ed a specificare le regole ermeneutiche che assume violate ed il modo in cui il giudice di merito se ne è asseritamele discostato, nonchè le ragioni dell’obiettiva deficienza o contraddittorietà dell’iter argomentativo risultante dalla sentenza impugnata, non potendo egli limitarsi a richiamare genericamente l’art. 1362 e ss. cod. civ. e ad insistere nella propria ricostruzione del contenuto dell’atto, in tal modo contrapponendo una diversa interpretazione a quella fatta propria dal giudice di merito (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 2, 3 settembre 2010, n. 19044; Cass., Sez. 3, 12 luglio 2007, n. 15604; Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2007, n. 4178).

Tale onere di deduzione, nella specie, non può ritenersi assolto, avendo la Credifarma riportato nel ricorso soltanto brevi frammenti delle lettere invocate, già peraltro citati dalla Corte d’Appello, richiamando a sostegno della propria tesi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che esclude la necessaria osservanza di forme rigorose per la costituzione in mora, e ribadendo di aver inviato le predette lettere successivamente alla scadenza del termine fissato per il pagamento. Quest’ultima circostanza non è stata tuttavia negata dal giudice di merito, il quale non si è neppure discostato dal citato orientamento giurisprudenziale, ma lo ha fatto anzi proprio, escludendo la possibilità di ravvisare nei documenti prodotti una valida costituzione in mora soltanto in virtù dell’equivocità del loro contenuto. La ricorrente contesta tale interpretazione, ma si astiene dall’indicare specificamente le regole ermeneutiche che ritiene violate e gli errori logici commessi dalla Corte d’Appello, in tal modo sostanzialmente invocando una revisione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza impugnata, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, la valutazione compiuta dal giudice del merito.

4. – L’inammissibilità del secondo motivo, rendendo incontestabile la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso l’avvenuta costituzione in mora dell’Usl, comporta anche l’infondatezza del quarto motivo, con cui la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1282 e 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116, 421, 429 e 437 cod. proc. civ., nonchè il vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non provato il ritardo nell’adempimento.

4.1. – Al di fuori delle ipotesi, previste dall’art. 1219 cod. civ., comma 2 in cui non è necessaria un’intimazione o richiesta scritta del creditore, il mero ritardo nell’adempimento dell’obbligazione non è infatti sufficiente ai fini della configurabilità della mora del debitore, occorrendo, ai sensi del primo comma del medesimo articolo, un’apposita dichiarazione, a lui rivolta, da cui si ricavi inequivocabilmente l’intenzione del creditore di non tollerare ulteriori ritardi. Nella specie, pertanto, una volta accertata l’insussistenza di tale dichiarazione, è irrilevante la circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che l’Usl non abbia contestato di aver adempiuto l’obbligazione in ritardo rispetto alla scadenza del termine previsto dall’Accordo collettivo, e che tale ritardo fosse stato documentato mediante la produzione di lettere recanti la data di emissione dei mandati di pagamento.

5. – Il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso la configurabilità della mora del debitore, comporta altresì l’infondatezza del quinto motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè dei principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento, a causa della mancata prova del ricorso al mercato creditizio.

5.1. – Il risarcimento del maggior danno previsto dall’art. 1224 c.c., comma 2 in quanto volto a reintegrare il creditore del pregiudizio subito a causa dell’inadempimento o del ritardo nell’adempimento, nella misura eccedente quella che trova forfetariamente ristoro negli interessi legali dovuti ai sensi del primo comma della medesima disposizione, presuppone, al pari del riconoscimento di questi ultimi, la mora del debitore (cfr. Cass., Sez. 2, 19 settembre 1968, n. 2963). L’esclusione della configurabilità della mora rende pertanto irrilevante la circostanza che, nella specie, fosse stata fornita la prova del pregiudizio in questione, mediante la produzione della documentazione comprovante gli importi anticipati dalla ricorrente al farmacista a fronte delle distinte contabili rappresentative del credito vantato nei confronti dell’Usl, nonchè gl’interessi passivi addebitati al farmacista, e che la qualità d’imprenditore di quest’ultimo integrasse un elemento presuntivo idoneo ai fini dell’individuazione e della quantificazione del danno.

6. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta infine, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione della L.R. Campania n. 63 del 1980, artt. 37, 38 e 39 nonchè dei principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni pecuniarie della Pubblica Amministrazione, in riferimento agli artt. 1224 e ss. e 1282 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la decorrenza degl’interessi corrispettivi, a causa della mancata emissione del mandato di pagamento. Afferma infatti che, al pari dei crediti vantati nei confronti di soggetti privati, quelli nei confronti della Pubblica Amministrazione divengono liquidi ed esigibili quando ne sia determinato l’ammontare e se ne possa ottenere il pagamento alla scadenza, con la conseguenza che essi sono produttivi di interessi ai sensi dell’art. 1282 cod. civ,, il quale, costituendo una norma di legge, prevale su quella regolamentare di cui al R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 270 che va pertanto disapplicata. Precisa al riguardo che l’accoglimento della relativa domanda non è impedito dalla mancata qualificazione degl’interessi richiesti, in quanto, in assenza di qualificazione, la domanda deve essere intesa come rivolta ad ottenere gl’interessi corrispettivi.

6.1. – Il motivo è infondato.

Al riguardo, va richiamato l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la liquidità ed esigibilità del credito, necessarie perchè questo produca interessi ai sensi dell’art. 1282 cod. civ., possono essere escluse anche da circostanze e modalità di accertamento dell’obbligazione che, in ragione della natura pubblicistica del soggetto debitore, siano specificamente disciplinate da atti aventi efficacia solo regolamentare, come le disposizioni del R.D. n. 827 del 1924, artt. 269 e 270 secondo cui tutte le spese dello Stato devono passare per gli stadi dell’impegno, della liquidazione e dell’ordinazione e pagamento. Pertanto, quando ai fini della decorrenza degli interessi sia necessario stabilire il momento in cui il credito pecuniario verso un’Amministrazione statale è divenuto liquido ed esigibile, l’accertamento di tale duplice requisito non può prescindere dal presupposto formale dell’emissione del titolo di spesa che, sia pure alla stregua di una regola di condotta interna della Pubblica Amministrazione (la quale ripete la sua efficacia vincolante interna da una norma di legge), condiziona e realizza il requisito suddetto (cfr. Cass., Sez. 3, 6 agosto 2010, n. 18377; Cass., Sez. 1, 4 settembre 2004, n. 17909; 24 settembre 2002, n. 13859).

7. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Credifarma S.p.a. al pagamento in favore della Gestione liquidatoria dell’Usl n. (OMISSIS) della Regione Campania delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, ivi compresi Euro 3.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 27-05-2011, n. 4777 Scuole e personale di sostegno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

risultano soddisfatte le condizioni processuali di cui al precitato art. 60 in ordine alla possibilità di definire il giudizio cautelare con sentenza in forma semplificata;

Considerato che nel caso all’esame il collegio ravvisa la manifesta fondatezza del ricorso sulla base delle indicazioni e principi già espressi da questa Sezione con sentenza n.3287/2010 con a quale è stato ribadito che:

"- l’art. 38, comma 3, Cost., disponendo che "gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale", dà concretezza ai principi generalissimi che, in relazione ai "diritti inviolabili dell’uomo", esprime l’art. 2 Cost. e, in relazione alla "pari dignità sociale", esprime l’art. 3 Cost., quando esige che il principio di eguaglianza sia modulato in funzione anche delle "condizioni personali";

"- la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 215 del 1987, ha affermato che "la partecipazione del disabile al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato"; dal che il dovere dello Stato ( art. 38, comma 4, Cost.) di rendere concretamente fruibile il diritto all’istruzione attraverso "misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti di istruzione";

"- la legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha espressamente riconosciuto al disabile (art. 12) il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione dalla scuola materna all’università, prevedendo che la fruibilità di tale diritto sia assicurata, tra l’altro, con il ricorso a personale docente specializzato di sostegno,

"- che, prendendo atto della circostanza che, accanto a forme più lievi, esistono forme di disabilità particolarmente gravi, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 ha previsto la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto alunnidocenti stabilito in via generale (art. 40, comma 1);

"- che l’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, aveva inciso sulle norme da ultimo ricordate fissando rigidamente un limite al numero degli insegnanti di sostegno e sopprimendo radicalmente la possibilità di assumere con contratti a tempo determinato altri insegnanti, in deroga al rapporto docentialunni pur se in presenza di disabilità particolarmente gravi;

"- che tali norme della legge n. 244 del 2007, tuttavia, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 80 del 26 febbraio 2010 in quanto contrastanti con il "quadro normativo internazionale (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n, 18), costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili".

"- che nell’ora citata sentenza la Corte ha osservato che "la scelta… di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato" incide sul nucleo indefettibile di garanzie costituente il limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore, in quanto "detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto all’istruzione del disabile grave"; "la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno appresta una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravità….(e) non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è affetta la persona de qua"…";

– che, nella specie, alla luce del riferito quadro normativo nel quale si iscrive la vicenda all’esame, non potrebbe dubitarsi dell’illegittimità del provvedimento impugnato con il quale, nonostante l’handicap del minore sia qualificato grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, l’Amministrazione dichiara l’impossibilità di garantirgli assistenza di sostegno per un numero di ore pari almeno ad un’intera cattedra;

– che l’esiguità dell’organico, infatti, non potrebbe pregiudicare il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave, essendo tenuta l’Istituzione Scolastica a provvedere a soddisfarle – in deroga al rapporto docentialunni ordinario – attraverso contratti a tempo determinato con insegnanti di sostegno; come prevedeva già la legge n. 449 del 1997 con norma che, in parte qua, non è suscettibile di modifica da patte del legislatore ordinario e che sancisce un ineludibile dovere da parte e dell’amministrazione scolastica;

– che il recente art.. 9, comma 15, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, ha confermato che il limite dei docenti di sostengo ("pari a quello in attività di servizio d’insegnamento nell’ organico di fatto dell’ a.s. 2009/2010") fa "salva l’autorizzazione di posti di sostegno in deroga al predetto contingente da attivarsi esclusivamente nelle situazioni di particolare gravità di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104": e cioè proprio in relazione alla fattispecie del presente giudizio;

Considerato che merita piena adesione la prospettazione giuridica svolta in ricorso;

Ritenuto di dover fare applicazione dell’art. 34, lett. c), c.p.a., il quale prevede che, "in caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nei limiti della domanda… condanna (l’amministrazione)… all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio";

Ritenuto pertanto di disporre che le amministrazioni scolastiche avviino e perfezionino con ogni tempestività, in base alla previsione di cui al precitato art. 9 del decreto legge 78/2010 che contempla la possibilità di procedere ad assunzione in deroga su posti di sostegno, le iniziative necessarie per assicurare l’adeguata integrazione dell’organico del personale di cui trattasi in relazione al concreto fabbisogno della Istituzione scolastica.

Ritenuto che concorrono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti di spese di giudizio e onorari di causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, ai sensi degli artt. 60 e 74 c.p.a., – preso atto della rinunciata domanda di risarcimento danni come da verbale di udienza – lo accoglie nei sensi e agli effetti di cui in motivazione, disponendo la tempestiva adozione dei provvedimenti quivi indicati.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-10-2011, n. 21440 Personale non docente

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to di ragione.
Svolgimento del processo

1. R.A. e gli altri quattro lavoratori indicati in epigrafe fanno parte insieme con moltissimi altri loro colleghi – del personale non docente della scuola, indicato con l’acronimo ATA (amministrativo, tecnico ed ausiliario) già dipendente dagli enti locali che a decorrere dal 1 gennaio 2000 è stato trasferito nei ruoli del personale dello Stato-Comparto Scuola.

2. Gli attuali ricorrenti convennero in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi:

MIUR), loro nuovo datore di lavoro, chiedendo il riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Il Tribunale di Larino accolse la domanda.

3. Il Ministero impugnò la sentenza e la Corte d’appello di Campobasso riformò la decisione di primo grado, applicando una disposizione contenuta nella Legge Finanziaria del 2006, emanata nel corso del processo.

4. I suindicati dipendenti hanno proposto ricorso per cassazione, impugnando la sentenza della Corte d’appello per violazione delle norme che regolano la materia e cioè la L. n. 124 del 1999, art. 8 e la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, (Finanziaria del 2006), oltre che per vizi di motivazione sul punto. Sostengono, in particolare, che la previsione di quest’ultima legge applicata dalla Corte non ha natura retroattiva e quindi non incide sui giudizi in corso al momento della sua emanazione. Sostengono poi che, qualora la si considerasse dotata di efficacia retroattiva, sarebbe incostituzionale sotto molteplici profili.

5. Il MIUR non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione

1. La questione oggetto della controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale ATA trasferito dagli enti locali al MIUR in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8. 2. Tale norma, dopo aver premesso, al primo comma, che il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado passa a carico dello Stato, prevede, nel comma 2, che: "Il personale di ruolo di cui al comma 1, dipendente degli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonchè il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto". 3. La disposizione fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal decreto del Ministro della Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che "recepì" l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. 4. Con tale accordo l’ARAN e le associazioni sindacali avevano dato applicazione alla L. n. 124 del 1999, art. 8 stabilendo, quanto al regime contrattuale, che, pur nella prosecuzione ininterrotta del relativo rapporto di lavoro, cessava di applicarsi a decorrere dall’I gennaio 2000 il c.c.n.l. 1 aprile 1999 del comparto Regioni-Autonomie locali e dalla stessa data si applicava il c.c.n.l. 26 maggio 1999 del comparto Scuola.

5. L’art. 3 dell’accordo disciplinò l’inquadramento professionale e retribuivo, nei seguenti termini: i dipendenti trasferiti "sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola, indicate nell’allegata tabella B, con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità …". "L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al personale destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevato di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola". 6. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in un decreto ministeriale. La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (vedi: Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; Cass. 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè Cass. 27 settembre 2005, n. 18829).

7. Intervenne il legislatore, dettando una disposizione, il comma 218 della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1 (Finanziaria 2006) sopra citata, che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto ministeriale, stabilendo che la L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2 "si interpreta nel senso che" il personale ATA degli enti locali trasferito nei ruoli dello Stato "è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonchè da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. E fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge". 8. Come è evidente, l’art. 1, comma 218 della suindicata Legge Finanziaria ha riprodotto, quanto all’inquadramento ed al relativo trattamento retributivo, le clausole dell’accordo sindacale del luglio 2000 già riprese dal decreto ministeriale dell’aprile 2001. 9. La tesi, riproposta dai ricorrenti, che nega l’efficacia retroattiva della disposizione introdotta dalla legge finanziaria 2006 e sostiene, quindi, la sua inapplicabilità ai processi già in corso, non è fondata. Il legislatore, come si è visto, usa l’espressione "la L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2 si interpreta nel senso che". Espressione che indica la volontà di far retroagire la norma dettata dal comma 218. Corte di cassazione e Corte costituzionale si sono espresse in modo concorde sul punto. Da ultimo, le Sezioni unite, hanno qualificato la disposizione tra le "norme di sanatoria con efficacia retroattiva" perchè il legislatore, emanandola, ha elevato a dato normativo primario il contenuto di un atto regolamentare o amministrativo a carattere generale (il decreto ministeriale che aveva a sua volta recepito l’accordo collettivo ARAN – Sindacati del 2000) giudicato dalla giurisprudenza inidoneo a derogare una norma di legge. Elevato il livello del contenuto normativo del decreto ministeriale trascrivendolo in una norma di rango primario, è venuto meno con efficacia retroattiva il vizio dell’atto. "Si è trattato precisano le Sezioni unite – di una sanatoria ex lege del contenuto precettivo del D.M. 5 aprile 2001, ciò che in linea di principio era consentito fare al legislatore avendo la giurisprudenza costituzionale da tempo ammesso le leggi di sanatoria pur assoggettandone la sostanziale retroattività a scrutinio di legittimità sulla base del parametro della ragionevolezza" (Così: Cass. S.U. 8 agosto 2011, n. 17076, richiamando Corte cost. n. 234 del 2007).

10. Quanto al motivo di ricorso riguardante la legittimità costituzionale, esso ripropone alcune delle molteplici eccezioni sollevate da vari giudici, compresa questa Corte di cassazione, che, con ordinanza n. 22260 del 2008, ritenne non manifestamente infondata la questione del contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1 in relazione all’art. 6 CEDU con riferimento al problema dell’ingerenza legislativa in controversie giudiziarie in corso. Le eccezioni di legittimità costituzionale sono state tutte respinte dalla Corte costituzionale con una pluralità di pronunzie: la sentenza n. 234 del 2007, le ordinanze n. 400 del 2007 e n. 212 del 2008, nonchè la sentenza n. 311 del 2009. 11. Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato sono stati respinti da questa Corte (vedi, per tutte:

Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

12. Tuttavia, l’ampio spettro della impugnazione che, più a monte, pone un generale problema di violazione della disciplina dettata dalla L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, e dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, impone di tener conto dei successivi sviluppi della vicenda sul piano della giurisprudenza europea.

13. Sono, infatti, intervenute sul tema, tanto la Corte europea dei diritti dell’uomo, che la Corte di giustizia dell’Unione europea.

14. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa con una decisione (sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri c. Italia) non ancora definitiva, perchè è oggetto di richiesta di rinvio della causa alla Grande Camera, presentata dallo Stato italiano, ai sensi dell’art. 43 della CEDU. 15. La Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) si è espressa con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10), sulla domanda di pronuncia pregiudiziale – proposta ai sensi dell’art. 267, cit. TFUE, dal Tribunale di Venezia, nella controversia instaurata nei confronti del Ministero dalla signora S.I. in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti.

16. Il Tribunale di Venezia aveva sottoposto alla Corte quattro questioni pregiudiziali.

17. La prima questione consisteva, in sintesi, nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 possa costituire un "trasferimento d’impresa" ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.

18. La soluzione della Corte UE è affermativa, nei seguenti termini:

"La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro" (vedi punto 1 del dispositivo e punto 66 della motivazione).

19. Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: a) se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva 77/1987 (trasfusa, unitamente alla direttiva 98/50, nella direttiva 2001/23) deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione); b) se il suddetto art. 3 della menzionata direttiva debba essere interpretato nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione).

20. Con riferimento a tali due questioni il dispositivo della decisione è il seguente: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo". 21. Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un "peggioramento retributivo sostanziale". 22. In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame, v., supra, accordo del 20 luglio 2000). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo "scopo della direttiva", consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto, del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

23. Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice nazionale (nella attuale controversia: il giudice del rinvio) deve osservare i seguenti criteri: 1) Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75. e al n. 77 si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2) Quanto alle modalità, si deve trattare di "peggioramento retributivo sostanziale" (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere "globale" (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto, ma considerando anche eventuali trattamenti più favorevoli su altri profili, nonchè eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale. 3) Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto "all’atto del trasferimento" (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

24. La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2, TUE, in combinato disposto con l’art. 6 CEDU e artt. 46 e 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della sentenza emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che: "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate (vedi: punti 27 e 84 della sentenza).

25. La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere- dovere di dare immediata applicazione alle norme della UE provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (vedi, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito della procedura di infrazione) ove riguardino norme UE direttamente applicabili (vedi: Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè sull’onere di interpretazione conforme al diritto UE’, tra le tante: Corte cost. sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

26. Il caso in esame deve quindi essere deciso, in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comporta che il ricorso deve essere accolto perchè la violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, denunziata dal ricorrente, deve essere verificata sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea.

27. La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio ad altro Giudice, che, applicando i su indicati criteri di comparazione, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento. Il Giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-11-2011, n. 23637 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

All’esito del giudizio civile instaurato ne 1992 da A.A. contro Ar.Do., per il riscatto dell’immobile condotto e alienato dalla proprietaria, giudizio concluso con la sentenza n. 5106 del 2006 della Cassazione che aveva respinto il ricorso dell’ A. per l’annullamento della sentenza della Corte di Appello di Milano, la Ar. chiese alla Corte di Milano ai sensi dell’art. 288 c.p.c. la cancellazione della trascrizione della citazione introduttiva del giudizio. La Corte adita, nel contraddittorio dell’ A., rilevato che l’omissione ben poteva essere chiesta e disposta con la procedura di correzione dell’errore materiale e che il giudice competente era la adita Corte, la cui sentenza 2964 del 2000 era affetta dall’errore, con ordinanza 29.9.2008 ha disposto la chiesta cancellazione.

Per la cassazione di tale sentenza, nella parte corretta con ordinanza, notificata il 25.11.2008, l’ A. ha proposto ricorso il 21.1.2009, al quale la Ar. non ha opposto difese, lamentando che si fosse attratta nella disciplina della correzione quella che era non semplice svista ma una omissione di pronunzia, denunziabile con le ordinarie impugnazioni in appello, o con procedura di correzione ma a carico della sentenza di cassazione emessa a conclusione de procedimento, in ogni caso dovendosi sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c..

Motivi della decisione

I ricorso è, come mezzo impugnatorio, inammissibile posto che la impugnabilità della sola sentenza corretta è prevista dall’art. 288 c.p.c., u.c.: questa Corte ha infatti rammentato che, avendo natura ordinatoria il provvedimento di correzione di errore materiale, esso non è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. neppure per violazione del contraddittorio, in quanto non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta e non ha, quindi, rispetto ad essa alcuna autonoma rilevanza; infatti, dall’art. 288 c.p.c., comma 4, è espressamente prevista la impugnabilità delle parti corrette della sentenza stessa, che è rimedio diretto esclusivamente al controllo della legittimità della disposta correzione. (Cass. 12034 del 2010, 5950 del 2007 e 8543 del 2004).

Nella specie – e come fatto palese dalla lettura del ricorso e dal deposito di copia autentica della ordinanza di correzione – l’ A. che si duole dell’errore nel procedimento e della illegittimità del ricorso alla procedura de qua in una ipotesi nella quale si trattava di denunziare in via di impugnazione la omissione di pronunzia a suo tempo commessa – da un canto dichiaratamente addebita l’errore alla sentenza d’appello nella parte in cui è stata corretta dall’altro canto impugna l’ordinanza di correzione come autonomo provvedimento erroneo, mancando di depositare ed impugnare la sentenza di appello nella parte in cui è stata (indebitamente) corretta. La radicale inammissibilità del ricorso, perchè diretto avverso atto non autonomamente impugnabile, dispensa dal rilevare che esso è proposto avverso provvedimento del 29.9.2008, notificato il 25.11.2008, ma senza alcuna formulazione di quesiti secondo il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. ancora applicabile al provvedimento in discorso (Cass. n. 7119 e n. 20323 del 2010, n. 774 del 2011).

Non è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.